Ein deutsch'es Requiem (Requiem tedesco) per soli, coro e orchestra, op. 45


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
Testo: dalla Bibbia
  1. Selig sind die da Leid tragen - coro - Ziemlich langsam und mit Ausdruck [Abbastanza lento e con espressione] (fa maggiore)
  2. Denn alles Fleisch es ist wie Gras - coro - Langsam, marschmässig [Lento, tempo di marcia] (si bemolle minore)
  3. Herr, lehre doch mich - baritono e coro - Andante moderato (re minore). Fuga (re maggiore)
  4. Wie lieblich sind deine Wohungen - coro - Mässig bewegt [Andante moderato] (mi bemolle maggiore)
  5. Ihr habt nun Traurigkeit - soprano e coro - Langsam [Lento] (sol maggiore)
  6. Denn wir haben hie - baritono e coro - Andante (do minore). Fuga (la minore)
  7. Selig sind die Toten - coro - Feierlich [Solenne] (fa maggiore)
Organico: soprano, baritono, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto ad libitum, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, 1 o 2 arpe, organo ad libitum, archi
Composizione: Baden-Baden, Agosto 1868
Prima esecuzione: Brema, Cattedrale di San Pietro, 10 Aprile 1868
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia e Winterthur, 1868
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Frutto di una lunga gestazione, che va dal 1854 al 1868, Ein deutsches Requiem op. 45, appartiene alla prima fase creativa di Brahms. L'idea originaria di questo grande affresco per soprano, baritono, coro e orchestra, si fa risalire alla morte dell'amico Robert Schumann, avvenuta nel 1856, e al recupero di alcuni elementi di una sonata per due pianoforti, in re minore, scritta nel 1854: il movimento iniziale fu impiegato, in posizione analoga, nel Primo concerto per pianoforte, mentre l'Adagio fu utilizzato nel secondo movimento del Requiem tedesco.

Il progetto di un Requiem prese forma probabilmente dopo la morte della madre di Brahms, nel febbraio del 1865, visto che lo stesso anno furono portati a termine tre dei sette movimenti in cui si articola la composizione nella sua veste definitiva (e precisamente il primo, il secondo e il quarto). Nell'aprile del 1866 Brahms compose il terzo movimento, e durante l'estate anche il sesto e il settimo. Un'esecuzione parziale della partitura, limitata ai primi tre movimenti, avvenne il 1° dicembre 1867, con johannes Herbeck sul podio e il baritono Rudolf Panzer come solista. E fu un disastro. Ciononostante, Karl Reinthaler, maestro di cappella nel duomo di Brema, era così convinto della bellezza di questa composizione che se ne assicurò la prima esecuzione completa, che diresse il 10 aprile del 1868, il giorno del Venerdì santo, nel duomo di Brema (con Julius Stockhausen come solista). Questa volta il successo fu tale che il Requiem tedesco venne replicato il giorno successivo, e l'eco di questo trionfo contribuì in maniera decisiva a consolidare la fama di Brahms in tutta la Germania e nel resto dell'Europa. Mancava però ancora, rispetto alla versione definitiva, il quinto movimento (con soprano solista), che Brahms compose solo nei mesi successivi e che fu eseguito in forma privata il 17 settembre 1868 a Zurigo (col soprano Ida Suter-Weber e diretto da Friedrich Negar) e fu poi inserito stabilmente all'interno del Requiem. La versione integrale in sette movimenti fu eseguita per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia il 18 febbraio 1969 con Carl Reinecke sul podio, e Emilie Bellingrath-Wagner e Franz Krükl come solisti.

Il Requiem tedesco ha l'organico tipico del grande oratorio romantico, ma non ne ha i caratteri: manca infatti la dimensione del racconto, le arie, i cori, l'azione drammatica. Non ha nemmeno alcun rapporto con la Missa pro defunctis della liturgia cattolica, non ha la teatralità del rito romano, è piuttosto un lavoro meditativo, privo di contrasti drammatici, un'opera corale che riflette la concezione protestante della morte, intesa come trapasso a una vita migliore, un lavoro quindi profondamente tedesco, più vicino agli oratori di Bach che alla dimensione spettacolare del Requiem di Berlioz o di quello verdiano.

Il testo è costituito da passi tratti dall' Antico e dal Nuovo Testamento, selezionati e montati dallo stesso Brahms in maniera del tutto personale, ma in modo da dare a ciascun movimento sostanza poetica e un preciso significato. Il risultato è un affresco corale di grande intensità espressiva, che fa tesoro delle precedenti esperienze del Begräbnisgesang op. 13 (Canto funebre) composto nel 1858, per l'atmosfera cupa che lo pervade, e della Cantata Rinaldo op. 50, per il trattamento del coro e dell'orchestra. I primi tre movimenti si possono raggruppare in una grande descrizione delle miserie della vita terrena e della sua fragilità, e introducono temi come la consolazione per i vivi, la confidenza nella bontà divina, l'attesa della resurrezione. Gli altri quattro movimenti evocano invece la felicità della vita eterna, la redenzione del mondo da parte di Cristo, la consolazione del Paradiso che attende l'uomo dopo le sofferenze dei giorni terreni. Brahms crea una solida architettura, dominata dalle tonalità maggiori (non da quelle minori come sarebbe logico in un Requiem - anche i movimenti in tonalità minore si concludono in maggiore), ricorrendo a forme semplici nei movimenti estremi (il I e il VII in forma di Lied) e in quelli centrali (un rondò nel IV movimento, e una semplice forma ternaria nel V), adottando una scrittura tendenzialmente statica e un'orchestrazione priva di colori brillanti.

Nel primo movimento in fa maggiore, Ziemlich langsam und mit Ausdruck (Moderatamente lento con espressione), mancano ad esempio i violini e l'ottavino, i clarinetti, le trombe, la tuba e i timpani. Dopo una cupa introduzione dominata dalle semiminime ribattute dei bassi, il coro intona il celebre frammento del Discorso della Montagna (Matteo 5, 4) - «Selig sind, die da Leid tragen» (Beati coloro che soffrono) - su un motivo di tre note (fa - la - si bemolle) che costituisce una sorta di cellula generatrice di tutto il materiale tematico. Il movimento conserva un incedere lento e austero, con alcune sottolineature dell'orchestra (ad esempio la parola «Leid», sofferenza, è sottolineata da un accordo dei tromboni, e seguita da un breve disegno ascendente dell'oboe, che anticipa il motivo della consolazione, «getröstet werden»), con una sezione centrale in re bemolle maggiore - «Die mit Tränen säen » (Quelli che seminano nelle lacrime raccoglieranno nella gioia: Salmo 125) - sottolineata dalla presenza angelica delle arpe, che poi ritornano a illuminare anche la coda.

Il secondo movimento - «Denn alles Fleisch, es ist wie Gras» (Poiché tutta la carne è come l'erba) - è una strana marcia funebre in si bemolle minore, su un ritmo ternario, quasi di sarabanda, scandito dai timpani. Brahms mescola frammenti di testo diversi (I Lettera di Pietro 1, 24, 25; Lettera di Giacomo 5, 7; Isaia 35,10) e crea due ampie sezióni musicali contrastanti: alla marcia in tonalità minore si contrappone così una sezione centrale in sol bemolle maggiore -«So seid nun geduldig, liebe Brüder» (Ma voi fratelli attendete con pazienza l'avvento del Signore) - un po' più animata e dal carattere sereno, che ben si adatta all'immagine del contadino che attende il frutto della terra. Dopo la ripresa del tema iniziale, che emerge prima in pianissimo, poi viene scandito in fortissimo, come l'incombere di un destino implacabile, e una breve transizione (Un poco sostenuto), il movimento si conclude con un ampio fugato (Allegro non troppo) in si bemolle maggiore - «Die Erlöseten des Herrn werden wieder kommen, und gen Zion» (I redenti dal Signore ritorneranno e andranno verso Sion con giubilo) -: un fugato basato su un tema pieno di slancio, e trattato in maniera molto libera, ricco di colpi di scena, di scarti agogici, di accelerazioni improvvise, di illustrazioni dirette del testo.

Anche il terzo movimento - «Herr, lehre doch mich» (Fammi sapere, o Signore) -, basato sul Salmo 39 e sul Libro della Sapienza (3, 1), può essere letto come un grande preludio seguito da una fuga: la prima parte, un Andante moderato nel quale fa il suo ingresso il baritono solista, è basata su una struttura responsoriale dove ogni versetto declamato dal solista viene ripreso dal coro; la sezione centrale («Ach, wie gar nichts») è sottolineata da un improvviso passaggio al maggiore, dal metro ternario, dallo sfogo lirico del solista cui risponde il drammatico richiamo del coro - «Nun, Herr, wes soll ieri mich trösten?» (Ora signore cosa posso sperare?) - che poi si spegne sugli accordi ribattuti dei legni; il movimento si conclude con una grandiosa fuga in re maggiore - «Der Gerechten Seelen sind in Gottes Hand» (Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio) - con tre sviluppi, appoggiata, per tutta la sua durata, su un pedale di re (Brahms prescrive in partitura che i contrabbassi accordino la corda più grave, quella di mi, un tono sotto).

Una dimensione quasi pastorale emerge invece nel quarto movimento, di nuovo affidato al solo coro - «Wie lieblich sind deine Wohnungen» (Quanto sono amabili le tue dimore: Salmo 84) -, in un tempo moderatamente mosso (Mässig bewegt): è il centro luminoso del Requiem tedesco, un canto di gioia e di lode, aperto da un'ampia arcata dei soprani, caratterizzato da un'orchestrazione trasparente e leggera, e da una scrittura polifonica che si infittisce solo negli episodi centrali.

Il quinto movimento - «Ihr habt nun Traurigkeit» (Anche voi ora siete tristi) - è una grande aria per soprano e coro, in forma tripartita, che ricorda le arie delle Passioni bachiane: un'aria dall'espressione estatica, accompagnata da morbidi arabeschi, basata sul commiato di Gesù ai suoi apostoli durante l'ultima cena (Giovanni 16, 22), che si alterna con altri versetti della Bibbia intonati dal coro (Siracide 51, 35; Isaia 66, 13). Dopo una sezione centrale molto modulante («Sehet mich an»), nella ripresa il tema si espande e vien ripreso alla fine dal soprano solista insieme ai tenori, in un sofisticato canone per aumentazione.

Avviato da un accordo trascolorante tra archi e legni, il sesto movimento (Andante) - «Denn wir haben hier keine bleibende Statt» (Poiché qui siamo privi di una stabile dimora) - ha una struttura musicale articolata e drammatica, che distribuisce i diversi passi biblici (Lettera agli Ebrei 13, 14; Lettera ai Corinzi 15, 51-55; Apocalisse 4, 11) sul tema della speranza della Redenzione, in otto diversi episodi. Culmine drammatico è l'episodio Vivace che richiama il giorno del giudizio - «Denn es wird die Posaune schallen, unddieToten werden auferstehen unverweslich» (Suonerà, infatti, la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti) -, quadro apocalittico, movimentato dai martellanti blocchi corali, dagli ostinati di semicrome negli archi, dallo squillo degli ottoni, dagli sviluppi modulanti. Il progressivo accumulo della tensione sfocia ancora una volta in una grande fuga conclusiva, in do maggiore, a due soggetti: una fuga gioiosa, che celebra la potenza del Signore.

Il movimento finale - «Selig sind die Toten» - è una pagina solenne (Feierlich) che ritorna al fa maggiore iniziale, e chiude anche concettualmente la parabola che va dal «Beato chi vive nel dolore», al «Beato chi muore nel Signore» («Selig sind die Toten, die in dem Herrn sterben»), sulla base di un frammento dell'Apocalisse (14, 13) già usato da Schütz nel Musikalisches Exequiem. È una pagina di estrema semplicità formale (ABA), che evoca la pace celeste (e ricorda l'antifona «In Paradisum» del Requiem latino), grazie anche all'orchestrazione diafana e alla morbida melodia dei soprani, echeggiata dai bassi e poi ripresa in forma di corale. Un'improvvisa frase solenne, accompagnata in pianissimo dai tromboni («Ja der Geist spricht»), introduce la seconda parte, in la maggiore, accompagnata dalle linee bucoliche di oboe e flauto, momento consolatorio, pieno di inflessioni cantabili, che paragona la morte al riposo dal lavoro. Dopo la ripresa, il movimento si conclude, ciclicamente, con una citazione del motivo tricordale del primo movimento («Selig sind») e della coda dello stesso, nove battute nelle quali ricompaiono le arpe che suggellano il finale paradisiaco, promessa di beatitudine e di consolazione.

Gianluigi Mattietti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La prima esecuzione del «Requiem tedesco» nella versione definitiva in sette parti ebbe luogo il 18 febbraio 1869 al Gewandhaus di Lipsia, sotto la direzione di Carl Reinecke: fu un grandissimo successo, al pari di quanto era avvenuto il 10 aprile (Venerdi Santo) dell'anno precedente nella cattedrale di Brema per la presentazione del lavoro (dirigeva Brahms stesso), in una stesura ancora priva del brano che, composto nell'estate successiva, sarebbe entrato della partitura come quinto numero (esito negativo era invece toccato ai primi tre pezzi, eseguiti a Vienna il 1° dicembre 1867, e sottoposti subito dopo a qualche rimaneggiamento). Questa affermazione era la prima che Brahms avesse conseguito con un lavoro di ampie proporzioni, vistosamente impegnativo sul piano della scrittura come su quello degli intenti espressivi e formali; importantissima anche per la sua storia personale di compositore, in quanto capace di bilanciare l'insuccesso clamoroso che in quello stesso Gewandhaus aveva incontrato, una decina d'anni prima, il «Concerto op. 15» per pianoforte e orchestra, la composizione che, di contro al «Requiem», limita l'arco formale e stilistico dell'opera di Brahms prima della piena maturità: simbolo, al di là del suo indubbio valore artistico, dello sfortunato primo approccio del musicista alla grande forma sinfonica.

Di fatto, nel catalogo brahmsiano il «Concerto op. 15» resta l'unico importante lavoro sinfonico negli anni anteriori al «Requiem»: sino al 1873, l'anno delle «Variazioni su tema di Haydn», alla grande orchestra il musicista non si sarebbe più accostato, almeno pubblicamente, se non per unirla al coro e alle voci soliste in opere come appunto il «Requiem tedesco» e, immediatamente seguenti, la cantata «Rinaldo», la «Rapsodia» per contralto e coro virile, lo «Schicksalslied», il «Triumphlied» (numerati rispettivamente come opera 50, 53, 54, 55). Questo non certo perché l'insuccesso di pubblico e di critica avesse in qualche modo intimidito Brahms; le cause erano del tutto interiori, e se il decennio in cui nacque e si concretò il «Requiem» vide altre rinunce da parte del compositore, ciò fu sintomo evidente di una scelta che era insieme presa di posizione polemica ed esigenza morale. Rinviando ad un futuro magari molto lontano il tentativo sinfonico, s'imponevano adesso quasi i voti di castità e povertà di un noviziato sofferto e cocciutamente paziente, per decenni: il cammino lunghissimo verso una meta da raggiungere, veramente, «buscando el levante por el poniente» (come dire arrivare alla sinfonia attraverso il quartetto, il quintetto ecc.), per poter finalmente esprimere una parola faticosa e faticata, forse però definitiva, e non più uguagliatile se non mutando radicalmente prospettive e linguaggi, mondo morale e tecniche; voltando pagina (e avvicinandosi a cambiar secolo, soprattutto).

Era l'ossessione del secolo, il problema della forma: la sonata, spinta da Beethoven a lacerazioni strutturali e orizzonti fantastici quanto meno sconcertanti, sembrava divenuta per i romantici un'eredità troppo costosa da mantenere, una castagna bollente con cui inevitabilmente scottarsi le dita. Specialmente quando l'approccio alla forma avvenisse nel genere nobilissimo, ma quanto mai problematico della sinfonìa; dove all'ipoteca dei grandi precedenti storici il maggior ribollire del potenziale sonoro, nelle prospettive orchestrali ottocentesche, sovrapponeva il rischio di deviazioni estreriorizzanti, descrittive, coloristiche, nella quasi illimitata alchimia delle combinazioni timbriche. Proprio sul terreno della sinfonia Brahms poco più che ventenne doveva andar incontro allo scacco interiore che avrebbe determinato l'orientamento coerente dei due decenni successivi della sua vita: perché è dalle ceneri di una lungamente meditata, e penosamente abortita, sinfonia in re minore che nacque con faticose trasformazioni il «Concerto op. 15», una volta constatata l'incapacità, comunque l'impossibilità di realizzare l'intenzione originaria. Né gli altri due lavori orchestrali di quegli anni, le «Serenate» òp. 11 e 16, nonostante la freschezza dei risultati artistici, riuscirono a confermare Brahms nel suo tentativo sinfonico; che venne dunque rimandato a tempi migliori, preparandolo con determinata, coraggiosa lentezza attraverso la dura esercitazione sull'eredità dei classici (in tal senso lo aveva spronato il consiglio dello stesso Schumann), restringendosi con severità negli organici della musica da camera. Tace dunque in questi anni l'orchestra brahmsiana; non tace il pianoforte, che però, abbandonata per sempre la sonata dopo i quattro esperimenti degli anni '50, si limita ad esplorare con profetiche recidive il regno della variazione (sotto il cui segno si sublimerà, col finale della «Quarta», il cammino sinfonico brahmsiano).

Ma se Brahms inseguiva e perfezionava il dominio della forma sotto il segno della classicità nell'opera cameristica, anche sviluppava e sempre più caratterizzava il proprio linguaggio in quella vocale: dove gli era più agevole coltivare, proseguire, sfruttare e ampliare i due filoni lessicali che tanto diffusamente avrebbero informato, in tutte le fasi della sua attività e sotto le più diverse connotazioni poetiche ed estetiche, quasi ogni pagina sua, il corale e il «Lied». È in questa dimensione che si elabora l'humus melodico e armonico che troveremo alla base del «Requiem tedesco»: una scelta operata in fondo con naturalezza, così come con naturalezza Brahms aveva sposato la causa ideologica che macroscopici fraintendimenti dei suoi avversari, non meno che di certi suoi sostenitori (e fra questi il grande Hanslick), avrebbero poi tacciato o contribuito a far tacciare di «reazionaria», e che con quegli stessi orientamenti linguistici è certo per più rispetti legata.

Gli anni '60, infatti, si aprono per Brahms con un gesto «pubblico», la firma apposta ad un manifesto contrario alla scuola «Neotedesca»; il cui corifeo è Liszt, il Liszt dei grandi poemi romantici, dove le ragioni dell'elaborazione formale si sottomettono all'urgenza della eespressione, e più vistosamente alla tentazione descrittiva del «programma» letterario; ma anche il Liszt che scioglie, o stempera, l'emozione religiosa in ampie composizioni sacre e oratoriali, informandole di un misticismo cattolico oggi per noi suggestivo quanto mai, per un Brahms, allora, probabilmente sgradevole, fin indecente quanto la veste talare che l'ungherese andò a cercarsi poi, fra peccati e suggestioni controriformistiche, in una Roma che oltre ad essere la città dei Papi, si preparava pure a diventare il teatro delle prime gesta di D'Annunzio adolescente (e non è tanto paradossale, a pensarci bene, che Brahms abbia potuto apprezzare invece il «cattolicesimo» del tutto diverso della «Messa» di Verdi). E gli anni '60 sono, soprattutto, gli anni di «Tristano»: e i maestri romantici, quasi tutti, sono scomparsi dalla scena della vita, e fra di loro quello che per pochi, importantissimi anni, aveva vegliato sulla giovinezza di Brahms, Robert Schumann. L'invadenza di istanze teatrali, comunque contenutistiche, tutt'uno con l'estenuata tensione cromatica dell'armonia tristaniana, fors'anche un sentimento religioso che inevitabilmente marciava in direzione della decadente sensualità del «Parsifal»: questo il nemico da battere, o comunque qualcosa da cui differenziarsi, per poter essere se stessi. «Non è possibile sottrarsi a questo influsso del presente che io sento nefasto e non tradire la musica che mi è necessaria, e che io voglio salvare dal tempo? Non la musica che mi impongono gli altri, ma quella cui aspira tutto il mio gusto, la mia coscienza, la mia profonda volontà?».

Identità individuale, per Brahms non meno che per qualunque uomo del secolo XIX, era anche coscienza dell'identità della nazione, quella germanica nel caso specifico, che al profondo, naturale umanesimo di lui non pareva potersi separare, in musica come altrove, dalla continuità della tradizione. E tradizione, in tal senso, significava, magari scavalcando Beethoven, Bach e Handel, la polifonia a cappella di Heinrich Schùtz, la moralità severa di tre secoli di Riforma, nutrita di contrappunto e di corale; Brahms il «progressivo», come lo avrebbe salutato il padre della musica radicale del nostro secolo, mira adesso a «salvarsi dal tempo», saldamente ancorato alla sicurezza di un linguaggio consacrato dalla storia, per poter poi, senza crociate estetiche e ambizioni filosofiche, additare alla musica principi organizzativi non ancora esauriti, capaci di germinare in futuro proprio linguaggio di imprevedibile novità. Come dunque Brahms prepara il dominio superbo della forma seguendo la scia del classicismo viennese, cosi segue con autentico entusiasmo la Bach-Renaissance, la Händel-Renaissance, divorando via via che escono a stampa, i volumi delle edizioni complete dei due maestri, seguendo nell'avido e gioioso ritorno alle fonti la scia del grande pioniere di questa operazione, Felix Mendelssohn-Bartholdy (giusto lui, un quarto di secolo prima, aveva posto quello che parrebbe essere il più autorevole precedente del «Requiem tedesco», quella «Symphonie-Cantate nach Worten der heiligen Schrift» intitolata «Lobgesang» (Canto di lode).

Lo spirito del «Requiem», al pari dell'opera mendelssohniana, riconduce dichiaratamente alla civiltà protestante tedesca. Nel titolo, che non ha certo bisogno di commenti; nella scelta del testo, anche questo messo insieme «su parole della Sacra Scrittura», che oltre ad essere parola di Dio è anche pietra miliare, nella versione tedesca di Martin Lutero, dell'unificazione linguistica della nazione; nei significati religiosi che i frammenti biblici sembrano sottolineare, proponendo una meditazione sulla morte e la salvezza eterna certo non grettamente confessionalista, ma chiaramente radicata nella teologia protestante; nei connotati stilistici del tessuto musicale, al primo ascolto riconducibili con facilità agli interessi culturali e agli orientamenti artistici cui si accennava dianzi, con palese evidenza di certe valenze espressive nello stesso ricorso a questa o quella «forma» storica (la funzione dei fugati, per esempio, posti sempre come coronamento risolutivo, persin catartico, della tensione accumulata in determinate sezioni del «Requiem»). Quello che l'opera brahmsiana non pare se non in minima misura riprendere dai maestri ideali del passato è il drammatismo che, sia pur sublimato e assolutamente indenne da esteriorità teatrali, anima tante pagine degli oratori handeliani come delle «Passioni» di Bach, e che puntualmente ricompare nello stesso Mendelssohn: la moralità, la filosofia della musica così coerentemente presidenti a tutto il cammino creativo di Brahms, nonché trattenerlo a distanza, più che rispettosa, sdegnosa dal teatro, non gli lasciarono toccare che di striscio lo spirito stesso dell'oratorio, pur tanto amato nei frequentatissimi capolavori del passato. Di fatto, il «Requiem tedesco» sembra essenzialmente postulare una dimensione «liturgica», ancorché spontaneamente laica: puramente ideale, del resto, che la tradizione riformata non concepisce musica «sacra» al di fuori del canto dell'assemblea, e restringe il concetto stesso di liturgia ad un evento non codificato, comunque di ruolo secondario.

Significato quasi di «Introito» sembra svolgere la prima sezione del «Requiem»: la strumentazione, da cui sono esclusi i violini, disegna con immediata efficacia il clima espressivo del brano; il discreto intervento dell'organo, previsto ad ogni buon conto «ad libitum», come semplice raddoppio dei bassi, anziché sostenere magniloquenze sonore, rifuggite in nome di una assorta semplicità, sottolinea il senso «liturgico» di questa sezione. Di essa occorrerà tener memoria quando, nel brano conclusivo della partitura, lo stesso materiale musicale rivestirà parole abbastanza simili a queste. La vocalità di questo primo numero scioglie l'andamento essenzialmente omoritmico, da corale, del primo versetto, in un discorso più fluido, alle parole «Die mit Tränen...» (Quelli che seminano con lacrime mieteranno con canti), mentre al ripieno orchestrale, sostenuto principalmente dagli archi (contrabbassi, violoncelli «a tre», viole); il gioco delle imitazioni contrappuntistiche si articola fino a sfociare nella ripresa delle parole iniziali «Selig sind...» (Beati coloro che soffrono).

La seconda sezione, forse la più popolare del «Requiem», utilizza non casualmente un relitto della mancata sinfonia giovanile, lo Scherzo che, espunto dalla rielaborazione in forma di concerto solistico, compare all'inizio di questo brano; il suo carattere funebre, quasi di marcia nonostante la scansione ternaria, nasce anche dalla trasposizione al modo minore, senza eccessive modifiche, dello stesso spunto melodico che aveva introdotto, affidato a successivi interventi degli archi, il primo numero della partitura: un frammento, secondo quanto rivelò lo stesso Brahms, del celebre corale «Wer nur den lieben Gott», che il coro sovrappone alla ripetizione dell'idea tematica già proposta dalla sola orchestra (gonfia di ottoni, compresa la tuba, mossa dalle terzine «beethoveniane» dei timpani, arricchita da un'arpa in funzione tutt'altro che decorativa). Portata ad un crescendo di estrema incisiva eloquenza, la prima parte dello «scherzo» lascia il campo ad una sezione contrastante, che al cupo incedere della prima, modellandosi su parole più liete, oppone una fluida discorsività quasi liederistica, dove il modo maggiore guadagna in leggerezza dalla trasparenza della strumentazione. Una brusca impennata, come un breve recitativo corale, apre la via ad un monumentale fugato: «Aber des Herrn Wort... - Die Erlöseten...» (Ma la parola di Dio dimora in eterno. E coloro che soffrono saranno riscattati). Nel robusto discorso contrappuntistico si insinuano, imprevedibili, «ristagni» ritmici e armonici tipicamente brahmsiani, sino al rallentando conclusivo sulle parole «Ewige Freude» (Gioia eterna).

Un episodio responsoriale, affidato al baritono solista di contro al coro, apre la terza parte: il tema è la caducità della vita dell'uomo. Alla compassata espressività dell'invocazione del solista, oppone un elemento di più bruciante drammaticità la ripresa da parte dell'orchestra di una cellula secondaria di quella, una semplice fioritura, trasformata quasi in un lancinante «memento mori». Un interrogativo, ancora del solista («Ma ora, o Signore, come posso consolarmi?»), trova immancabilmente risposta in un altro ampio fugato corale («La mia speranza è in te»). Il quarto coro, che Brahms stesso aveva, al tempo della composizione dell'opera, voluto sottrarre, almeno per il momento, al giudizio dell'amico Joachim, giudicandolo «la parte più debole», è in realtà un delicatissimo intermezzo, essenziale nella sua tersa semplicità a ristabilire l'equilibrio dopo le ambiziose strutture delle sezioni precedenti, pur non rinunciando, ancora una volta, al coronamento contrappuntistico. Con esso si lega il carattere del brano successivo, l'ultimo composto da Brahms, un «Lied» del soprano solista, dove l'espressività affettuosa della semplice linea melodica, unita alla lievissima tinta della strumentazione, non esclude improvvisi ripiegamenti, in cui il cambiamento di modo dal maggiore al minore può ricordare addirittura certa scrittura liederistica del Mahler prima maniera.

Il «Requiem tedesco» si avvia alla conclusione col sesto brano, il più ambizioso e magniloquente, strutturato in tre sezioni. Nella prima, un recitativo di sapore fra l'ecclesiastico e il bachiano del baritono prepara, assieme agli incalzanti interventi del coro, le fiammeggianti prospettive sonore di quello che può essere giudicato come il «Dies irae» di quest'opera, destinato a placarsi in un lungo fugato scopertamente memore della lezione baehiana. La chiusa giunge, pacificante, col settimo coro, che riprendendo l'atmosfera del primo brano suggella coi pizzicati degli archi e le pennellate «elisie» dell'arpa e dei legni la raggiunta fede nella beatitudine della morte.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 Aprile 2011
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Basilica di san Lorenzo, 29 giugno 1977

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 4 luglio 2019