Sinfonia n. 2 in re maggiore per orchestra, op. 73


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo (re maggiore)
  2. Adagio non troppo (si maggiore)
  3. Allegretto grazioso (sol maggiore). Presto ma non assai
  4. Allegro con spirito (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: estate 1877
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 30 dicembre 1877
Edizione: Simrock, Berlino, 1878
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

IL 30 dicembre 1877, a poco più di un anno dalla presentazione al pubblico della Prima Sinfonia di Brahms, Hans Richter diresse con i Filarmonici di Vienna la prima esecuzione della Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 accolta, a differenza della precedente, da un immediato e sincero successo.

Mentre la composizione dei suoi precedenti lavori sinfonici su vasta scala era stata tormentata e piena di esitazioni e di ripensamenti e aveva richiesto periodi lunghissimi (dieci anni per il Primo Concerto per pianoforte, quasi vent'anni per la Prima Sinfonia), Brahms scrisse la sua Seconda Sinfonia quasi di getto, nell'estate del 1877, durante i sempre proficui periodi di vacanze trascorsi a Pörtschach, in Carinzia. La parola fine vi fu apposta però verso la fine di settembre a Lichtental, nei pressi di Baden-Baden, dove Brahms si era recato per il compleanno di Clara Schumann, che in una lettera al celebre direttore d'orchestra Levi descrisse il suo amico compositore «in ottima forma ed entusiasta del suo soggiorno estivo».

Questa situazione spirituale (per quanto si debba essere assai cauti nello stabilire dei rapporti fra la biografia di Brahms e la sua opera) e la spontaneità e rapidità della composizione sembrano riflettersi nel carattere della Sinfonia. Il pubblico e la critica contemporanei tentarono di definire in vari modi questo carattere, così evidente ma allo stesso tempo inafferrabile: alcuni, per il suo spirito eminentemente melodico e "cantante" la definirono "l'ultima sinfonia di Schubert", aggiornando così la denominazione di "decima sinfonia" (di Beethoven) creata da Bülow per la Prima Sinfonia di Brahms; altri la giudicarono "mozartiana" per la trasparenza della sua orchestrazione; i viennesi vollero credere che fosse ispirata alla grazia e al fascino della loro città e la soprannominarono "sinfonia viennese"; altri ancora la chiamarono "pastorale". L'autore stesso una volta la definì «una suite di valzer», in quanto due movimenti sono nel ritmo di 3/4 (e ricordiamo che la felice nonchalance di Johann Strauss jr fu sempre il segreto rovello del meticoloso amburghese); un'altra volta Brahms ne parlò come di «una piccola sinfonia gaia e innocente». Ma forse lo spirito di questa sinfonia viene rivelato, più che da tutte queste definizioni, da un consiglio dell'autore agli orchestrali viennesi: «Per un mese prima non suonate altro che Berlioz, Liszt e Wagner: soltanto così capirete la sua tenera gaiezza».

Queste definizioni sembrano però contraddette da quanto, durante la composizione, Brahms stesso aveva detto a proposito del primo movimento a Clara Schumann e a Elizabeth von Herzogenberg: alla prima scrisse che aveva un tono «del tutto elegiaco», alla seconda che mai aveva composto un brano così triste e che «la partitura deve risultare a lutto». Questo primo movimento, cui Brahms si riferisce, è un Allegro non troppo. Inizia con un tema apparentemente semplice in cui predomina il caldo timbro dei corni: in realtà, pur nella sua semplicità, è composto da tre sezioni, ognuna delle quali avrà un proprio sviluppo. La prima è costituita dalle tre note con cui violoncelli e contrabbassi aprono la Sinfonia, un "motto" che avrà un ruolo fondamentale anche nell'ultimo movimento; seguono una frase dei corni e dei fagotti (che poi si scinderà a sua volta in due motivi separati) e quindi il terzo elemento, affidato a flauti, clarinetti e fagotti. Solenni accordi dei tromboni introducono poco dopo un tema di transizione, dolce e gradevole, derivato dal "motto" e presentato dai violini. Il vero e proprio secondo temalo si incontra più tardi: si tratta di una melodia di grande fascino, simile a un valzer, esposta da viole e violoncelli, seguita da due motivi più marcati e vigorosi. Un accordo fortissimo dell'orchestra segna il passaggio a un episodio in cui violini, violoncelli, contrabbassi e fagotti dialogano a canone su un accompagnamento sincopato di viole, clarinetti e corni; quindi l'esposizione viene conclusa da un richiamo al motivo di valzer del secondo tema, questa volta accompagnato da un controcanto del flauto. Sebbene il movimento segua solo molto liberamente i canoni della forma-sonata, Brahms prevede a questo punto la ripetizione integrale dell'esposizione, secondo le regole classiche. Fa quindi seguito lo sviluppo, ampio e complesso ma chiaro, basato principalmente sul tema iniziale (in particolare sul "motto"), sul tema di transizione e sull'episodio a canone; la serenità dell'esposizione viene ora sostituita da un tono espressivo più acceso, culminante in un episodio corrusco, caratterizzato da ritmi sincopati e da minacciosi interventi degli ottoni. Nella ripresa la parte iniziale viene riproposta con numerose modifiche, che riguardano soprattutto l'orchestrazione e l'accompagnamento dei temi dell'esposizione. Infine un "solo" del corno avvia la coda, in tempo tranquillo.

Il secondo movimento è un Adagio non troppo chiaramente diviso in tre parti, di dimensioni quasi identiche. Si apre con uno dei temi più belli usciti dalla penna di Brahms: un canto «tenero, malinconico, sottilmente doloroso» (Rostand), che può essere suddiviso in una prima parte introduttiva dal disegno discendente, accompagnata da un controcanto ascendente dei fagotti, e in una seconda parte più melodica, che introduce un tono più fiducioso e sereno dopo la discesa lamentosa delle prime due battute. Questo tema passa ai violini, mentre i corni introducono il secondo tema, un richiamo evocante atmosfere alpestri. La seconda parte del movimento (L'istesso tempo, ma grazioso, ma con un cambio di ritmo da 4/4 a 12/8) è anch'essa basata su due temi: il primo, affidato ai fiati, è sereno e tranquillo; il secondo, affidato ai violini, è più lirico ed espressivo. E questo tema porta a sviluppi più increspati e drammatici, con modulazioni a tonalità minori ed espressivi effetti di crescendo: al culmine, i violini ripropongono (variato) il malinconico tema iniziale, che è anche alla base della coda, con cui il movimento si conclude nello stesso tono sobrio e pacato con cui era iniziato.

L'Allegretto grazioso, quasi andantino è uno scherzo con due trii (entrambi Presto ma non assai) e si sviluppa da un'unica idea tematica, il pastorale motivo esposto ad apertura del movimento dagli oboi sull'accompagnamento degli accordi di clarinetti e fagotti e il pizzicato dei violoncelli. Nel primo trio il ritmo cambia da 3/4 a 2/4, ma il danzante tema "staccato" di violini e viole, coi suoi vivaci spostamenti d'accento, è chiaramente derivato dal tema d'apertura: inizia tranquillo e leggero, assume poi un andamento più impetuoso ma ritorna presto al carattere iniziale. Dopo una breve ripresa dello scherzo, il secondo trio (in 3/8) si richiama anch'esso al tema d'apertura, con una melodia alternantesi tra archi e fiati, cui le frequenti sincopi conferiscono un sapore vagamente ungherese. Ritorna, leggermente alterato, lo scherzo e infine il movimento si conclude con un'espressiva cadenza, indicata da Brahms come «molto dolce».

L'Allegro con spirito, in forma-sonata, si riallaccia all'inizio della Sinfonia: si apre infatti con il "motto", seppure ritmicamente alterato. Un inatteso e guizzante intervento del clarinetto e uno statico passaggio dei fiati sul "pizzicato" degli archi introducono l'ampio e nobile secondo tema, esposto dai violini primi e dalle viole. Conclusasi l'esposizione con la presentazione di alcuni motivi secondari e con il ritorno del primo tema, inizia uno sviluppo relativamente breve ma eccezionalmente elaborato, in cui Brahms utilizza le tecniche più sofisticate, quali l'inversione, l'aumentazione, la sovrapposizione polifonica, la contrapposizione ritmica, in cui si rivela l'amore e l'attento studio dei maestri rinascimentali fiamminghi e di Bach: questo trattamento severo e rigoroso d'un materiale tematico non particolarmente ricco si trasforma però in una manifestazione di gioia vigorosa e tumultuosa. Dopo aver ripreso simmetricamente, con numerose ma non determinanti varianti, l'esposizione dei temi, Brahms avvia la coda reintroducendo trionfalmente il secondo tema, sostenuto dai tromboni, e conclude con l'irruzione esplosiva del primo tema.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritta in gran parte nell'estate 1877 in Carinzia, a Portschach sul Wörthersee, la Seconda sinfonia fu presentata dai Wiener Philharmoniker guidati da Hans Richter a Vienna il 30 dicembre di quell'anno. Il nuovo lavoro, in re maggiore, apparve l'antitesi lirica, schubertiana, del volontarismo della Prima. Concorse a questa fama quel Wörthersee che avrebbe ispirato l'anno dopo il Concerto per violino e che Brahms, proprio nell'estate 1877, descrisse a Hanslick come «un terreno vergine, dove aleggiano così tante melodie che bisogna stare attenti a non calpestarne qualcuna». Eppure al proprio editore scriveva: «La nuova sinfonia è così malinconica che non potrà sopportarla. Non ho mai scritto nulla di altrettanto triste, di altrettanto mollig [impregnata di tonalità minore]: la partitura deve uscire listata a lutto». Dietro questa felice metafora pastorale compaiono dunque risvolti inquieti della personalità, quel «lutto» che un altro grande viennese d'adozione, Freud, individuava nella «perdita d'interesse per il mondo esterno». Fuga dal mondo, verso la natura (anche il contemporaneo Dvorak e Mahler composero preferibilmente nell'isolamento estivo), luogo «altro» equivalente spaziale dell'adorato tempo «altro» dello stile classico. Né si dimentichi un ulteriore rifugio: l'ipercomplessità formale che trionfa proprio in questa sinfonia, in cui tout se tient mirabilmente. Giovano a illuminare l'opera i contemporanei pezzi vocali, tra cui il lied Feldeinsamkeit («Solitudine campestre») op. 86 n. 2, il cui testo di Hermann Allmers così si esprime: «Riposo tranquillo nell'alta erba verde [...]. Mi sembra di essere morto da molto tempo e vago beato in spazi eterni».

L'Allegro non troppo, nella varietà dei caratteri, sorprende per la straordinaria, dissimulata economia compositiva. L'intero edificio è generato dall'attacco. In particolare dalle prime tre note che risuonano ai bassi dando l'avvio al primo tema (nelle sonorità calme, calde e dolci di corni e legni, idillici strumenti del terzo tempo della Prima sinfonia): disarmante melodia pastorale composta di minuscoli frammenti tematici da cui il sommo artigiano Brahms deriverà - impercettibilmente ma inesorabilmente - l'intero movimento. Mentre l'entrata dei violini protrae l'instabilità metrica, compare un inquietante elemento di disturbo: per tre volte il rullo dei timpani in pianissimo è seguito da cupi accordi dei tromboni (e della tuba), strumenti sempre impiegati con estrema parsimonia e con un'intenzione precisa (come già nella Prima sinfonia e come attestano le correzioni nella partitura autografa). Segnale che revoca in dubbio l'idillio che si va delineando, a ricordare che la malinconia resta in agguato, che non vi è serenità senz'«ombre»: al collega Vincenz Lachner che lamentava il danno arrecato da questo passaggio all'eufonia dell'insieme, Brahms rispose di non poterne fare a meno, confessando la propria natura malinconica («ali nere battono costantemente sopra di noi», immagine decadente che ricorda il Baudelaire di Spleen) e gli indicò il severo mottetto Warum ist das Licht gegeben dem Muhseligen op. 74 n. 1, ispirato tra l'altro al Libro di Giobbe, «che getta l'ombra necessaria sulla serena [e contemporanea Seconda] sinfonia e forse dà conto di quei timpani e di quei tromboni» (lettera agosto 1879). Il filo dell'Esposizione riprende con un'eterea variante del primo tema ai violini (in tutto antitetica rispetto all'incubo dei tromboni) che funge da transizione al secondo tema, non prima dell'interpolazione di un curioso episodio con carattere di Scherzo. Finalmente ecco il secondo tema nel caldo lirismo liederistico degli archi gravi, accennante a ritmi da Valses sentimentales schubertiane, con gesti che richiamano la celeberrima Ninna nanna dello stesso Brahms (Wiegenlied op. 49 n. 4). Un energico terzo tema contrastante, percussivo si sviluppa fra balzi di ottava, ritmi puntati e sforzandi ben marcati, in una sezione animata da altrettanto vigore ritmico (quasi un Galop). La coda dell'Esposizione sfrutta il secondo tema, trasposto in luminoso la maggiore. Lo Sviluppo, aperto dal corno - la cui importanza strategica sta progressivamente chiarendosi - si fonda sul magistrale trattamento contrappuntistico del primo tema e della sua idea secondaria fra drammatiche modulazioni, con l'apporto dell'intera orchestra. Un gesto discendente di flauto e clarinetto conduce alla Ripresa, dall'orchestrazione più ricca, sospesa al perdendosi degli arabeschi dei violini, quando la combinazione timpani-tromboni-tuba gia sperimentata introduce il secondo tema, che lascia il campo al terzo per riproporsi ai legni in funzione di coda della Ripresa. La coda dell'intero tempo ne rappresenta il cuore ideologico e strutturale: un breve crescendo cede il passo al grande a solo del corno, libera rapsodia ispirata alle prime misure della Sinfonia. Canto solitario, struggente addio che non intende terminare, porta l'Allegro non troppo al suo compimento più autentico, all'allentarsi della tensione in luogo di un finale clamoroso. I violini intonano più tranquilla e dilatata una versione pacificata del primo tema, ma la contemplazione di tanta bellezza viene turbata dalla stretta, che ripropone ironicamente lo Scherzo. Nella propria copia della partitura Brahms annotò il titolo del lied Es liebt so lieblich im Lenze op. 71 n. 1, su testo di Heine, scritto poco prima della Sinfonia e qui citato nell'armonia e parzialmente nella melodia. Il riferimento è in particolare alla strofa che canta la delusione del desiderio romantico dell'amore. Ultima, definitiva conferma del senso di questo affresco sinfonico: l'impossibilità dell'idillio, della felicità rappresentata sotto la metafora della natura felix.

Di non facile ascolto, l'Adagio non troppo successivo offre un'immagine musicale ardua e reticente del compositore, nulla concedendo a qualsivoglia effusività lirica tardoromantica. La serietà d'intenti appare dalla contaminazione dell'elementare liedform (ABA') con la più aulica forma-sonata. Già dalle prime misure dell'Esposizione è ben avvertibile la gravita del discorso, con la melopea dei violoncelli avvolta in una trama sonora di colore severo (tace la voce brillante dei violini). Il tono ieratico riporta al solenne incedere del corrispondente secondo tempo nella Prima sinfonia, per il quale abbiamo evocato l'ombra del Sarastro mozartiano. Il raffinato, contrappuntistico sovrapporsi - ma anche il confrontarsi a distanza - di linee melodiche per moto contrario (qui violoncelli contro fagotti) riveste in tutto il movimento un'importanza capitale, annullando gli slanci più sentimentali e conferendo alla composizione un carattere astratto, emotivamente distaccato (Eduard Hanslick vi apprezzava l'elaborazione dei temi più del valore dei temi stessi). Quando l'entrata dei violini ha dischiuso orizzonti più sereni, si alza sul silenzio generale il canto solitario del corno, retaggio degli splendori solistici del primo tempo o del finale della precedente Sinfonia in do maggiore, aprendo con la sua oscillante linea melodica una pagina di poesia sonora affidata ai fiati, resa più inquieta all'ingresso della sezione grave degli archi. Il segnale dei timpani annuncia una variante tematica alle viole che conduce al secondo tema, cullante serenata in fa diesis maggiore, nel metro di 12/8 (Lo stesso tempo, ma grazioso), affidata ai legni per coppie sul pizzicato dei violoncelli. Conclusa l'Esposizione con un espressivo motivo di barcarola ai violini, inizia lo Sviluppo, aperto su un accordo strappato. Vorticose sestine degli archi vi travolgono i disegni tematici dei fiati, nel clima bellicoso della tonalità di si minore. La Ripresa si limita al primo tema (caratteristica che avvicina la forma sonata alla struttura ABA') esposto dall'oboe, mentre, trascorse le festose ghirlande di terzine ai violini, ricompare il canto del corno, preludio di una nuova sezione di sviluppo, aperta dal maestoso portale degli ottoni e analoga allo Sviluppo vero e proprio. La Ripresa si conclude col tema di barcarola sul rullo prolungato dei timpani. Una pausa generale isola la coda dell'intero secondo movimento, a sua volta fondata sul primo tema esposto dai fiati.

In contrasto con i primi due movimenti, l'incantevole Allegretto grazioso (Quasi andantino), subito grande successo, è un gioco leggero dell'intelligenza creatrice con le diverse forme musicali: rondò, tema con variazioni, scherzo e trio invertiti nella successione. Apre un motivo disarmante all'oboe nel raffinato paesaggio timbrico di clarinetti, fagotti e violoncelli in pizzicato (chitarre di un'immaginaria serenata). I violini impongono, con leggero staccato e sul febbrile Presto ma non assai, una variazione sul tema nella scansione binaria da danza veloce. A risultati non dissimili giunse in quell'anno Cajkovskij nello Scherzo della Quarta sinfonia con mezzi identici nel timbro, nel ritmo, nel metro e nella dinamica. In tanta aerea leggerezza irrompe pesante l'intrusione omoritmica dell'orchestra piena (una robusta danza villica), in un'alternanza che ricorda l'ouverture mendelssohniana al Sogno di una notte di mezza estate. Ritorna fugacemente, armonizzata con un supplemento di inquietudine, la sezione principale, sostituita da un nuovo Presto ma non assai (questa volta in metro ternario), a sua volta fondato su una figura di terzina, anch'essa derivata dal tema dell'oboe. Il breve ritardando introduce la terza, gloriosa entrata del tema finalmente agli archi, seguita da un'evoluzione discendente del flauto e da un'estrema, spettrale apparizione del tema, ormai come dissolto.

L'Allegro con spirito finale non è più la monumentale odissea spirituale della Prima sinfonia, ma un equilibrato classico tempo di sonata, danza affabile e spensierata, pervasa da giocosa energia. Hanslick vi individuava l'ascendenza mozartiana, ma il pensiero corre alle baldanzose intemperanze dinamiche beethoveniane o al crepitante finale alla Haydn. Quest'ultimo sembra evocare l'attacco sottovoce dell'enigmatico primo tema (sulle cui prime tre note si era aperto il movimentop iniziale), seguito da un'idea secondaria. L'esplosione dell'orchestra piena mostra un gioco di contrasti dinamici preparato sin dall'inizio, mentre la transizione al secondo tema sfrutta l'idea secondaria. Il parossismo si acquieta nelle trasfigurate plaghe armoniche disegnate dai legni sul pizzicato degli archi in preparazione al secondo tema: nobile, mendelssohniano canto intonato dai violini largamente, in mezzo piano, nel caldo registro grave. Una nuova accensione di energia e animazione orchestrale è seguita dalla seconda parte del secondo tema, derivata - come la parte iniziale - dal primo tema. L'idea secondaria del primo tema conclude l'Esposizione, mentre nello Sviluppo - di rigore e temperatura espressiva beethoveniani - ricompaiono primo tema e idea secondaria. L'indicazione Tranquillo apre un capitolo interlocutorio introdotto dal cullante oscillare di legni e archi (non dissimile nello spirito dall'entrata del corno già sentita) che riporta in auge l'idea secondaria. La Ripresa ripropone ordinatamente i momenti dell'Esposizione. Una vasta coda dalle sonorità dapprima contenute ricapitola una serie di elementi tematici diversi, chiudendo la Sinfonia con l'inedita esaltazione eroica del secondo tema a legni e ottoni.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Per comporre la seconda delle sue Sinfonìe Brahms impiegò un tempo relativamente - e per lui insolitamente - breve: iniziata durante l'estate del 1877 a Portschach, sulle sponde del Worthersee (uno di quei paradisi lacustri che Brahms amò sempre eleggere a scena dei suoi operosi soggiorni estivi), l'opera fu terminata in ottobre a Lichtental, presso Baden-Baden, altro favorito luogo di vacanze del musicista. Qui, davanti a un ristretto gruppo di amici fidati, Brahms ne esegui insieme con Ignaz Brüll una riduzione per pianoforte a quattro mani; il 30 dicembre di quello stesso anno la Sinfonia veniva presentata al pubblico dei Filarmonici di Vienna sotto la direzione del grande Hans Richter, grande successo, tanto che Richter venne costretto a concedere il bis del terzo movimento. Lieto fine di un'avventura creativa lietamente vissuta: le lettere scritte da Brahms durante la seconda vacanza dì Portschach spirano tutte serenità, tranquilla allegria; per il luogo dove si stava «deliziosamente», per la «cordialità» della gente, anche per l'avvenenza della «bella locandiera» che lo aiutava a fare i pacchi dei manoscritti da spedire all'editore. Segno evidente di come Brahms fosse assai compiaciuto anche del modo in cui procedeva il suo lavoro. Difficilmente ritroveremmo in un Brahms così placidamente soddisfatto di sé e degli altri il compositore patologicamente insicuro, autocritico fino alla morbosità, ipocondriaco e diffidente di tutto e di tutti che emerge da tanti altri luoghi della sua biografia, prima e dopo di questo momento. Soprattutto non riusciamo a riconoscervi l'aspirante sinfonista lacerato fra l'impossibilità etica di sottrarsi al cimento con la forma più elevata e complessa fra quelle in corso nella prassi musicale del tempo, la Sinfonia appunto, e le mille remore e i mille dubbi imposti da una vigorosa consapevolezza storica e incombenti sul suo cammino come ostacoli difficilmente sormontabilì: l'aspirante sinfonista, insomma, cui era stato necessario quasi un quarto di secolo di tentativi falliti, deviazioni e fatiche per poter dare al mondo, a quarant'anni sonati, una Sinfonia.

La Sinfonia in do minore op. 68, prima delle quattro che Brahms avrebbe composto, era costata infatti due anni di lavoro intenso e sofferto, fra il '74 e il '76. In realtà i primi abbozzi ne erano stati stesi addirittura nel 1862; presto Brahms si era reso conto che ancora una volta, dopo la falsa partenza degli anni Cinquanta (il progetto di una Sonata per due pianoforti trasformato in quello di una Sinfonia), per lui si rendeva necessario rinviare la prova. Il perché di tanta esitazione non stava ovviamente in una - del resto improbabile - mancanza di preparazione o di forze da parte di Brahms; né era soltanto riconducibile all'accesso di scrupolo e all'ossessione autocritica che fin dagli esordi avevano accompagnato il suo operare artistico. Il problema era, come si è già detto, di natura essenzialmente storica ed etica, e si legava al culto della forma (culto di adorazione ma anche di timore) che dal tempo dei grandi classici viennesi incombeva sulla musica dell'area germanica; e in questo senso mai musicista dell'Ottocento fu più tedesco di Brahms. Dall'ultimo Beethoven in poi la forma-Sonata era rimasta per i romantici eredità quanto mai imbarazzante. Non si poteva in tutto prescinderne, non si sapeva in che cosa mantenere i principi e in che cosa rinnovarla; la lezione del tardo stile beethoveniano era a un tempo stesso ipoteca e traguardo difficilmente raggiungibile, dopo le lacerazioni strutturali che con essa si erano innestate sul ceppo dell'augusto schema formale dei classici. Da qui l'ambiguità di quasi tutte le esperienze compiute dai musicisti delle generazioni successive a Beethoven, a cominciare da Schubert; e tanto più le cose si complicavano quando l'approccio alla forma principe della composizione strumentale avvenisse nel campo nobilissimo, ma altrettanto problematico, della Sinfonia: che per essere quello dove la complessità dell'elaborazione tematica si sposava con la complessità dell'organizzazione strumentale, offriva i compiti più ardui e di conseguenza le maggiori possibilità di risultato, ma anche i rischi di fallimento più vistosi. E all'incubo dei grandi precedenti storici si aggiungeva il rischio, di fronte al tanto maggior potenziale sonoro via via acquisito dall'orchestra ottocentesca, di tentazioni esteriorizzanti, coloristiche, persino descrittive e programmatiche, di una deviazione nella pressoché illimitata alchimia delle combinazioni timbriche e delle possibilità evocative. Prova lampante di queste angustie era stata l'ultima grande esperienza sinfonica conosciuta dalla musica tedesca, quella di Robert Schumann: poi, per quasi vent'anni essa non era riuscita più a produrre una Sinfonia vera e propria, se non per opera di autori minori, irrevocabilmente condannati al dimenticatoio; con la sola eccezione, rilevantissima ma semiclandestina, e comunque tale da non poter incontrare che la diffidenza di un compositore come Brahms, delle prime prove di Anton Bruckner.

All'impresa sinfonica Brahms si era preparato, per anni e anni, con un testardo e laboriosissimo noviziato nel campo della musica da camera; limitandosi a saggiare la grande orchestra, oltre che nel Concerto per pianoforte op. 15, nelle due Serenate e, in unione alla voce, nelle architetture formalmente meno ardue delle grandi composizioni sinfonico-corali. Poi quasi una prova generale, con le Variazioni su tema di Haydn: dove definitivamente si concretava l'incontro fra linguaggio sinfonico e tecnica, prettamente sinfonica, dell'elaborazione tematica, all'insegna di un concetto della variazione sostenuto, sull'esempio beethoveniano, di capillari ma poderose nervature contrappuntistiche. Tali le basi sulle quali Brahms aveva potuto finalmente completare la sua Prima, sia pure con fatica. Dopodiché, secondo quell'istintivo lavorare «per coppie» che fu quasi una regola nel suo operato di compositore, venne la Sinfonia in re maggiore, la Seconda. E come la creazione dell'una aveva richiesto tempo e sofferenze e fatica, così, l'abbiamo veduto, l'altra nacque con serena naturalezza, quasi ogni ostacolo e ogni difficoltà si fossero dissolti, bruciati nello sforzo della prima prova, lasciando al musicista la sicurezza e l'agilità, dell'animo non meno che della mano, necessarie alla successiva. Parallelamente, né forse fu un caso, quanto la Prima sinfonia era riuscita grandiosa, drammatica, ardua e ambiziosa, così la Seconda, quasi a riflettere nella propria fisionomia stilistica ed espressiva la diversa vicenda della sua gestazione, riuscì in complesso placida, affettuosa, scorrevole e serena; priva, forse, di quelle aspirazioni che della Prima costituiscono una delle suggestioni maggiori: ma anche senza denunciare in alcun luogo le fatiche del lavoro, senza che nel suo impasto si mescolassero scorie, senza che i colpi dello scalpello lasciassero incrinature sulla sua levigatissima superficie. Come fu colto: nel 1876, quando Brahms si era deciso a far eseguire la Prima, Hans von Bülow si era affrettato a definirla «la Decima di Beethoven», cosa che a Brahms dovette fare un gran piacere, perché non era complimento da poco, ma che contribuì non poco ad appiccicargli addosso quell'etichetta di epigono beethoveniano che risultò, per la sua immagine di artista in realtà originalissimo, più dannosa che altro; adesso ecco la Sonata guadagnarsi l'epiteto di «Pastorale di Brahms», oltre a quello, non meno stupido, di «ultima Sinfonia di Schubert».

In realtà, la Sinfonia in re maggiore non è meno tipicamente brahmsiana di tutte le altre pagine di Brahms. Certo, si può dirla beethoveniana se per beethoveniana si intende una composizione elaborata con una profondità e una coerenza quali soltanto Beethoven aveva saputo insegnare alla musica europea. Ed è schubertiana se per schubertiano s'intende - ed è categoria tutta da verificare - uno stile alieno da contrasti brutali, propenso ad abbandonarsi alla distesa effusione del canto, proiettato in orizzonti spesso contenuti in un'affettuosissima intimità. Ma questi caratteri in fondo sono quelli - o alcuni di quelli - caratteristici di tutto il maggior Brahms: qui resi particolarmente evidenti dalla felicità con la quale un tessuto compositivo di estrema densità di intrecci contrappuntistici e tematici sa sciogliersi in un incedere fluido, spirante letizia e amorosa contemplazione naturalistica. Per contro, l'unità strutturale dell'opera resta granitica, tutto il patrimonio di motivi sulla quale essa è costruita potendosi ricondurre a poche formule di base. Prima fra tutte quella con cui prende l'avvio l'Allegro non troppo, e che è al tempo stesso il primo tema, l'introduzione al primo movimento e il germe di quasi tutti i temi successivamente presentati. Predominano, in tutto il primo movimento, le intenzioni cantabili; tutte animate di un lirismo teso, trascoloranti nel corso del pezzo in straordinaria ricchezza di proposte espressive, affidate a una scrittura orchestrale capace di toccare la più solenne potenza sonora come di aprire gli scorci più delicati; né mancano le suggestioni popolaresche, incastonate a perfezione in un panorama stilistico che si mantiene ancorato a toni di estrema dignità, ancorché non sia alieno da compiacimenti. Tutto ciò peraltro è manipolato, alla luce di quella tensione formale che dell'opera di Brahms, o perlomeno delle sue sorti concrete, e causa prima e determinante, in un edificio di organica coerenza, il cui sviluppo non sfugge mai a un senso di categorica necessità. Il che vale anche per il secondo movimento, al di là della sua fisionomia di pagina lirica, tutta poesia e pudica confessione; comunque una delle creazioni più perfette e seducenti dell'intera opera di Brahms. Nel quadro della Sinfonia, è quello certamente il momento maggiormente votato alla riflessione, sotto il segno di quella malinconia inquieta e nostalgica sulla quale si fonda il fascino nordico della musica di Brahms: ma anche, sapendo ben leggere dietro la apparente semplicità e immediatezza di detto lirismo e pudore, la sua ascrizione a settori della spiritualità ottocentesca men sicuri e regressivi di quanto a tutta prima non possa sembrare. Vivace, estrosa esibizione di maestria il terzo tempo, costruito, grosso modo, come uno Scherzo con due Trii, il secondo dei quali è travestimento ritmico del primo, mentre ambedue restano strettissimamente connessi con il materiale tematico della sezione principale; e sul medesimo tono, raffinatissimo e quasi furbesco, si svolge l'opera dello strumentatore, con risultati come non mai trasparenti e preziosi. Corona la Sinfonia un Finale che assume quasi il significato e il ruolo di una ricapitolazione, del resto trascinante e brillantissima, di tutta l'opera, per gli scoperti richiami tematici al primo movimento; ricchissimo, ancora una volta, di proposte melodiche, attraverso il variegato succedersi degli episodi appare teso senza intoppi verso una conclusione che non teme di essere rutilante e festosa.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 24 Gennaio 1998
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 47 dello speciale della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 10 maggio 1983

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Ultimo aggiornamento 13 maggio 2016