Serenata n. 1 in re maggiore per orchestra, op. 11


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro molto (re maggiore)
  2. Scherzo. Allegro non troppo (re minore). Trio: Poco più moto (si bemolle maggiore)
  3. Adagio non troppo (si bemolle maggiore)
  4. Menuetto I (sol maggiore) - Menuetto II (sol minore)
  5. Scherzo. Allegro (re maggiore). Trio
  6. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1857 - 1858
Prima esecuzione: Amburgo, Konzertsaal auf dem Kamp, 28 Marzo 1859
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il genere della "musica d'intrattenimento" conobbe all'avvio dell'800 una progressiva diversificazione: se da una parte sembravano passare di moda i Divertimenti, le Serenate, i Notturni, le Cassazioni del classicismo viennese, dall'altra parte risultavano in continua ascesa nel favore dei committenti, e del pubblico, le Marce, le Scozzesi, i Ländler e altre forme di danza. Mezzo secolo dopo, quando Brahms prese in considerazione questo genere creativo, la società civile era cambiata nel profondo: più che la necessità di scrivere su commissione per una festa o una circostanza celebrativa, c'era l'intenzione d'un ripensamento estetico d'uno schema del passato, per lo più privato della sua funzione originaria.

Al genere della Serenata Brahms accedette negli anni in cui la sua esistenza si svolgeva tra Amburgo e Detmold, ove era direttore d'una formazione corale e, saltuariamente, della piccola orchestra di corte. Erano gli anni 1857-58, ma già dal 1854 Brahms era entrato nell'ordine di idee d'affrontare la "grande forma", cercando di realizzare una sinfonia con il materiale d'una Sonata in re minore per due pianoforti: quel materiale tematico avrebbe, di lì a poco, trovato il suo sbocco naturale nel Primo Concerto per pianoforte e orchestra op. 15 (1857-58), la cui genesi, curiosamente, venne ad intersecarsi con quella della Serenata in re maggiore. In effetti, tra i due lavori non c'è alcuna possibilità di raffronto, tale è il distacco che distingue l'impetuosa drammaticità del Concerto rispetto all'atmosfera serena dell'altra composizione.

Ai giovanili ardori impulsivi Brahms già allora stava orientandosi a sostituire una sorta di distacco dalle passioni. In una lettera a Clara Schumann del 10 ottobre 1857 v'è il seguente inciso: «Le passioni non sono connaturali all'uomo. Sono sempre eccezione o anomalia. La persona in cui esse eccedono rispetto alla giusta misura dev'essere considerata malata e deve ricevere cure mediche per preservare vita e salute. Il vero uomo ideale è tranquillo nella gioia e tranquillo nel dolore e nella sofferenza. Le passioni devono passare presto oppure bisogna reprimerle». Non per questo Brahms trovava alcuna soddisfazione nella monotonia della vita sonnolenta alla corte del principato di Lippe-Detmold, ove videro la luce l'op. 11 e la sua gemella op. 16, instaurando un procedimento creativo a coppia che avrebbe dato frutti cospicui nella sua produzione futura. Alla sensibilità del musicista parlava, già allora, il paesaggio circostante e, da autentico Wanderer romantico, si dilettava ad esplorare il Teutoburgerwald con lunghe camminate, mentre prorompente si manifestava in lui il culto dell'antico, anche per la suggestione provata all'ascolto, o alla concertazione, di Cassazioni, Serenate, Divertimenti di Haydn e di Mozart nell'attività concertistica dell'orchestra di Detmold, ove brillava il virtuosismo degli strumentisti ai fiati. L'idea di scrivere una Serenata si associò al primitivo proposito di comporre un pezzo cameristico, inizialmente in tre tempi per nove strumenti (flauto, due clarinetti, corno, fagotto e quartetto d'archi): a tale progetto Brahms lavorò nell'estate 1858 a Göttingen, durante le vacanze vissute assieme a Clara Schumann e ad un gruppo di amici fidati, tra cui Grimm, che si premurò d'organizzare una prima lettura della stesura iniziale. Perplessità di vario genere furono avanzate però dagli amici musicisti e anche Joachim si mostrò dubbioso sull'originalità dell'organico strumentale. Al loro suggerimento d'una ristrumentazione per orchestra da camera Brahms accedette di buon grado, procedendo nei primi mesi del 1859 all'orchestrazione e includendovi altri tre movimenti abbozzati nei mesi precedenti a Detmold. La seconda stesura della Serenata in re maggiore op. 11 in sei movimenti e per piccolo organico orchestrale fu ultimata il 16 marzo 1859 e venne diretta da Joachim ad Amburgo il 28 marzo alla Sala Wörmer. Benché l'esito fosse positivo - come risulta dallo scambio di lettere tra Brahms (29 marzo 1859) e Clara Schumann (31 marzo 1859) - il musicista non si dichiarò ancora soddisfatto della soluzione, orientandosi ad allargare al grande organico orchestrale la strumentazione (flauti, pboi, clarinetti, fagotti e trombe a due, quattro corni, timpani e archi): in tale versione la Serenata in re maggiore op. 11 venne data alle stampe ed eseguita ad Hannover il 3 ottobre 1860. Se Clara Schumann dichiarò d'apprezzare in quest'opera «la tessitura molto più chiara» rispetto a quella del Primo Concerto, il recensore della lipsiense "Neue Zeitschrift für Musik" ravvisò «nel colore orchestrale fresco e suggestivo di forza giovanile», negli episodi imitativi «una facoltà di rinascita delle forme contrappuntistiche del canone e della fuga», cioè i caratteri fondamentali della Serenata in re maggiore, cogliendo nel segno con insolita preveggenza critica.

Una prevalente atmosfera pastorale caratterizza l'ampio movimento iniziale, Allegro molto in re maggiore, in forma sonata con due temi principali marcatamente differenziati (il secondo spiccatamente condizionato da una struttura ritmica asimmetrica), con un impegnativo sviluppo, una ripresa compressa in cui ritorna l'idea introduttiva del corno quasi nell'evocare la sonorità di rustiche cornamuse. Assai complesso è lo Scherzo (Allegro ma non troppo in re minore) con il Trio in si bemolle, nel segno d'una dominante moderazione nella dinamica e nell'agogica, secondo quelli che saranno alcuni dei caratteri fondamentali della letteratura sinfonica brahmsiana. Culmine dell'opera è l'Adagio ma non troppo in si bemolle, marcato dall'ampio respiro lirico, dal susseguirsi di atteggiamenti strumentali tranquilli e sereni, nell'inesauribile ricchezza e gemmazione di idee che formano una lunga esposizione, alla quale segue un singolare, brevissimo sviluppo, subentrando poi una ripresa completa e una coda evanescente. Di netto stampo tradizionale nel profilo stilistico i due Menuetti, il primo in sol maggiore, il secondo in sol minore, entrambi apparendo cesellati con miniaturistica finezza, verosimilmente nel ricordo dell'originaria stesura cameristica e anche di certi stilemi haydniani. Su scala assai più contenuta è costruito il quinto tempo, Scherzo (Allegro in re maggiore), con qualche influsso beethoveniano, mentre nel Rondò conclusivo (Allegro in re maggiore), dall'incedere danzante nei ritmi puntati d'ascendenza schumanniana, appare sempre in primo piano il nitore dello schema formale, con due idee chiaramente individuabili, un'ampia elaborazione e la riapparizione di entrambi i temi nell'efficacissima e lunga coda, di precipuo smalto strumentale.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le due Serenate per orchestra furono i primi lavori sinfonici di Brahms a essere pubblicati. Quella in re maggiore, la prima, era stata concepita come opera da camera per quartetto d'archi, flauto, due clarinetti, corno e fagotto, e in questa forma era stata inviata dall'autore agli amici Grimme e Joachim, che l'avevano fatta eseguire durante un concerto privato ad Amburgo il 28 marzo 1859. Fu probabilmente l'ascolto di questa esecuzione a convincere Brahms che sarebbe stata preferibile una versione orchestrale del lavoro. La Serenata fu tenuta a battesimo nella sua stesura definitiva ad Hannover il 3 marzo 1860 sotto la direzione di Joseph Joachim.

Questo primo lavoro sinfonico rappresenta meglio di ogni altro l'atmosfera serena degli anni del soggiorno di Brahms a Detmold (1857-60), e in un certo senso conclude la stagione creativa giovanile aprendo nuovi orizzonti al comporre brahmsiano. Vi confluiscono tutti i modelli classici studiati in quel periodo, Haydn e Mozart ma anche il Beethoven del Settimino e lo Schubert dell'Ottetto; eppure la volontà dichiarata di riallacciarsi al passato della tradizione classica già convive con alcuni caratteri peculiari della futura maturità. Il regolato e graduale atteggiamento compositivo di Brahms preferisce accostarsi al genere sinfonico attraverso un lavoro di chiara derivazione cameristica e che conserva nella scrittura lineare, con un peso decisivo a favore del settore dei fiati, molti tratti della sua destinazione originaria.

Uno sguardo anche sommario ai sei tempi della composizione conferma la splendida ambiguità del "disimpegno" di questa Prima Serenata. Il primo tempo, Allegro molto, come nei modelli prescelti, è il più denso ed elaborato, costruito in una rigorosa forma-Sonata.

Straordinario l'inizio: su un pedale di quinte vuote delle viole e dei violoncelli, quasi popolaresco bordone con esempi evidenti nello stile classico, si leva il primo tema festoso alternato tra corno e clarinetto. Il secondo tempo è uno Scherzo in re minore costruito su un sinuoso tema cromatico. Il carattere irrequieto e tenebroso, a tratti aperto verso movenze di valzer, si dissolve nel Trio, in si bemolle maggiore, che evoca una rustica gaiezza popolare. L'Adagio non troppo, forse la pagina più intensa di tutta la Serenata, predilige i colori velati e caldi di un notturno. Il quarto tempo è formato da due Minuetti: nel primo la coppia dei clarinetti espone un tema di chiara derivazione mozartiana su un basso ossessivamente ripetitivo del fagotto e poi dei violoncelli; nel secondo una bellissima melodia dei violini si espande in un clima tenero e appassionato. Segue un breve Scherzo, basato su cavallereschi temi di caccia dei corni che nel Trio assumono il carattere spensierato e infantile di un girotondo. Infine, l'Allegro conclusivo è un Rondò costruito su un ritmo baldanzoso di marcia intervallato da episodi contrastanti anche se riconducibili a variazioni dell'idea principale, a sua volta ricollegabile all'incipit dell'Adagio. Con la riaffermazione di una solidità strutturale di stampo classico Brahms sigilla dunque l'ultimo capolavoro della sua giovinezza.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La serenata, genere settecentesco praticato da Mozart e Haydn, ma ignorato da Beethoven, viene ripreso da Johannes Brahms, che con l'op. 11 del 1857 e l'op. 16 del 1858 scrive due capolavori assoluti. Normalmente costituita dai sei agli otto movimenti, la Serenata è stato un genere musicale molto diffuso appunto nel XVIII secolo, strettamente legato alla Cassazione e al Divertimento: il carattere della musica è generalmente luminoso e spensierato, meno incline all'elaborazione tematico-motivica, come avveniva invece nel genere sinfonico.

La Serenata op. 11 nacque tra il 1857 ed il 1858, periodo nel quale Brahms era impegnato come pianista, direttore di coro e insegnante alla corte di Lippe-Detmold. La pagina è brillante, serena, lontana dai tumulti e dalle passioni giovanili («Il vero uomo ideale è tranquillo nella gioia e tranquillo nel dolore e nella sofferenza. Le passioni devono passare presto oppure bisogna reprimerle», scrive a Clara Schumann il 10 ottobre 1857). In un primo tempo Brahms concepì la serenata per un organico ridotto (nove strumenti: flauto, due clarinetti, corno, fagotto e quartetto d'archi), poi, anche sotto la pressione e i suggerimenti degli amici musicisti a lui vicini, allargò l'organico strumentale che divenne da piccola orchestra. Non ancora soddisfatto, Brahms approntò un'ultima definitiva versione per grande orchestra, eseguita ad Hannover il 3 ottobre 1860; in questa veste la Serenata op. 11 è un capolavoro di inventiva melodica, rivestito con una scrittura orchestrale molto raffinata e con una sonorità piena, ricca ora di sgargianti colori, ora di delicati chiaroscuri.

Il primo movimento, Allegro molto, strutturato nella tradizionale forma-sonata, è la pagina più elaborata e complessa dell'opera. Si apre con un lungo pedale di viole e violoncelli su cui si staglia, meraviglioso ed evocativo, il primo tema annunciato da corni e clarinetti. È un motivo che richiama echi pastorali e naturalistici molto suggestivi. Poche battute di transizione e il tema si apre a tutta l'orchestra in un tripudio sonoro tipicamente brahmsiano. Il secondo tema, in la maggiore, viene annunciato da fagotti e violini e ripetuto da violoncelli e oboi in un dialogo malinconico e struggente. Un crescendo porta alla coda dell'esposizione, giocata in progressioni discendenti da tutta l'orchestra. Dopo il regolare ritornello, si apre la sezione elaborativa che riprende proprio l'incipit della coda, alla quale presto si uniscono accenni del primo tema che compaiono nei fagotti e nei corni sopra un regolare movimento in semicrome degli archi. Il discorso musicale incalza gioioso e spensierato; il primo tema diventa ora un grido di stupore e felicità dell'uomo innanzi alle meraviglie della natura: i violini lo riprendono, variandone abilmente la chiusa, mentre i fiati lo ornano vezzosamente con trilli spensierati. Una falsa ripresa in sol maggiore porta all'ultima sezione dello sviluppo, nella quale il tema principale assume ora connotazioni quasi drammatiche: la scrittura musicale si fa più tesa, la tonalità minore, le frequenti modulazioni e l'uso quasi lugubre dei timpani rendono cupa l'atmosfera musicale, che si rasserena presto con la ripresa del tema principale e del secondo tema. Il movimento si conclude con una nostalgica ripetizione del tema principale affidata al primo flauto, sostenuto da un numero via via ridotto di strumenti, fino alla chiusa in pianissimo (solo flauto, clarinetti e viole).

Lo Scherzo si apre con un motivo contorto e agitato in re minore, scuro nel colore orchestrale e denso di cromatismi. Più avanti si odono echi del tema principale dell'Allegro molto che sfociano in un elegante movimento di valzer, tipicamente brahmsiano. Una breve sezione (Un poco ritenuto) conduce alla ripetizione del tema principale che termina lo Scherzo. Il Trio (Poco più moto) in si bemolle viene condotto principalmente dai fiati, con gli archi che si limitano a sostenere ritmicamente il discorso musicale. Regolare la ripetizione dello Scherzo.

L'Adagio, in si bemolle maggiore, ha un fascino quasi "notturno", avvolto come nelle tinte brunite degli archi gravi e dei clarinetti che aprono la pagina in un clima misterioso. Il dialogo quasi cameristico fra primo flauto, primo clarinetto e corno che si svolge sopra il brontolio minaccioso di violoncelli e contrabbassi, precede il tema principale, morbido ed avvolgente, presentato dai violini nel loro registro grave e subito ripreso dai legni sopra l'incessante movimento in biscrome di violini secondi e violoncelli. Il secondo tema, in fa maggiore, è più melodico e intenso: viene proposto dai corni e ripetuto dai clarinetti: è un motivo struggente che presto si apre a tutta l'orchestra. Un episodio in imitazione contrappuntistica conclude la prima parte del movimento. La sezione elaborativa vede ergersi ad assoluti protagonisti i fiati che sviluppano il secondo tema: la scrittura musicale diviene cameristica rendendo la pagina intima e delicata. La ripresa del tema introduttivo avviene dapprima in fa diesis maggiore, poi in si bemolle maggiore (indimenticabile il sostegno degli archi in pizzicato al motivo esposto da clarinetti, fagotti e oboi). Seguono la ripresa del tema principale e del secondo tema con una veste orchestrale più ricca e intensa rispetto all'esposizione. Il ritorno dell'episodio in imitazione contrappuntistica porta al finale, nel quale gli spunti tematici sembrano sfilacciarsi e dileguarsi in un delicato pianissimo sul quale si erge la voce del primo flauto che rievoca, come in lontananza, il secondo tema.

I due Minuetti, che costituiscono il quarto movimento, hanno una grazia e una levità che potremmo definire mozartiane; nel Menuetto I, in sol maggiore, l'organico orchestrale si riduce a un flauto, due clarinetti e un fagotto col sostegno del violoncello in pizzicato nella seconda parte. Nel Menuetto II, in sol minore, irrompe un tema struggente e nostalgico esposto dagli archi e sostenuto armonicamente dai due clarinetti. Il movimento si conclude con la ripresa del Menuetto I seguito da una breve coda.

Il quinto movimento, Scherzo, nella sua robustezza ritmica e nella genuina ispirazione melodica ricorda gli scherzi beethoveniani: il tema principale, uns sorta di richiamo di caccia, viene esposto dai corni e subito ripetuto e sviluppato dagli archi. Nel Trio centrale protagonista è ancora il primo corno, con un motivo dal carattere popolare, di forte marca beethoveniana, che trascina tutta l'orchestra in un vortice di gioiosa sonorità.

L'ultimo movimento è un Rondò pieno di brio e di vitalità, grazie ai numerosi temi di danza: il motivo principale, in re maggiore, è travolgente nel suo ritmo puntato che dagli archi si propaga per tutta l'orchestra. Il tema secondario, in la maggiore, viene presentato dai violini e ha un andamento più cantabile, anche se scorrono nelle viole fluide e ritmiche terzine di crome che preludono al ritorno del galoppante ritmo puntato del tema principale. La sezione centrale è interamente basata sul tema secondario, che appare ora in una luce quasi pastorale, affidato ai corni sopra gli svolazzi spensierati dei flauti. Travolgente il finale, che conclude la Serenata in un esaltante tripudio sonoro.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nel 1857 Johannes Brahms è impegnato come maestro di coro del principe Leopoldo III a Detmold. In quella cittadina circondata da grandi foreste la musica sembra essere l'occupazione principale della corte dove regna uno spirito mecenatesco d'altri tempi: il sovrano, musicista dilettante e appassionato, finanzia un'orchestra di oltre quaranta elementi e un piccolo coro alla guida del quale è stato chiamato il giovane Brahms. A invitarlo a Detmold è stata la sorella del principe Friederike che lo aveva conosciuto due anni prima nel salotto di Clara Schumann. In quella città Brahms svolge numerosi incarichi musicali che oltre alla preparazione del coro lo impegnano come esecutore in concerti da camera e insegnante di pianoforte della stessa Friederike. Ma questa attività pesante gli lascia anche il tempo per dedicarsi a un intenso studio dei classici, soprattutto Sinfonie e Divertimenti di Haydn e Mozart nonché di intervallarlo con lunghe passeggiate solitarie nei boschi vicini. Brahms sembra aver finalmente ritrovato la tranquillità dopo gli anni inquieti trascorsi accanto a Clara nei momenti terribili della malattia e della morte di Schumann, anni che molto tempo dopo il musicista rievocherà con un pizzico di nostalgia come il suo periodo wertheriano.

Il soggiorno a Detmold (1857-1860) segna per Brahms anche un rinnovato impegno nella composizione con il completamento del Primo concerto e gli abbozzi del Sestetto in si bemolle maggiore e del Quartetto con pianoforte in sol minore. Ma soprattutto sono gli anni delle due Serenate per orchestra, i suoi primi lavori sinfonici a essere pubblicati. A dire il vero la Serenata in re maggiore era stata concepita in un primo tempo come opera cameristica per quartetto d'archi, flauto, due clarinetti, corno e fagotto e in questa forma era stata inviata agli amici Grimm e Joachim che l'avevano fatta eseguire durante un concerto privato ad Amburgo il 28 marzo 1859. Fu probabilmente l'ascolto di questa esecuzione a convincere Brahms che sarebbe stata preferibile una versione orchestrale del lavoro. La Serenata fu tenuta a battesimo nella sua stesura definitiva ad Hannover il 3 marzo 1860 sotto la direzione di Joseph Joachim.

Non c'è alcun dubbio che questo primo lavoro sinfonico rappresenti meglio di ogni altro l'atmosfera serena degli anni di Detmold e in un certo senso concluda una stagione creativa giovanile aprendo nuovi orizzonti al comporre brahmsiano. Vi confluiscono tutti i modelli classici studiati in quel periodo, Haydn e Mozart ma anche il Beethoven del Settimino e lo Schubert dell'Ottetto, eppure la volontà dichiarata di riallacciarsi al passato della tradizione classica già convive con alcuni caratteri peculiari della futura maturità. Il regolato e graduale atteggiamento compositivo di Brahms preferisce accostarsi al genere sinfonico attraverso un lavoro di chiara derivazione cameristica e che conserva nella scrittura lineare, con un peso decisivo a favore del settore dei fiati, molti tratti della sua destinazione originaria. Non è da credere però che il ricalcare le strutture e lo spirito della musica di intrattenimento del diciottesimo secolo si risolva in arida esercitazione stilistica. Nella Serenata in re maggiore Brahms è già padrone non solo di una magistrale tecnica compositiva ma anche perfettamente consapevole del proprio, originale modo espressivo. Il presunto ibridismo del voler tradurre lo schema settecentesco in un organico sinfonico ricco di colori romantici, il personalissimo «neoclassicismo» della Serenata in re maggiore è già improntato a quel guardarsi indietro, a quella nostalgia di un passato lontano che sarà la prerogativa costante del procedere di Brahms.

Uno sguardo anche sommario ai sei tempi della composizione conferma la splendita ambiguità del «disimpegno» di questa Prima serenata. Il primo tempo, Allegro molto, come nei modelli prescelti, è il più denso ed elaborato, costruito in una rigorosa forma-Sonata. Su di un pedale di quinte vuote delle viole e dei violoncelli, quasi popolaresco bordone con esempi evidenti nello stile classico, basti pensare al finale della Sinfonia n. 104 di Haydn, si leva il primo tema festoso alternato tra corno e clarinetto. Dopo un'affermazione pomposa del tema principale ripetuta in fortissimo dall'orchestra al completo, il secondo tema insinua una nota di malinconia ombrosa nel clima giovanile e luminoso dell'esposizione. Già il contrasto tematico di questo primo tempo sembra voler suggerire i due poli espressivi che condizionano l'intera Serenata. L'esposizione è conclusa da un nuovo inciso tematico con funzione liquidatoria caratterizzato da un ritmo vigoroso in terzine. E sarà proprio quest'ultimo, abilmente combinato col tema principale, a dar vita al gioco di progressioni e di imitazioni dello sviluppo. Al termine della ripresa Brahms ha posto una lunga coda dominata dal flauto che riconduce lo slancio volitivo del primo tempo verso sonorità più rarefatte e trasparenti fino a farlo svanire in pianissimo.

Il secondo tempo è uno Scherzo in re minore costruito su un sinuoso tema cromatico. Il carattere irrequieto e tenebroso a tratti aperto verso movenze di valzer si dissolve nel Trio, in si bemolle maggiore, che evoca una rustica gaiezza popolare. L'Adagio non troppo, forse la pagina più intensa di tutta la Serenata, predilige i colori velati e caldi di un Notturno: su un ritmo puntato dolcemente cullante degli archi si levano le voci morbide dei legni dando vita a una complessa filigrana di imitazioni finemente cesellata in continue trasformazioni ritmiche. Il quarto tempo formato da due Minuetti, nuovo omaggio al classicismo viennese, è quello che conserva nella sua elementare scrittura cameristica l'eredità più evidente del Nonetto originario. Nel primo Minuetto la coppia dei clarinetti espone un tema di chiara derivazione mozartiana su un basso ossessivamente ripetitivo del fagotto e poi dei violoncelli. Il secondo più tenero e appassionato con una bellissima melodia dei violini è in effetti una sapiente variazione in minore del Minuetto precedente. Segue un breve Scherzo incentrato su cavallereschi temi di caccia dei corni che nel Trio assumono il carattere spensierato e infantile di un girotondo. Infine l'Allegro finale è un Rondò costruito su un ritmo baldanzoso di marcia intervallato da episodi contrastanti anche se riconducibili a variazioni dell'idea principale, a sua volta relazionabile all'incipit dell'Adagio. Con la riaffermazione di una solidità strutturale di stampo classico Brahms sigilla dunque l'ultimo capolavoro della sua giovinezza.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 Maggio 1997
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Orchestra sinfonica della Rai di Torino,
Auditorium "G. Agnelli" Lingotto di Torino, 27 febbraio 1986
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 295 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Pitti, 16 luglio 1983

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Ultimo aggiornamento 20 aprile 2016