Sonata n. 1 in fa minore per clarinetto (o viola) e pianoforte, op. 120 n. 1


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro appassionato (fa minore). Sostenuto ed espressivo
  2. Andante un poco Adagio (fa minore)
  3. Allegretto grazioso (fa minore). Trio
  4. Vivace (fa maggiore)
Organico: clarinetto (o viola), pianoforte
Composizione: Ischl, estate 1894
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 12 Novembre 1894
Edizione: Simrock, Berlino 1895
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quasi all'estremo della sua operosa esistenza, Brahms si ricordò delle superbe qualità esecutive, davvero virtuosistiche, di Richard von Mühlfeld, primo clarinetto dell'orchestra ducale di Meiningen, per il quale aveva composto il Trio in la minore, op. 114 ed il Quintetto in si minore op. 115 nel biennio 1891-92: quel nome e quegli eventi artistici gli tornarono alla mente durante l'estate del 1894 mentre si trovava, come di consueto, a Bad Ischl invogliandolo inaspettatamente a riaccostarsi infatti alla composizione ed a scrivere in breve tempo le due Sonate in fa minore e in mi bemolle maggiore op. 120; e se ne ricordò in specie nel settembre del medesimo anno in occasione della prima esecuzione non pubblica di entrambi i lavori a Berchtesgaden, che ebbe luogo appunto con Mühlfeld e con l'autore stesso al pianoforte. Entrambe le Sonate furono conosciute poi ufficialmente a Vienna il 7 gennaio 1895.

Brahms aveva espressamente precisato che questi estremi esiti della sua produzione cameristica contemplassero, accanto al pianoforte, indifferentemente l'impiego del clarinetto o della viola, per le affinità esistenti tra tali strumenti, salvo alcuni aggiustamenti tecnici richiesti specificatamente dalla viola; e, quasi contemporaneamente alla stampa delle partiture, vide la luce una versione per violino e pianoforte a disposizione dell'amico Joachim, quest'ultima invece con notevoli modifiche, per le maggiori attitudini dinamiche ed espressive del violino, ovviamente.

Una caratteristica fondamentale accomuna entrambe le Sonate dell'op. 120 ed è ravvisabile nel clima malinconico ed introverso che sta alla base della loro ispirazione, condizionata anche dal contesto biografico, nel presentimento cioè dell'approssimarsi della morte: accompagnandogli nel 1891 una copia del suo testamento, Brahms aveva scritto a Simrock nei seguenti termini. «Comprenderà, immagino, le ragioni per le quali ho apposto la parola "fine" alla mia attività creativa e del resto l'ultimo dei Volkslieder (Verstohlen geht der Mond auf) nel raffigurare un cane che si morde la coda, alludo simbolicamente proprio a tale concetto, nel senso che la vicenda ormai è conclusa». Soltanto l'eccezionaiità esecutiva di Mühlfeld - in analogia con il ruolo svolto da un Anton Stadler con Mozart o da un Heinrich Bärmann con Weber - sarebbe riuscita a distogliere Brahms da quell'idea fissa: alla realizzazione dei lavori per clarinetto, seguirono poi nel '96 gli Undici preludi corali per organo op. 122.

A differenza dalle altre composizioni cameristiche brahmsiane, nelle quali è risultato sempre evidente l'intento di saggiare sino ai limiti estremi le attitudini tecniche ed espressive dei vari strumenti impiegati, nelle due Sonate dell'op. 120, nonostante il virtuosismo esibito dal Mühlfeld, Brahms non sperimentò, nella precisa fattispecie, tutte le risorse del clarinetto - contrariamente a quanto s'era verificato nel Quintetto op. 115 - e la ragione è da ricondursi verosimilmente all'eventualità dell'impiego alternativo della viola. Sembra del pari anche opportuno osservare che, sia nel Quintetto dell'op. 115 sia nella Sonata in mi bemolle maggiore (la seconda dell'op. 120), il rispettivo ultimo movimento attesta ancora una volta la professione di fede dell'autore nella Variazione, a saldatura tra passato e futuro della musica e a sigillo della sua propria produzione: variatio coronat opus.

Quanto al clima espressivo e al linguaggio degli estremi approdi cameristici brahmsiani, è stato anche notato che era mutato, e considerevolmente, rispetto alle originarie prospettive, «il paesaggio interiore: non più la rassegnazione che si annulla nel canto, ma una sofferenza autentica che si rapprende in forme, in stilemi, in sviluppi talvolta raggelati, quasi sospesi sull'orlo di un abisso. Il musicista trova più raramente l'empito di lunghe, intense melodie strumentali ma inventa, sempre più di frequente, brevi incisi di impressionante penetrazione espressiva, temi infranti e dolenti, animati da un'angosciosa palpitazione, bagliori subito spenti. E tale angoscia si estende ad interi passaggi o interi movimenti, come nel 3° tempo del Quintetto op. 111, o nel Trio op. 87, che è quasi per intero una pagina sottovoce, o ancora nella Prima Sonata per clarinetto (o viola) e pianoforte. In luogo dell'ispirazione melodica sembra persino balzare in primo piano la valorizzazione del timbro, un timbro che sfiora fantasmi impressionisti nel fermo spaziare dei registri, nella funzione di contrasto sonoro fine a se stessa, nell'uso delle sordine e dei pizzicati per gli archi, nell'appello alle sonorità calde e profonde del clarinetto solista. In altre parole, la struttura della grande forma, conscia di aver fatto il suo tempo, non è più l'elemento di cui si sostanzia in modo primario la fantasia del compositore: l'ultimo Brahms cameristico preannuncia la disgregazione formale che porterà, poco dopo la sua scomparsa, a Debussy e a Schoenberg, certo a Mahler» (Manzoni).

Quattro battute del pianoforte introducono il primo soggetto in fa minore e in 3/4 nell'Allegro della Prima Sonata op. 120, cui subentra il tema secondario di natura ritmica ma, sorprendentemente, anziché lo sviluppo, si ascolta un susseguirsi di nuove proposte lessicali d'esterma concisione, apparentemente prossime allo stile della variazione. La transizione impegna di nuovo il materiale motivico iniziale, in uno stretto dialogo tra la viola e la tastiera, dando corso poi alla ripresa, sinché la Coda conclude il primo movimento in maggiore. Alquanto simile all'Adagio del Quintetto op. 115, il successivo Andante in forma ternaria si articola nei tradizionali due soggetti, ciascuno arricchito di un motivo secondario, in un peculiare contesto ritmico mentre il tempo rimane invariato sul 2/4 e la tonalità trascorre dall'iniziale la bemolle (con il secondo tema in do diesis minore) al mi per tornare poi al la bemolle: l'atmosfera è quella di un Notturno d'estrema raffinatezza melodica. La caratteristica essenziale dell'Allegretto grazioso, sempre in la bemolle ma in 3/4, che sembra instaurare il clima di un Intermezzo di sapore viennese, risulta esser quella di valorizzare le risorse della viola, negli arpeggi, nei mutamenti di registro e di colore, nei crescendo e diminuendo nonché nel dar risalto alle note profonde in sostenuto ecc. Una rigida simmetria governa il contesto ritmico nell'esposizione e nella ripresa, ciascuna con Codetta, nonché nel Trio, compostamente ombreggiato. Il quarto movimento, Vivace, ha l'andamento di un Rondò in sei sezioni ma la paventata tentazione d'un esercizio contrappuntistico non si realizza affatto: in tonalità invariata di fa e in tempo alla breve, la melodia, nella raffinatissima ed elegante maestria di scrittura strumentale, viene intonata alternativamente dal pianoforte o dalla viola e si individuano due soggetti, con i relativi motivi secondari, oltre ad un terzo soggetto, appena accennato, nella quarta sezione. Quando ricompare il primo tema, dopo l'eclisse di notevole ampiezza, è solo per addurre alla Coda che, con brevissima cadenza, conclude il movimento, improntato ad una cantabilità di accattivante scorrevolezza e di amabilità suprema.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nell'estrema stagione creativa, quando il compositore già aveva deciso che non avrebbe scritto più nulla, avviene qualcosa di miracoloso proprio con la scoperta del clarinetto. Fra le sue ultime opere infatti, nelle quali ricordiamo almeno i quattro cicli pianistici (opp. 116-119), trovano uno spazio privilegiato ben quattro lavori con il clarinetto protagonista, il Trio op. 114, il Quintetto op. 115 e le due Sonate op. 120, la prima delle quali ascolteremo in questo programma.

Dopo un anno di relativa stasi Brahms decide, nel 1891, di recarsi a Meiningen e, insieme con l'amico Widmann, prende alloggio nel palazzo ducale, dove si fa musica molto frequentemente. Fra i componenti dell'orchestra di Meiningen c'è uno strumentista che Brahms aveva conosciuto precedentemente e che aveva sempre ammirato per la sua bravura, il clarinettista Richard von Mühlfeld. Con lui il compositore passa molto tempo e si fa sonare gran parte del repertorio clarinettistico scoprendo le più segrete possibilità dello strumento.

In tempi brevissimi, sotto questa impressione, nascono due opere capitali, il Trio e il Quintetto, entrambe con il clarinetto. Si giunge in breve anche alla prima esecuzione, che non è pubblica tuttavia, il 24 novembre. Lo stesso Brahms è al pianoforte nel Trio, con Mühlfeld ovviamente al clarinetto e Hausmann al violoncello. Per il Quintetto troviamo anche la presenza prestigiosa di Joachim.

Tre anni più tardi, nell'estate del 1894, Brahms ritorna inaspettatamente allo strumento e nascono così le due Sonate op. 120: sono le ultime composizioni cameristiche del musicista, che ancora evidentemente si ispira a Mühlfeld. Ricordiamo che, dopo l'op. 120, prima di morire Brahms scriverà solo due altri lavori, molto diversi, i Vier ernste Gesänge per basso e pianoforte, e gli Undici preludi corali per organo ispirati a Bach.

Per l'op. 120 va subito precisato che, come avviene per tutta l'opera ultima di Brahms, il carattere dominante è quello intimo, malinconico, poetico, mentre non viene mai meno un senso costruttivo e formale mantenuto con lucidità. Sono lavori che, come dice Rostand, «rifiutano ogni esteriorità, [...] non concedono niente al virtuosismo: opere scritte per se stesso, come pagine di un diario.». L'analisi formale di Brahms, soprattutto dell'ultimo, non è mai facile, e per finalità di ascolto ci limiteremo così a evidenziarne qualche aspetto soltanto. Per il primo tempo (Allegro appassionato) rimane il problema di individuare una situazione tematica complessa e avvolgente: c'è chi parla, per l'esposizione, di una parte introduttiva e di sei temi distinti. La questione è decisamente opinabile e sarebbe più opportuno semmai vedere una lunga e articolata situazione tematica con interne diversificazioni ma con matrici fondamentali unitarie. Dopo uno sviluppo piuttosto breve scaturito dalla prima parte, una ripresa variata ci porta al "Sostenuto ed espressivo" con funzione di coda. L'impressione che rimane non è quella drammatica di una passione sconvolgente, ma di una tensione interiore fatta di sfumature, di mutazioni continue appena percettibili, di una profonda coerenza espressiva.

L'Andante un poco Adagio è di struttura tripartita. Il carattere è malinconico e dolcissimo, con quella linea del clarinetto che subito si presenta in morbide volute, sorretta da un pianoforte estremamente suggestivo. In terza posizione c'è l'Allegretto grazioso con un carattere di scherzo dai tratti pastorali. La parte centrale è occupata dal Trio in un curioso movimento sincopato del pianoforte, ma senza contrapposizioni dialettiche. Con il fa maggiore del Finale (Vivace) le cose sembrano cambiare. Alla ricchezza tematica, nello spirito del rondò, si unisce qui un certo spirito rapsodico. Ancora una volta Brahms indica spesso "leggiero", "dolce", "grazioso", "semplice". Nessuna drammatizzazione quindi e gli spessori, quando qua e là appaiono, sono passeggeri e lontani da ogni volontà drammatica e da ogni ricerca di effetto.

Renato Chiesa

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le due Sonate op. 120 n. 1 e n. 2, concepite nell'estate 1894 a Bad Ischl, nella quiete e serenità offerte dalla bellezza incantevole dei luoghi, dei paesaggi di natura, tra distese passeggiate e amabili discussioni con amici e conoscenti, sono uno degli ultimi lavori brahmsiani: estrema, quasi liminale testimonianza della sua arte, del suo inconfondibile stile. Una sorta di testamento spirituale pervaso da un'aura di soavità austera, da tratti di dolorosa malinconia, di struggente attesa, di interiore meditazione. Vi sono sì momenti di scuotimento ardente, di giovanili trasalimenti, vi è il sorriso e il compiacimento delle cose, il piacere della vita vissuta, però subito ammorbiditi, attenuati, corretti da uno sguardo sereno e controllato di riflessiva moderazione, di elegiaco affetto, dì nostalgico pensiero che trova nel valore profondo del ricordo una propria ragione, di rassegnata attesa dell'ineluttabile: una sorta di rilascio espressivo, come se si guardasse le cose con sottile distacco, carichi di un'esperienza in grado di spegnere l'esuberanza eccessiva, di filtrare gli accadimenti con la necessaria saggezza. Dal punto di vista delle tecniche di scrittura Brahms modella le due sonate valendosi del sofisticato strumento della variazione, artificio che qui contribuisce a irrorare la forma garantendone struttura ed equilibrio. Temi e idee si autoalimentano con continue varianti, travisamenti, cambiamenti, richiami allusivi, però sapientemente controllati, in modo che l'intera costruzione risulti perfetta e coerente nel progressivo, continuo cambiamento.

Questa tecnica tipicamente brahmsiana emerge subito nel primo tempo della Sonata in fa minore op. 120 n. 1, l'Allegro appassionato. Una breve introduzione discendente in unisono al piano funziona da materiale generativo (intervallo di quarta, profilo discendente per gradi congiunti, andamento sinusoidale e accidentato della linea) cui poi fa seguito l'inizio dell'esposizione. Proprio il primo tema in fa minore, intonato con espressione dal clarinetto, deriva dal preambolo iniziale, anzi ne è l'autentica emanazione, con quel suo plastico andamento che spinge per salti su ondulate tipiche terze e patetiche settime discendenti, sostenuto da annuenti arpeggi accordali del pianoforte: tutto materiale «ispirato» poc'anzi. Il primo gruppo prosegue su rimbalzanti appoggi del pianoforte, col tema in risalto al clarinetto, poi variato per diminuzione; infine un'annuente coda discendente, ancora ispirata a passi dell'introduzione, porta a un ennesimo scambio di parti nel duo: con energica ripresa del primo nucleo tematico al piano e avvolgenti arpeggi d'accompagnamento lasciati al clarinett. Una calma e pacata transizione, su coda digradante, poi su materiale di quarta discendente pure proveniente dall'introduzione, porta al secondo tema in do minore. In poche sequenze si è visto come Brahms proceda nella tecnica di scritturar continuando a variare la forma a partire dalla cellula originaria iniziale e utilizzandone parti, segmenti, archi, non solo nell'articolazione esclusiva dei temi, ma anche nei tratti di collegamento, nei passi conclusivi, nei momenti di divagazione. Il secondo tema, in do minore, possiede un profilo guardingo e carico di fisicità per la particolare segmentazione ritmica; ancora derivato dalla cellula iniziale, esplode icastico negli accordi del piano, sopra i ficcanti melismi e le volate del clarinetto, sino a espandersi in un brillante passo toccatistico ben distribuito nell'intrecciarsi a spirale della parte del duo, ancora una volta ricavato dall'arco discendente introduttivo e da altri sintagmi tematici quali l'intervallo di terza, che funge da elemento frenante a fine passo (coda). La particolare fioritura motivica che Brahms dà alla partitura è confermata dall'approcciarsi di un terzo tema, un'avvolgente linea sospinta in arpeggio all'acuto e aperta dall'intervallo ascendente di quarta percorsa dai penetranti e traccianti sibili del clarinetto. Quando giunge lo sviluppo, sereni accordi in morbida e allargata sincope, dislocati sul tracciato lineare discendente nel modo della transizione che seguiva il secondo tema, punteggiati dal discorso pacato del clarinetto, si inanellano in svagato scambio d'andamento canonico; seguono varianti di elementi tratti dall'introduzione sino a quando, di colpo, la linea si inarca, quasi imbizzarrendosi, su spezzoni di materiale segmentato e variato derivato dal motivo originario introduttivo (intervallo di quarta, moto discendente per gradi congiunti, profilo ondulato della linea) e su citazioni del secondo tema richiamato da varianti ritmiche; infine fioriscono nuove variazioni dell'introduzione sul profilo discendente, che si spengono confluendo in una pacata coda. Il clima si è man mano di nuovo acquietato, sfumando in una vena più intimistica: si apre così la ripresa variata dell'esposizione, che riporta l'atmosfera un po' ombreggiata e lirica dell'inizio con il primo tema, ora trascolorato sotto più filtri enarmonici. Nuovi giochi coloristici e melodici vengono proposti, come il cicaleggiante inciso in levare a due note del clarinetto. Ma la simmetria è rispettata, con l'ulteriore successione di transizione, secondo tema in fa minore, passo toccatistico e passo frenante finale, terzo tema, che ora alla fine, fragorosamente, come le onde del mare, si infrange su profondi accordi ricavati da elementi ritmici di slancio dello stesso primo tema; il ritorno del primo tema, nostalgico e dalle vellutate iridescenze, prosegue nell'Epilogo (Sostenuto ed espressivo), una sezióne che fa dello struggimento la propria poesia: si genera una sorta di continuo, fluido movimento di risacca, giocato nelle interiezioni di clarinetto e pianoforte e generato dall'iniziale terza minore originaria del primo tema, dipanata lentamente in imitazioni canoniche per moto contrario; il quadro è molto sfumato dagli accordi del pianoforte al registro più grave, ammorbidito nel vellutato rivestimento in arpeggi, impreziosito dai volteggi del clarinetto pure replicanti in forma di raffinata variazione gli spunti tematici: davvero una magistrale pagina di chiaror lunare, di osservazione estatica delle cose, veri e propri silenti respiri sentimentali che replicano in dissolvenza, il motto iniziale [1.13].

Sopra questo clima estatico e un po' incantato giunge l'elegiaca nenia dell'Andante un poco Adagio, un passo dove il tempo si ferma, sospeso come in levitazione onirica, lasciando trasparire un pervasivo sentimento di tristezza di fondo. Sugli appoggi del piano viene intonata - e poi ripetuta - una lenta cantilena digradante del clarinetto derivata dall'idea originaria del primo tempo (dalle note mi bemolle, re, do), fatta di spasimi su ampi intervalli e increspature, snodata su un accenno di progressione; lo sfondo è fermo, immobile, come fissato dentro a un quadro notturnale, con i suoi respiri e i suoi suoni isolati e un po' misteriosi. Anche la seconda idea è riconducibile alla prima, disposta com'è su quiete quartine di semicrome e poi elaborata nella parte centrale. Dopo poco, però, si estingue sul ritorno quasi in sordina, enigmatico e dubitativo, della prima idea al pianoforte, che si muove placida su interrogative cadenze. È l'anticipazione della ripresa, dove la prima idea, variata nel supporto armonico del pianoforte e nelle scelte di registro timbrico, torna ed è poi ripetuta come all'inizio dell'Andante. Bastano a Brahms pochi ritocchi, qualche variante nell'arpeggio di sostegno, nella scelta di registri del duo per far intravedere nuove luci, nuove prospettive. Anche la seconda idea è in forma di breve variazione, questa volta con sapore di commiato e subito proseguita nella coda, magistralmente costruita sul contorno della prima idea sopra i metallici, spettrali rintocchi accordali del piano sul pedale di tonica.

Quando perciò giunge l'Allegretto grazioso, siamo improvvisamente sorpresi da una nuova ventata di immagini, sommersi letteralmente dai suoni e dai sapori della campagna, rappresentata realisticamente con i suoi canti e le sue danze popolari schiette e genuine. Un plastico e ondulato di tema di Ländler, variante di un segmento dell'introduzione del primo tempo, entra sulla scena con la grazia rustica e il tipico passo un po' greve di danza popolare, sostenuto dal moto ritmico cadenzato al basso del pianoforte. Si sente una figura discendente, un motivo bucolico ancora derivato dalla cellula generativa del primo movimento sopra i palpiti accordali del pianoforte; ecco poi il ritorno del tema di Ländler e una graziosa frase di cerniera melodica di raccordo. Il Trio interno è una vivida immagine popolare, con il clarinetto nel suo ruminante e onomatopeico basso mormorio che pare imitare i suoni naturali del pascolo e l'irreale scampanio e buluginio per rifrazione sonora su terze alternate disposte come su di un piano inclinato scivolante al basso (tutti elementi provenienti dall'introduzione e dall'intervallo caratteristico di terza del primo motivo del primo tempo): un'istantanea paesaggistica dall'accattivante bellezza e presa diretta. Infine, a chiudere il quadro, ecco la ripresa testuale del tema di Ländler. Ma le scene dipinte da Brahms si accavallano con celerità ed ecco ora giungere l'epilogo della Sonata, un nuovo quadro sgargiante nella forma del più schietto rondò (Vivace), richiamante pure una rapsodica forma-sonata. Poche battute di preambolo introduttivo sulla falsariga dell'introduzione del primo tempo, su comuni note tematiche, bastano a riportarci all'origine della Sonata. Prevale qui, almeno nel tempo ultimo, un'idea più spensierata di musizieren, che pare richiamare la sapiente lezione dell'Haydn più ispirato, del Mozart dei fantasiosi divertimenti, più leggero e aleatorio. Il primo tema ha il caratteristico inizio in levare, pervicace nelle note ribattute e dal profilo riverberante anche elementi del primo tema dell'Allegro appassionato. Dopo un aurorale primo passo di transizione ritorna il primo tema, completato da un'appendice finale di collegamento sullo schema delle note ribattute del preambolo. Il secondo tema ha un tono diverso, con il suo andamento discorsivo e il moto ondeggiante diviso tra fasi di spinta e di riflusso, davvero di discreta familiarità con i salti del primo tema, replicante nel pianoforte quel suo corposo, avvolgente rivestimento armonico, qui definito su bicordi di seste parallele in ondulato movimento per terzine. Alla fine lo ravviva uno scorrevole, successivo passo secondo di transizione. La squillante ripresa del preambolo introduttivo, come una sigla che richiama l'attenzione, segna l'avvio di una sezione di chiaro carattere sviluppativo, distesa per ampie elaborazioni. Si succedono transizione I e primo tema, ma senza l'appendice, sostituita da un passo rapsodico e dal ritorno in forma molto energica del primo tema variato; l'inciso per nota congiunta in levare, derivato dal primo tema, diviene elemento di trapasso e anticipo del terzo elemento tematico, dal tipico inciso per nota contigua, di carattere riflessivo e dimesso, ben diviso nel dialogo pacato tra clarinetto e pianoforte, ancora una volta imparentato per note matrici in comune con l'introduzione del primo tempo. Dopo la ripresa variata del secondo tema e della transizione II, ecco un'improvvisa cadenza evitata e il ritorno del preambolo, rallentato e approfondito da seriose aumentazioni ritmiche, salvo poi tornare ex abrupto alle gioviali figurazioni nei tradizionali valori di minimo e crome, ma con tono conclusivo: imprevisti cambi d'umore si accavallano nella vita quotidiana di campagna, pare suggerirci lo sguardo di Brahms; segue un giocoso, sbarazzino passo di collegamento originato dal calco originario del primo tema, a richiamare pure gli elementi per note congiunte del secondo e terzo tema. Siamo all'epilogo, con il gioioso ritorno del primo tema variato; una perentoria coda su frammento del preambolo introduttivo conclude con tono gioviale di sagra paesana il movimento.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 4 Marzo 1977
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 19 aprile 1989
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 199 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 24 gennaio 2014