Quintetto per archi n. 1 in fa maggiore, op. 88


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo ma con brio (fa maggiore)
  2. Grave ed appassionato (do diesis minore). Allegro vivace (la maggiore).Tempo primo. Presto (la maggiore). Tempo primo
  3. Finale. Allegro energico (fa maggiore). Presto
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: 1882
Prima esecuzione: Francoforte, Hoch-Musikschule, 28 dicembre 1882
Edizione: Simrock, Berlino, 1883
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

A differenza del laborioso impegno creativo del Quintetto con pianoforte op. 34, la genesi del Quintetto n. 1 per due violini, due viole e violoncello fu coerente e rapida nella primavera ed estate del 1882 ad Ischl. Già alla fine di giugno di quell'anno la musica di questo lavoro fu data in lettura da Brahms all'amico Theodor Billroth, assieme alla partitura del Trio in do maggiore op. 87. Del carattere di quest'opera, insolitamente essenziale ed incisiva, fu consapevole Billroth, come è desumibile da un inciso della lettera inviata il 24 ottobre 1882 a Clara Schumann: «Ogni tempo è datato "primavera 1882", e davvero tutto ha suono e soffio di primavera. Il lavoro è da accostare al Sestetto in si bemolle maggiore. Euforia, gioia, musica di bellezza raffaellesca! Eppure, in tanta semplicità, tutto s'impronta di splendida maestria. Tre tempi concisi, e in ognuno l'arte contrappuntistica conferisce alla bellezza del suono musicale; tutto fluisce con tanta naturalezza da sembrare necessario e inevitabile. Non si può dire che un tempo sia più bello o più significativo, interessante, artistico dell'altro».

Secondo la prassi consolidata, una successione di audizioni private precedette la prima esecuzione pubblica del Quintetto in fa maggiore che si svolse ad Altaussee il 25 agosto 1882 e fu coronata da un gran successo. Dopo averlo letto, Clara Schumann non nascose la sua ammirazione per i primi due movimenti, e qualche perplessità sul terzo tempo. Inizialmente un giudizio analogo diede Joachim che, nel gennaio 1883, partecipò all'esecuzione del Quintetto in fa maggiore ad Amburgo e a Berlino, salvo poi ricredersi quando, il 21 novembre 1890, scrisse all'autore: «Questa volta anche l'ultimo tempo è stato di soddisfazione, perché è stato eseguito più tranquillo, dando, quindi, più risalto al contrasto del grazioso passo in terzine. È colpa mia, non tua, se finora mi era piaciuto meno».

E, sul settimanale "Wiener Salonblatt" Hugo Wolf, dopo aver ascoltato quest'opera, scrisse: «In questo lavoro l'invenzione del compositore s'inebria di immagini pittoresche; non c'è più traccia della fredda nebbia di novembre che oscura altri suoi lavori e soffoca il caldo pulsare del cuore prima che il cuore abbia potuto espandersi; qui tutto è raggio di sole, ora più chiaro, ora più velato; un magico verde-smeraldo è soffuso su questo magico quadro di primavera; ogni cosa sboccia, verdeggia, fiorisce sotto il nostro sguardo, ci sembra davvero di vedere crescere l'erba; la natura è così misteriosa, così solennemente tranquilla, così felice e radiosa...». Quanto all'autore, la soddisfazione di Brahms è desumibile da un inciso della lettera indirizzata il 13 luglio 1882 da Ischl all'editore Simrock, in cui è detto: «Non ha ancora mai avuto da me un lavoro così bello, e forse non l'ha stampato negli ultimi dieci anni!».

Il primo movimento, Allegro non troppo ma con brìo, è in fa maggiore e in 4/4; viene adottato lo schema sonatistico nell'impiego d'un materiale tematico di peculiare ricchezza d'ispirazione, evidente sin dai primissimi momenti. L'avvio dell'esposizione (batt. 1-77) enuncia un grazioso tema di carattere pastorale (batt. 1-13) che viene subito ripreso. Una breve transizione introduce il primo motivo secondario (batt. 28-33), di segno ritmico. Fa la sua comparsa nella trama strumentale, quindi, la seconda idea principale d'indubbio carattere melodico (batt. 34-45), intessuta, rispetto alla prima idea, d'una più accentuata vena espressiva. Infittiscono la discorsività strumentale, in successione, quattro nuovi motivi secondari, il secondo dei quali viene intonato con effusa tenerezza dalla prima viola. Egualmente melodico il terzo motivo su una movenza ritmica di danza mentre il quarto motivo secondario, affidato al canto della prima viola, ha connotati più lirici ed è accompagnato dalle sincopi degli altri strumenti. Ritornano il secondo e il terzo motivo secondario ad introdurre l'enunciazione d'un quinto motivo, assai vigoroso, su accordi fortemente ritmati. È singolare, nella scrittura di questo movimento, verificare che ogni motivo secondario si presenta secondo un determinato ordine di gruppi di quattro misure o di multipli di quattro. È la volta poi dello sviluppo, anch'esso assai singolare (batt. 78-138), in quanto non viene elaborato alcun motivo secondario ma soltanto i due temi principali, e con uno svolgimento assai spigliato e libero. La ripresa (batt. 139-210) ha un aspetto del tutto simmetrico rispetto all'esposizione, mentre la Coda (batt. 211-226) fa riferimento, con altrettanta libertà, alla seconda idea principale.

Il secondo movimento, Grave ed appassionato, in do diesis minore e in la maggiore in 3/4 e in 6/8, offre un chiarissimo esempio del procedimento impiegato da Brahms per condensare in un tempo solo due distinti movimenti. Quest'opera, infatti, è una delle pochissime dell'Amburghese in cui i movimenti sono solamente tre, risultando i tradizionali tempi del Lento e dello Scherzo racchiusi entro i confini dell'unico movimento centrale. Si ascolta la successione di tre episodi lenti, tra l'uno e l'altro dei quali vengono ad inserirsi due interludi animati, il primo essendo un Allegretto, il secondo un Presto. L'episodio iniziale, Grave (batt. 1-31), si basa su un'idea melodica intonata dal violoncello con accenti di sommessa intensità d'espressione: un'idea più notturna che malinconica e struggente. Dopo l'enunciazione di tale inciso, (batt. 1-8), si ascoltano due motivi secondari, il primo è di natura squisitamente melodica ed è affidato alla seconda viola mentre il secondo, egualmente intriso di afflato melodico, inclina alla rassegnazione. Torna poi l'idea principale, ben due volte (batt. 17-31). Il primo interludio, Allegretto in la maggiore (batt. 32-80) si manifesta in una gioiosità appena velata sul ritmo di siciliana; in questa pagina è evidente il carattere pastorale, delicato e fascinoso dell'incedere strumentale. Tale idea viene esposta due volte di seguito e successivamente elaborata come in uno Scherzo. Con qualche modifica di scrittura, questo Grave ritorna sino alla misura 117. Segue, senza soluzione di continuità, il secondo interludio, Presto in la maggiore (batt. 118-165), in un incalzare di accenti bucolici e luminosi: a ben vedere, quest'idea è una variazione del tempo di siciliana del precedente Allegretto e, al pari di quello, viene esposta due volte di seguito, venendo poi sviluppata come se si trovasse all'interno d'uno Scherzo. Si ascolta, quindi, il ritorno, per la terza volta, dell'episodio del Grave (batt. 166 e segg.), concluso da una coda ove il violoncello sembra offuscare il suo canto, mentre un ampio arpeggio ascendente del primo violino illumina d'una luce, radiosa l'intera atmosfera espressiva. Nonostante il succedersi di vari episodi contrastanti, questo movimento non smarrisce mai il suo carattere unitario e trasmette, all'ascolto, l'impressione d'una sorta di improvvisazione spontanea e libera.

Il Finale, Allegro energico in 3/2 in fa maggiore, trattato in stile fugato, sembra, alle prime misure, orientato ad imporre i diritti della tecnica di alta scuola sulle effusioni poetiche dell'incedere musicale. Non è però altro che una mera apparenza, perché, pur nell'adozione dello schema sonatistico e di procedimenti fugati, l'atmosfera espressiva nulla perde dell'originaria sua immediatezza. Dopo due accordi introduttivi, prende l'avvio l'esposizione (batt. 1-54), con il primo violino che introduce la prima idea, trepidante e franca, ripresa in stretta successione dal secondo violino, dal violoncello, e così via, mentre al soggetto iniziale l'intervento di ogni strumento sembra arricchirne la forza espressiva. Compare poi un primo motivo secondario (batt. 29-34), ad attenuare la fremente pulsazione ritmica. Viene intonato quindi il secondo soggetto principale (batt. 35-43), di squisita natura cantabile e lirica mentre rimane il medesimo sottofondo ritmico. Un altro motivo secondario, stimolante sul piano armonico, segue rapido (batt. 44-54). Assai ampio è lo sviluppo (batt. 55-99), ove, dopo una breve transizione, si ascoltano due nuove idee secondarie inserite da Brahms nella serrata trama contrappuntistica. Emerge un terzo motivo secondario (batt. 64-80), e poi un quarto inciso motivico (batt. 91-97), di carattere marcatamente ritmico e vigoroso sul contrappunto delle voci inferiori. Un'altra breve transizione, di due misure, avvia la ripresa (batt. 100-145), esattamente simmetrica rispetto alla parte iniziale del movimento, ininterrottamente percorsa da una ribadita forza gioiosa. Subentra, infine, la Coda, Presto in 9/8 (batt. 146-185), d'ampio respiro, a guisa di stretta, ove il tema iniziale del fugato assume una fisionomia ritmica del tutto autonoma che imprime un'ulteriore accelerazione dell'incedere strumentale sino alle precipitose misure finali.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il genere del quintetto per archi fu affrontato compiutamente da Johannes Brahms solamente in due occasioni, relative agli anni della maturità, e poi dell'estremo periodo creativo; il Quintetto op. 88 vide la luce nel 1882, il Quintetto op. 111 invece nel 1890; ed entrambi questi lavori si avvalgono della formazione per due violini, due viole e un violoncello, già impiegata da Mozart, piuttosto che di quella con una viola e due violoncelli prediletta da Boccherini e prescelta da Schubert. Questo tardivo interesse di Brahms per la formazione quintettistica potrebbe stupire considerando l'importanza di tutti i vari generi cameristici nella produzione giovanile del compositore. È nota la cautela con cui Johannes Brahms si accostò alla scrittura sinfonica e al genere della sinfonia. I vari lavori cameristici, a prescindere dal valore intrinseco, costituirono così anche una sorta di sperimentazione in miniatura della scrittura sinfonica prima del varo della prima coppia di Sinfonie, nel 1876-77.

Tuttavia già in precedenza - e precisamente nel 1862, l'anno del trasferimento a Vienna dalla nativa Ambyrgo - Brahms si era dedicato alla stesura di un Quintetto per archi che, in questo caso, si appoggiava all'organico per due violini, una sola viola e due violoncelli. Univoco fu il giudizio degli amici e confidenti del compositore, Clara Schumann e Joseph Joachim: la qualità musicale del lavoro era straordinaria, e tuttavia la destinazione all'organico per soli archi non sembrava sufficiente a sostenere il peso del discorso musicale, il fitto ordito contrappuntistico che richiedeva il soccorso del pianoforte - e d'altra parte fino a quel momento l'unico lavoro della cameristica brahmsiana che aveva fatto a meno del pianoforte era il Sestetto op. 18. Di qui la decisione dell'autore di trascrivere per due pianoforti il lavoro, e di distruggere la versione per soli archi. Né la versione pianistica sarebbe stata l'ultima, poiché, dietro suggerimento di Eduard Hanslick, Brahms avrebbe dato veste definitiva allo spartito convertendolo nel Quintetto in fa minore per pianoforte ed archi op. 34, lavoro d'altronde celeberrimo.

In questo insuccesso iniziale occorre dunque individuare le cause del distacco di Brahms dal genere del quintetto; e forse anche il fatto che il ritorno a questo genere sia avvenuto a conclusione di tutta l'esperienza compositiva per archi soli, dopo i due Sestetti e i tre Quartetti. E una frase dello stesso autore, scritta a Joachim nell'inviargli in anteprima il Quintetto op. 111, rivela il più autentico modello dei due spartiti: «E ora mi auguro davvero che il lavoro ti piaccia almeno un po', ma non peritarti di dirmi il contrario. In tal caso, mi consolerò con il primo [dei Quintetti], e, per entrambi, con quelli di Mozart!».

Il richiamo a Mozart non avviene solamente per la scelta dell'organico con due viole, ma anche per quella conquista, tipica del Brahms della maturità come dell'ultimo Mozart, di essere conciso nella forma quanto intenso nella espressione, mantenendo una ferrea coerenza grazie all'uso di una peculiare quanto oculatissima elaborazione a partire da pochi elementi tematici di base.

Dopo l'indugio di un ventennio, la stesura del Quintetto op. 88 fu estremamente rapida. Il lavoro nacque infatti ad Ischl nella primavera-estate 1882; concorde fu il giudizio degli amici di Brahms; Theodor Billroth scrisse a Clara Schumann affermando che «ogni tempo è datato primavera 1882; e davvero tutto ha suono e soffio di primavera. [...] Eufonia, gioia, musica di bellezza raffaellesca! Eppure, in tanta semplicità, tutto s'impronta di splendida maestria. Tre tempi concisi, e in ognuno l'arte contrappuntistica conferisce alla bellezza del suono musicale; tutto fluisce con tale naturalezza da sembrare necessario e inevitabile. Non si può dire che un tempo sia più bello e più significativo, interessante, artistico dell'altro».

Parole, queste, che potrebbero sembrare viziate dall'amicizia. Ma lo stesso autore, in genere piuttosto sobrio nei giudizi sulle sue partiture, scrisse all'editore Simrock: «Le dico che lei non ha ancora avuto da me un lavoro così bello, e forse non l'ha stampato negli ultimi dieci anni». Perfino Hugo Wolf, acerrimo critico di Brahms, ebbe a scrivere che «in questo lavoro l'invenzione del compositore s'inebria di immagini pittoresche; non c'è più traccia della fredda nebbia di novembre che oscura altri suoi lavori [...]: qui tutto è raggio di sole, ora più chiaro, ora più velato; un magico verde-smeraldo è soffuso su questo magico quadro di primavera».

Tutti d'accordo, dunque, sul carattere sereno, primaverile del contenuto musicale del Quintetto. Al di là di simili accostamenti, Brahms cercò di perseguire nell'op. 88 un modello di maggiore concisione e cordialità espressiva, con risultati di perfetto equilibrio. Contrariamente all'uso più consueto del compositore per i lavori cameristici, i movimenti sono appena tre. L'Allegro non troppo ma con brio si apre con un tema fluido che lievita progressivamente; è questo il clima espressivo dell'intero movimento, che non viene contraddetto dal secondo tema, intonato in terzine dalla prima viola. Altrettanto essenziale e nitida della esposizione è la sezione dello sviluppo, dove a una fitta elaborazione contrappuntistica succede il ritorno del primo tema da parte della prima viola, più volte interrotto. La ripresa è regolale, e viene seguita da una breve coda.

Culmine del Quintetto è comunque il tempo centrale, che supplisce alla mancanza del quarto movimento sommando in sé i caratteri di tempo lento (A) e di scherzo-intermezzo (B); per cui la forma è quella A-B-A'-B'-A", una sorta di rondò. Il primo episodio, Grave ed appassionato, ha andamento di sarabanda, con la prevalenza degli archi bassi; forte contrasto quello dell'Allegretto vivace, dalla connotazione pastorale. Segue la ripresa del Grave, e poi la conversione in Presto del materiale dell'Allegretto vivace; la terza apparizione del Grave sfocia in una breve coda che risolve nei toni della serenità il conflitto che anima questo singolare e mirabile movimento.

Chiude il Quintetto un Allegro energico di perfetta concisione, in cui si può dire che Brahms realizzi una sorta di "pendent" del movimento finale del Quartetto op. 59 n. 3 di Beethoven, che si ispira alla medesima logica. Il movimento infatti prende l'avvio da un motivo fugato, ed è tutto innervato da una fitta scrittura contrappuntistica; non manca la regione più lirica del secondo tema, né un complesso sviluppo del materiale; e il movimento si chiude poi con una intensa "lievitazione" espressiva del materiale, affermazione ultima dell'ottimismo che permea l'intero Quintetto.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Lungo l'intero arco della produzione di Brahms ricorre, com'è noto, un fenomeno abbastanza singolare: quello di comporre contemporaneamente, o comunque a distanza ravvicinata, coppie di opere analoghe per forma e destinazione. È un fenonomeno che si presenta con costanza quasi implacabile nel campo della musica sinfonica, l'esperienza sua più caparbiamente e faticosamente perseguita: due Serenate, quasi per saggiare il terreno; poi l'eccezione rilevante, ma estremamente logica, delle «Variazioni su tema di Haydn»; quindi le prime due Sinfonie, le due Ouvertures op. 80 e 81, la terza e la quarta Sinfonia. Non era un caso, né tanto meno una sorta di superstizione del numero: era il riflesso della costanza con cui Brahms, consapevole come pochi altri compositori degli scopi che si proponeva, e delle difficoltà che la stessa storia gli opponeva, proseguiva il proprio cammino alla ricerca di una sicurezza della forma che da Beethoven in poi pareva dissolta. Sarebbe riuscito a trovarla, e sarebbe stato l'ultimo. Ma oltre a chiudere in gloria un'esperienza terribile, avrebbe lasciato in eredità al secolo che stava per aprirsi i mezzi per proseguire: con la certezza di una continuità con la stessa tradizione beethoveniana, anche sotto il segno delle più ardite innovazioni.

La produzione «a coppie» segna anche il cammino percorso da Brahms in un genere in cui si moveva certo con assai maggiore disinvoltura, quello della musica da camera. Due Quartetti con pianoforte negli anni giovanili, per esempio; due Sestetti per archi, due Quartetti per archi addirittura sotto lo stesso numero d'opus, le Sonate per violino e pianoforte, quelle per violoncello e pianoforte, e così via. Verrebbe fatto di considerare sotto questa stessa luce la coppia dei due Quintetti per due violini, due viole e violoncello. In effetti, la fisionomia espressiva di questi due lavori può presentare un'indiscutibile analogia, tanto che non è solo la comunanza dell'organico strumentale ad associarli con piena coerenza in uno stesso disco, o in un medesimo programma di concerto. Non si può tuttavia sorvolare sul fatto che non solo la composizione del Quintetto op. 88 precede di otto anni quella dell'op. 111, ma che nel corso di questi stessi anni l'arte di Brahms era pervenuta ad una svolta di capitale importanza, di cui proprio il Quintetto op. 111 costituisce un momento assai significativo.

Il primo Quintetto nasce infatti fra la primavera e l'estate del 1882, più o meno contemporaneamente ad opere come il Trio con pianoforte op. 87 e il «Gesang der Parzen» op. 89; nel pieno, quindi, della maturità di Brahms. È un periodo di particolare «felicità», che proprio con questi tre lavori si interrompe bruscamente, quasi un segno della precoce vecchiaia spirituale del compositore. D'ora innanzi sarà di nuovo il tempo delle fatiche: Brahms sembra come apprestarsi a concludere la propria parabola, a dare una serie di «opere ultime». I tre anni successivi sono dedicati alla terza e alla quarta Sinfonia; con quest'ultima Brahms abbandonerà per sempre l'orchestra, conscio di aver realizzato, adattando strutturalmente le risorse del grande organico sinfonico ottocentesco al gigantesco edificio di trentadue variazioni che termina la Sinfonia, la più completa sintesi di storia e di progresso che fosse possibile applicare a tutte le dimensioni dell'atto compositivo: da quelle tecniche (strumentazione, tecnica della variazione melodica, armonica e ritmica, architettura formale) a quelle più spirituali, alla stessa intuizione poetica. Negli anni che seguono, la ricerca di una conclusione ideale anche nella musica da camera: nell'88, la Sonata in re minore per violino e pianoforte segna una tappa che potrebbe ancora una volta essere l'ultima. Brahms continua a coltivare solo il suo campo di esercitazioni più privato, non per nulla disimpegnato rispetto ai problemi della costruzione formale pura, quello della musica vocale e corale.

Non sorprende quindi che, com'è sicuramente testimoniato, Brahms, ormai vicino ai sessant'anni, abbia espresso l'intenzione di «ritirarsi» col Quintetto op. 111. Esso nacque nell'estate del 1890: già da alcuni mesi, però, Brahms aveva covato il progetto di scriverlo. A suggerirgli l'idea era stato, in gennaio, Joseph Joachim, il violinista celeberrimo che fu per tutta la vita di Brahms, a parte qualche raffreddamento passeggero, il più intimo dei suoi amici e il più ascoltato dei suoi consiglieri, secondo per importanza solo a Clara Schumann. Piacque a Brahms l'idea di dare un gemello al Quintetto op. 88: amava molto questa composizione, che pure in Clara Schumann e Joachim aveva destato a suo tempo qualche perplessità, a proposito del finale. Aveva anzi scritto, al suo editore: «posso dirvi di non aver mai ascoltato un'opera così bella, e che fosse mia»; ne aveva curato personalmente {come avrebbe poi fatto anche per l'op. 111) una riduzione per pianoforte a quattro mani.

Tanto più che l'organico stesso del quintetto per archi doveva attrarlo particolarmente. Non sarà certo sfuggito ad un uomo di tanto profondo senso storico come il quintetto d'archi, nella tradizione settecentesca, avesse trovato una sua collocazione nell'ambito di una pratica sostanzialmente diversa dalla destinazione colta del quartetto classico: più vicino, in certo senso, al Divertimento che alla Sonata. Così, anche senza ripetere il clima entusiastico che aveva accompagnato la composizione del Quintetto op. 88 (in calce ad ogni movimento aveva annotato «Primavera 1882», a sottolinearne il carattere di estrema felicità; e «Frühlings-quintett», Quintetto della primavera, sarebbe poi stato soprannominato il lavoro), poteva dare a quello che riteneva il proprio addio alla musica il significato di una serena conclusione, senza l'incubo di un confronto inevitabile con l'eredità beethoveniana.

Si sbagliava, comunque: anzi che alla fine della propria carriera, Brahms era alla vigilia di una stagione breve ma intensa, che lo avrebbe visto dettare con le ultitime raccolte pianistiche, con le composizioni cameristiche con clarinetto, il suo testamento vero, tanto più alto quanto più decantato da ogni cascame di esteriore psicologismo, pur nella presenza costante di una controllata inquietudine, da ogni fatica di ricerca pur nell'ambito di un disegno compositivo di modernissima capillarità. E proprio nella vicinanza, stilistica oltre che cronologica, alle ultime pagine di Brahms vanno cercati i motivi che rendono in fondo più importante il secondo Quintetto rispetto al primo. Il maggior rilievo dato nell'op. 111 alla prima viola di contro alla supremazia del timbro più brillante dei violini nell'op. 88 è di per sé un fatto significativo. E ancor più emblematico è il diverso rapporto con la forma: v'è tanta più libertà interna nei quattro movimenti classici del Quintetto in sol che non nella struttura un po' anomala di quello in fa, dove nella forma sonata si eludono le tradizionali tensioni fra tonica e dominante, dove ai due tempi centrali si sostituisce un unico movimento irregolare anche nell'itinerario tonale, dove il finale si rivolge alla scienza del contrappunto intesa, in parte, in un senso leggermente accademico. Lo sforzo titanico della quarta Sinfonia aveva finalmente consentito a Brahms di manipolare la forma con una disinvoltura forse mai raggiunta prima, usando gli schemi con piena agilità, senza più la minima traccia di costrizione.

Quintetto in fa maggiore, op. 88

Il primo movimento, «Allegro non troppo ma con brio», si presenta come una costruzione tanto compatta quanto articolata e scorrevole. L'esposizione presenta, accanto ai due temi principali, cinque idee secondarie, caratterizzate più o meno chiaramente. Il primo tema, esposto sin dall'inizio dai violini, è particolarmente ricco di spunti motivici, germinati per uno spontaneo processo di variazione dalle cellule iniziali, sì da costituire, piuttosto, un gruppo tematico già sviluppato al proprio interno. Un episodio di transizione conduce, modulando, al secondo tema, caratterizzandosi come un'idea secondaria, di particolare evidenza ritmica. Il secondo tema è in la minore, anziché in do, come vorrebbe lo schema classico della forma sonata: è composto di un antecedente di quattro note, subito variato ritmicamente in valori più brevi, secondo un procedimento tipicamente brahmsiano. Una cesura nel discorso degli strumenti consente alla prima viola di esporre, nel nuovo clima espressivo determinato da un inatteso passaggio a la maggiore, un gruppo di tre brevi idee secondarie; a queste fa seguito, prima che si concluda l'esposizione, un'ultima idea, affidata al primo violino, derivata dal primo gruppo tematico. Lo sviluppo, relativamente breve, finisce per assumere quasi il carattere di un intermezzo fra un'esposizione così densa ed una ripresa, altrettanto estesa, ad essa simmetrica.

Tutto questo primo movimento sembra evitare dunque la connotazione dialettica (spesso, anzi, drammatica) propria alla forma sonata in certi momenti della sua storia: la contrapposizione fra i caratteri espressivi dei temi cede qui il campo ad una serrata trama di relazioni analogiche; alla netta polarizzazione fra i gruppi tematici nella tonalità d'impianto e quelli alla dominante si sostituisce la coesistenza pacifica di tonalità fra di loro «lontane» a norma di trattato (nel gioco mobilissimo delle modulazioni, anzi, il do maggiore, tonalità della dominante, non viene toccato che di sfuggita). Anche l'ascoltatore digiuno di cognizioni tecniche saprà cogliere il carattere espressivo di questo primo tempo, dove tutte le tensioni sono sfumate, calibratissime, dove l'equilibrio interno fra tanta dovizia di proposte melodiche, ritmiche ed armoniche suggella la felicità di una costruzione cosi armoniosa da non tradire minimamente la fatica del comporre.

Lo schema normale della grande forma prevederebbe a questo punto movimenti antitetici, l'uno in tempo lento, l'altro in forma o in funzione di scherzo. Brahms vi sostituisce in questo quintetto una costruzione abbastanza inusitata, che riunisce l'uno e l'altro principio nello schema di un rondò variato, articolato in cinque sezioni nettamente distinte. La prima reca l'indicazione «Grave ed appassionato»: è un tema di sarabanda (ripreso da un lavoro del 1855) sviluppato brevemente lungo un percorso armonico anche assai ardito, ma che non riesce ad intorbidarne l'andatura meditativa di danza stilizzata. Ad essa succede un altro ritmo di danza, una siciliana in tempo «Allegretto vivace»; quindi una ripresa variata della sarabanda. Il quarto episodio, «Presto», ha la stessa funzione di scherzo svolta dalla siciliana: è infatti una variazione di questa, tanto abile quanto approfondita. Ancora una ripresa variata della sarabanda, quindi il tempo si conclude su di una coda: è una cadenza dilatata in accordi che verrebbe fatto di definire «puri», tanto le successioni armoniche si scostano dalla banale sottolineatura della tonalità. L'omaggio a stilemi barocchi, l'apparente pasantezza nella struttura per blocchi non depistano l'ascoltatore attento, che ritrova in questo secondo movimento la straordinaria libertà armonica e il senso modernissimo della variazione, intesa come principio e come sorgente prima dello stesso atto del comporre, che fecero amare a Schönberg «Brahms il progressivo».

Per l'ultimo movimento, si può essere tentati di concordare con le riserve che vi mossero Clara Schumann e Joachim. La maestria compositiva riesce a fondere con abilità sbalorditiva lo schema della sonata con quello di una fuga a due soggetti in un'unico, coerentissimo edificio formale; il discorso strumentale è vivacissimo, sapientemente scandito secondo un infallibile intuito nell'alternare il pieno ed il vuoto. Tuttavia, è difficile ritrovarvi l'opulenta espressività del primo tempo, o la pudica profondità del secondo: il suo ruolo resta in fondo quello di completare (egregiamente, del resto) il panorama espressivo del Quintetto con una serena escursione nella categoria del brillante.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 febbraio 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 febbraio 1996
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 15 marzo 1978

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Ultimo aggiornamento 31 gennaio 2019