Sonata n. 1 in mi minore per violoncello e pianoforte, op. 38


Musica: Johannes Brahms (1833-1897)
  1. Allegro non troppo (mi minore)
  2. Allegretto quasi Menuetto (la minore) e Trio ... (mi maggiore)
  3. Allegro (mi minore)
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: 1862 - 1865
Edizione: Simrock, Bonn, 1866
Dedica: Joseph Gänsbacher
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Per due volte, a vent'anni di distanza l'una dall'altra, Johannes Brahms scrisse per violoncello e pianoforte, e in entrambe le circostanze fu decisiva la sollecitazione rappresentata da un amico violoncellista. La Sonata in mi minore n. 1 op. 38 fu composta tra il 1862 e il 1865: i primi due movimenti, oltre all'Adagio affettuoso poi eliminato per essere riproposto ventiquattro anni dopo nell'op. 99, risalgono infatti al soggiorno estivo del 1862 a Münster am Stein, il finale al soggiorno del 1865 a Lichtental, nei pressi di Baden-Baden. L'opera, dedicata all'insegnante di canto e violoncellista dilettante Josef Gänsbacher, il quale si era adoperato affinchè il compositore ottenesse nel 1863 l'incarico di direttore della Wiener Singakademie, riflette la ricerca intrapresa da Brahms in quegli anni di un proprio tono di voce cameristico. Un tono di voce incentrato sul registro strumentale medio-grave e che trova dunque un ottimale veicolo espressivo nella combinazione di violoncello e pianoforte. La scrittura dell'op. 38 denota una mirabile diversificazione e ricchezza nelle modalità d'interazione paritaria tra i due strumenti. La sonata si contraddistingue inoltre per una disposizione in qualche modo retrospettiva dai molteplici riferimenti, e anzitutto di omaggio alla venerata tradizione settecentesca (ma sono state anche indicate, da parte della critica, numerose citazioni da Schubert). In evidenza, il riferimento all'Arte della fuga di Bach: il tema principale del primo movimento trae spunto dal soggetto del Contrapunctus 4, laddove quello del finale, che è una mediazione tra la fuga e la forma di sonata, ricalca il soggetto del Contrapunctus 13. Il secondo movimento, Allegretto quasi Menuetto, si richiama invece all'epoca classica. Alcuni elementi di affinità si possono cogliere con una sonata, anch'essa identificata come op. 38, del violoncellista e compositore tedesco Bernhard Romberg (1767-1841), che Brahms utilizzò come modello e fonte d'ispirazione nel trattamento della parte violoncellistica.

La decisione ultima di eliminare l'Adagio affettuoso riducendo la sonata a tre movimenti si spiega probabilmente con l'importanza tanto del movimento iniziale quanto del finale, e dunque con la preoccupazione di evitare un esito eccessivamente monumentale. La sonata è costituita dall'equilibrio di tre movimenti ben individuati nella struttura come nel carattere: l'intensa escura eloquenza dell'Allegro non troppo in forma di sonata è controbilanciata dall'eleganza fuori tempo del secondo movimento e dalla severa concezione contrappuntistica del finale. Per assicurare coesione costruttiva, Brahms ricorre nei temi dei movimenti a cellule intervallari comuni: la successione scalare (ascendente o discendente) di tre note e il semitono discendente tra il sesto e il quinto grado della scala minore naturale (do-si, nella tonalità d'impianto di mi minore).

Il primo movimento, Allegro non troppo, ha la forma di un movimento di sonata con tre temi; com'è noto, Brahms riprende e sviluppa da Schubert la struttura di sonata che articola tre anziché due gruppi tematici (cui corrispondono altrettante aree armoniche e tonali). L'esposizione si apre con il primo tema, in mi minore, che imprime il tono espressivo all'intero movimento: di nobile effusione lirica, il tema sale dal registro più grave del violoncello e si dispiega in crescendo: la linea melodica, che pone in risalto l'intervallo di semitono discendente (do-si) essenziale alla struttura dell'intera sonata, passa appunto dal violoncello (espressivo legato), accompagnanato da semplici accordi del pianoforte, alla tastiera. La successiva transizione, orientata verso la tonalità della dominante, si configura come organica espansione e prosecuzione del primo tema, dal quale trae avvio. Il secondo tema, in si minore, è di natura lirica e cantabile come il primo, ma assai più tumultuoso e frammentato; i due strumenti sono strettamente intrecciati e dapprincipio violoncello e pianoforte si rincorrono in canone. A conclusione dell'esposizione, ecco quindi il terzo tema, in si maggiore, inizialmente affidato al pianoforte su disegno ostinato del basso, nel quale l'intonazione lirica assume una sfumatura di enigmatica tenerezza popolareggiante. Segue il ritornello dell'esposizione. Lo sviluppo si articola in tre arcate e l'elaborazione delle idee tematiche corrisponde all'ordine di apparizione dei temi stessi nell'esposizione. Nella prima arcata, che sembra incominciare in sol maggiore ma vira ben presto verso si bemolle maggiore, sono elaborati, in grande crescendo, motivi del primo tema insieme col disegno ostinato del basso. Poi la seconda arcata, che inizia in fa minore, elabora il secondo tema stringendo l'intreccio tra violoncello e pianoforte. La terza arcata polarizza, con effetti di pedale articolato, la dominante della tonalità d'impianto, mi minore, per preparare la ripresa; arpeggi di terzine del pianoforte accompagnano l'elaborazione melodica, appunto in mi minore, del terzo tema. La ripresa ripercorre fedelmente l'esposizione con le ovvie modifiche implicate dalla struttura armonica e tonale dello schema sonatistico. Alla ricapitolazione del primo tema, in mi minore, dove ora la linea melodica del violoncello è accompagnata da arpeggi del pianoforte, succedono la transizione, il secondo tema, ora anch'esso in mi minore, e il terzo tema, ora in mi maggiore. Chiude il movimento una coda di ampio respiro, in mi maggiore, fondata sulla testa del primo tema e sul disegno ostinato del terzo.

Già s'accennava al carattere retrospettivo del movimento centrale, Allegretto quasi Menuetto, assimilabile per tipologia e struttura a uno Scherzo. La forma è dunque ternaria. La prima parte, in la minore, si caratterizza per una grazia melanconica che allude esplicitamente all'epoca classica. Nella prima sezione, il tema principale si sviluppa da un'introduzione pianistica di quattro note che pone in evidenza il semitono discendente (fa-mi) con il quale Brahms crea una connessione tra i diversi movimenti: l'elegante linea melodica passa dal violoncello al pianoforte. Nella seconda sezione si delinea un'idea tematica complementare (grazioso), quindi riappare il tema principale. La parte centrale è costituita dal Trio, in fa diesis minore, lirico e sentimentale, in cui per larghi tratti il violoncello e la mano destra del pianoforte suonano la stessa melodia in ottave. La prima sezione, ripetuta per effetto di un ritornello, trae avvio dalla stessa introduzione di quattro note della prima parte del movimento; alla seconda sezione, anch'essa ripetuta, segue una breve transizione alla ripresa della prima parte.

Il movimento più singolare della sonata è il finale, dove l'omaggio alla tradizione assume i tratti di una straordinaria dimostrazione di come Brahms, grazie a un mestiere solidissimo, sappia sfruttare una non comune cultura musicale e una nitida consapevolezza storica ai fini della creatività compositiva. L'Allegro finale, che come si diceva è una mediazione tra la fuga e la forma di sonata, poneva aspetti problematici in relazione alla struttura e all'equilibrio sonoro tra il pianoforte e il violoncello, legati in un ordito contrappuntistico a tre parti (mano destra, mano sinistra del pianoforte, violoncello). Se Brahms risolve il problema formale in modo ingegnoso, il violoncello, che lungo l'intero arco della sonata suona in una tessitura piuttosto grave, si trova qui costretto a una vera prova di forza per farsi sentire (prova forse all'epoca meno intensa di oggi per la differenza di volume e qualità di suono dei pianoforti intorno al 1865). Il primo tema della forma di sonata, in mi minore, si configura come l'esposizione di una fuga a tre soggetti: il primo e principale soggetto si contraddistingue per le terzine e per il semitono discendente (do-si), il secondo per la vivacità ritmica e le note staccate, il terzo per il fraseggio frammentato e i trilli. I soggetti sono enunciati l'uno dopo l'altro dalla mano sinistra del pianoforte (il secondo soggetto compare mentre il violoncello suona la risposta del primo soggetto, il terzo allorché la mano destra entra con il primo soggetto e il violoncello risponde col secondo soggetto). All'esposizione propriamente detta della fuga segue un'elaborazione: dopo che i tre soggetti riappaiono simultaneamente, la trama contrappuntistica dà origine a progressioni e a procedimenti imitativi basati sul soggetto principale e sulla sua inversione. La funzione di secondo tema, in sol maggiore, è assunta dall'elaborazione di un motivo, ora legato, del secondo soggetto; l'ammorbidimento lirico di questo secondo tema è peraltro risolto in senso dinamico grazie all'instabilità armonica e alla continuità della tessitura contrappuntistica.

La sezione centrale di sviluppo comporta vari procedimenti d'imitazione e combinazione contrappuntistica cui sono sottoposti i soggetti di fuga, trattati per moto retto e per moto contrario. Quindi Brahms inizia la ricapitolazione con il primo soggetto sotto specie di risposta alla dominante (mano sinistra del pianoforte) insieme con il secondo soggetto (violoncello). Nella ripresa, abbreviata rispetto all'esposizione, s'intensificano la pressione e l'impulso in avanti del discorso musicale: cade il secondo tema e si giunge così alla coda conclusiva, in tempo Più presto, che ricorre a elementi del primo e del secondo soggetto di fuga.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Brahms non ha mài goduto di molta simpatia presso i colleghi musicisti, sia da vivo che dopo la morte. A parte i ben noti articoli laudativi di Schumann e di Schönberg, che hanno contribuito al lancio e al consolidamento della fama del compositore tedesco, si sa che Hugo Wolf considerava troppo contorte e ibride le sinfonie di Brahms, autore da Bruckner definito «un freddo temperamento di protestante... Buon musicista che conosce il mestiere, ma che non ha temi». Anche Wagner, sulla scia di Nietzsche, non era troppo tenero nei confronti della musica brahmsiana, esaltata da Hanslick come esempio di classicismo per arginare proprio il dilagante decadentismo della "melodia infinita". Non parliamo poi di Stravinsky, sempre caustico quando si trattava di dare giudizi sui sinfonisti di Scuola germanica, e di Ravel che ironizzava sul fatto che la Quarta Sinfonia brahmsiana cominciasse con un tema quasi dì vàlzer.

Naturalmente questo schieramento anti-Brahms conferma che il criterio delle affinità elettive non è applicabile tra i musicisti, i quali cercano sempre di mettere in evidenza gli aspetti inavvicinabili (nel caso in questione si è appunto parlato di "Unnahbarkeit") di un'arte che non vogliono riconoscere in tutta l'estensione dei suoi valori. Ciò non toglie che Brahms abbia rafforzato enormemente il suo prestigio con il passare degli anni e la sua musica sia molto amata dal pubblico, soprattutto per quel profumo liederistico che si sprigiona dalle melodie delle migliori composizioni sinfoniche e da camera.

Non c'è dubbio che la Sonata in mi minore per violoncello e pianoforte op. 38, insieme all'altra Sonata in fa maggiore per lo stesso duo op. 99 appartiene al Brahms più autentico e veritiero, ricco di atteggiamenti schiettamente romantici, ora meditativi, ora appassionati, ora rapsodici, in linea con le possibilità espressive dei due strumenti, trattati con misurato equilibrio negli impasti timbrici. La Sonata in mi minore fu iniziata da Brahms nel 1862, dopo che l'autore aveva svolto una brillante attività pianistica in lunghe tournées in Germania e fuori. Da principio il musicista aveva scritto due movimenti e un adagio, ma non rimase soddisfatto da quest'ultimo tempo, tanto è vero che accantonò la Sonata per riprenderla poi nel giugno del 1865 e aggiungervi un Finale in forma di fuga. La prima esecuzione ebbe luogo a Lipsia solo il 14 gennaio 1871.

Il primo tempo (Allegro non troppo) è avviato da un tema cantabile del violoncello, ripreso e variato dal pianoforte; il dialogo a due si anima e si infittisce, non senza qualche uscita in tono predominante dello strumento a tastiera, prima del discorso serrato e vigoroso tra le varie parti. Il pianoforte si richiama quindi con morbidezza di fraseggio alla frase iniziale, sorrètta dal suono pastoso delle armonie del violoncello.

Il secondo tempo (Allegretto quasi minuetto) è contrassegnato da un ritmo danzante, leggermente venato di malinconia, come se fosse un valzer triste. Segue un Trio carezzevole e sospiroso, carico di un lirismo intimamente brahmsiano; una pagina di stupenda e finissima poesia cameristica, prima del ritorno allo stesso tema dell'Allegretto.

Il tempo conclusivo è una poderosa e articolata fuga di inconfondibile impronta bachiana, tanto da ricordare in modo dettagliato, secondo alcuni studiosi della musica dell'autore della Passione secondo San Matteo, certi severi contrappunti della stessa Arte della fuga. Del resto Brahms non nascose mai il suo amore per l'arte di Bach; trascrisse per pianoforte diversi lavori bachiani per organo, diresse come responsabile della "Gesellschaft der Musikfreunde" a Vienna la maggior parte delle più impegnative composizioni corali di Bach e fu uno dei primi sottoscrittori e fedeli sostenitori delle pubblicazioni annuali delle "Opere complete di Bach" edite da Breitkopf e Härtel.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata per violoncello e pianoforte op. 38 in mi minore fu concepita, stesa e pazientemente rifinita negli anni 1862-65 (nel fecondo periodo del Quintetto per pianoforte op. 34, del Sestetto op. 36, del Trio con corno op. 40, della prima stesura del Deutsches Requiem, degli abbozzi della Prima Sinfonia!). Ma il 1865 è anche l'anno della morte della madre di Brahms, alla quale egli era legatissimo. La perdita per lui molto dolorosa spiega il carattere in parte austero (tipico anche del Trio op. 40), riflessivo e perfino eloquentemente arcaizzante ('bachiano' alla fine, come vedremo) del lavoro (qualche idea del quale, però, era nata prima del 1865). Già nell'Allegro non troppo il tema iniziale del violoncello, tema mesto e oscuro, sostenuto dagli accordi in contrattempo del pianoforte, esprime una virile rassegnazione o anche un affaticato respiro in cerca di luce. Ad esso risponde il secondo tema, energico e affermativo, esposto dal pianoforte. Ricco e chiaro lo 'sviluppo' nella dialettica dei due temi, che nel passaggio a mi maggiore sembra condurre a una soluzione positiva della condizione interiore. Invece una triste discesa cromatica del violoncello, riecheggiata dal pianoforte, accompagna la musica verso il buio e il silenzio. Il carattere dell'Allegretto quasi Menuetto sembra chiaro e leggero all'inizio, ma presto nell'asciuttezza dei temi, nella secca contrapposizione ritmica tra pianoforte e violoncello, nella comparsa del disegno cromatico discendente, nelle brusche cadenze avvertiamo l'amarezza; anche il Trio in la maggiore, certamente più luminoso, ha un che di inquieto nell'insistente circolarità delle linee, che suona come un'ebbrezza. La sorpresa sta nell'ultimo tempo, l'Allegro, che nella rigorosa oggettività costruttiva e, l'ho detto, arcaizzante si presenta come un omaggio a Bach, subito all'inizio, nello slancio del primo tema fugato: ma la forma non è propriamente quella della Fuga, bensì quella classica della forma-sonata. La solida, ardita coesistenza formale di Fuga e Sonata non è una novità di Brahms (un paio di esempi sono già nell'ultimo Beethoven), ma in questo caso all'ascolto lo slancio conferito da Brahms a tutta la costruzione e la naturalezza sembrano insuperabili.

Franco Serpa


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 154 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 Marzo 1991
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 marzo 2004

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Ultimo aggiornamento 23 maggio 2013