Ventotto variazioni in la minore per pianoforte, op. 35

su un tema di Paganini (sul Capriccio n. 24)

Musica: Johannes Brahms (1833-1897)

Fascicolo I
  1. Tema: Non troppo presto (la minore)
  2. Variazione I. (la minore)
  3. Variazione II. (la minore)
  4. Variazione III. (la minore)
  5. Variazione IV. (la minore)
  6. Variazione V. Espressivo (la minore)
  7. Variazione VI. (la minore)
  8. Variazione VII. (la minore)
  9. Variazione VIII. (la minore)
  10. Variazione IX. (la minore)
  11. Variazione X. (la minore)
  12. Variazione XI. Andante (la maggiore)
  13. Variazione XII. (la maggiore)
  14. Variazione XIII. Vivace e scherzando (la minore)
  15. Variazione XIV. Allegro (la minore). Con fuoco. Presto ma non troppo

Fascicolo II
  1. Variazione I. (la minore)
  2. Variazione II. Poco animato (la minore)
  3. Variazione III. Piano et leggiero (la minore)
  4. Variazione IV. Poco allegretto (la maggiore)
  5. Variazione V. Dolce (la minore)
  6. Variazione VI. Poco piu vivace (la minore)
  7. Variazione VII. Leggiero e ben marcato (la minore)
  8. Variazione VIII. Allegro (la minore)
  9. Variazione IX. (la minore)
  10. Variazione X. Feroce, energico (la minore)
  11. Variazione XI. Vivace (la minore)
  12. Variazione XII. Poco andante (la maggiore)
  13. Variazione XIII. Un poco piu andante (la minore)
  14. Variazione XIV. (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: 1862 - 1863
Prima esecuzione privata: Zurigo, 25 Novembre 1865
Prima esecuzione pubblica: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 17 Marzo 1867
Edizione: Rieter-Biedermann, Lipsia e Winterthur, 1866
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Variazioni su un tema di Händel op. 24, prima composizione pianistica di Brahms che ottenesse ampi consensi critici, furono pubblicate nel 1862, senza dedica. Il 7 dicembre 1861 erano state eseguite per la prima volta ad Amburgo da Clara Schumann; e in una lettera di Giara alla figlia Marie, del 3 novembre 1861, troviamo scritto: «Johannes ha scritto alcune bellissime cose e delle variazioni che mi hanno proprio deliziata, piene di genio e con una fuga alla fine che combina abilità ed ispirazione in una maniera di cui raramente ho visto l'eguale. Sono spaventosamente difficili, ma le ho quasi imparate - sono dedicate "a una cara amica" e tu puoi immaginare quale gioia mi dia il fatto ch'egli abbia pensato a me mentre scriveva queste magnifiche variazioni».

Scritte dunque a conclusione di un periodo in cui Clara, come artista e come concertista - oltre che come donna - aveva costituito il polo di attrazione di Brahms, le Variazioni su un tema di Händel furono seguite nel 1862-63 dalle Variazioni sopra un tema dì Paganini op. 35, nate insieme con l'amicizia che a Vienna aveva legato Brahms al ventunenne e "lisztiano" Carl Tausig. Nel rifiuto, o nella impossibilità di Clara a mettere in repertorio le nuove variazioni, di cui dirò fra breve, c'è anche, simbolicamente, il segno di una svolta profonda nei suoi rapporti con Brahms, il quale cessava di essere per lei la figura sostitutiva di Robert Schumann.

Clara definì Hexenvariationen, variazioni stregate, l'op. 35. Ne scrisse a Brahms per la prima volta il 18 ottobre 1863: «I miei speciali ringraziamenti per le Hexenvariationen - ho cominciato a studiarle con gran zelo, ma non mi sembrano adatte per l'esecuzione pubblica perché le combinazioni sono troppo sorprendenti e ai non professionisti potrebbero non piacere. Io penso che se ne venissero inserite alcune con più semplici armonie, qualcuno (cioè l'ascoltatore) potrebbe avere qualche riposo. Ci pensi su: la terza, quinta, sesta, decima, diciassettesima, diciottesima e diciannovesima sono le mie preferite - molte altre lo diventeranno non appena riuscirò a suonarle correttamente».

Da Mosca, nell'aprile del 1864, a Brahms che le aveva parlato di Tausig in termini elogiativi, Clara scriveva: «Fui sorpresa che Lei mi parlasse così di Tausig; prima avevo sentito parlare di lui solo come di un pestone, ed io sto sempre più provando avversione per il pestaggio, così che ora non posso davvero tollerarlo - qui in Russia ho dovuto di nuovo sentirlo, da Bülow».

Il 19 luglio Clara tornava sulle Variazioni: «Sono stata a studiare le variazioni da Paganini molto laboriosamente, ma più ci lavoro, più le trovo difficili. Tuttavia non intendo fermarmi finché non le conoscerò, e sono interessata alle loro abili combinazioni. Non mi sembrano adatte da suonare in concerto, perché neppure un musicista può seguire le loro curiose ramificazioni e i giri piccanti; tanto più che il normale pubblico le giudicherebbe come se fossero dei geroglifici».

Infine, l'1 maggio 1865, da Londra, Clara riassumeva il suo pensiero dicendo innanzitutto di non vedere la ragione di due serie di variazioni sullo stesso tema di Paganini; consigliava di ridurre il tutto ad una sola serie, omettendo alcune variazioni ed usando come finale quello della prima serie. Le variazioni da escludere, secondo Clara, erano la n. 8 della prima serie e i numeri 4, 11, 12, 7a e 16 della seconda serie (non si capisce bene a che cosa Clara si riferisca con i numeri 7a e 16). E concludeva: «Le variazioni mi fanno sempre pensare al titolo Studi in forma di variazioni, che converrebbe loro benissimo. Sarei felice di essere capace di studiarle nuovamente».

Clara non eseguì mai le Variazioni. Le eseguì Tausig a Berlino il 25 marzo 1865, e le eseguì Brahms a Zurigo il 25 novembre 1865 e a Vienna il 17 marzo 1867, ma non sappiamo se si trattasse di esecuzioni integrali. Penso di no, perché Brahms autorizzò poi il pianista Hans Barth a presentare in pubblico una scelta comprendente il tema, le variazioni n. 1, 3, 5 e 9 della prima serie, 6, 7, 12 della seconda serie, 10, 11, 13, 14 e finale della prima serie. Una scelta venne eseguita da Paderewski e varie altre scelte, più o meno ampie, vennero eseguite da molti altri concertisti fino a Benedetti Michelangeli. Per molto tempo si seguì anche l'uso di passare dalla battuta 24 del finale della prima serie alla prima variazione della seconda serie, omettendo il finale della prima serie e la seconda esposizione del tema.

L'amicizia con un grande allievo di Liszt, la difficoltà estrema, la stessa decisione, necessariamente emblematica, di variare un tema di un virtuoso come Paganini possono far pensare a un ritorno verso il romanticismo demoniaco degli Anni Trenta.

La ricerca virtuosistica delle Variazioni op. 35, per quanto strano ciò possa sembrare a tutta prima, continua invece coerentemente la linea delle Variazioni op. 24, neoclassiche. Non si incontrano nelle Variazioni op. 35 né i trilli e la melodia alla stessa mano, né i passi della mano sinistra sola, né la coloratura che copre tutta la tastiera, né le ottave prolungate, né altre di quelle ardite sperimentazioni virtuosistiche che spesseggiano nelle pagine scritte dai virtuosi negli Anni Trenta. Vi si trovano invece molti esempi di scrittura neoclavicembalistica e neoorganistica. E forse Tausig interessò a Brahms, più che come allievo di Liszt, come trascrittore della Toccata in re minore di Bach, presentata a Berlino nello stesso programma in cui vennero incluse le Variazioni sopra un Paganini (Beethoven: Sonata op. 81a; Bach-Tausig: Toccata in re minore; Brahms: Variazioni sopra un tema di Paganini; Chopin: Polacca op. 53; Rubinstein: Danze n. 1-6 da Le Bal; Liszt: Fantasia sul "Don Giovanni").

Ci sono nelle Brahms-Paganini due variazioni famose, famose fino ad essere proverbiali fra i pianisti, la n. 13 della prima serie (sulle ottave in glissando) e la n. 11 della seconda serie (sulle ottave "cieche"). Tanto famose, tanto difficili che i competenti pubblici americani degli Anni Venti e Trenta applaudivanp come al circo quando ad eseguirle era Joseph Lhevinne, al quale riuscivano, pare, in un modo inimmaginabile. E Lhevinne, ben lungi dal risentirsi perché l'esecuzone veniva interrotta dagli applausi, concedeva subito il bis della 13/I e della 11/II...

Orbene, in entrambi i casi non è improprio pensare ad una trascrizione dall'organo o da un clavicernbalo con registri di 4 e di 16 piedi. Così com'è del tutto evidente che Brahms ha in mente una registrazione organistica dell'undicesima variazione della prima serie, con la mano destra che fa da riflesso impallidito della sinistra. Nella successiva variazione il canone è strumentato in modo che ricorda le cineserie delle Variazioni su un tema di Schumann op. 9, ma non senza un'idea di registrazione organistica su due manuali. Più diretto, più palmare ancora è il riferimento a registrazioni organistiche nella n. 7/I, nella n. 8/I, nella n. 9/I, nella n. 9/II, nella n. 10/II, nel finale della seconda serie. E per un clavicembalo a due manuali sembrano pensate le variazioni quinta, decima e quattordicesima della prima serie e la prima della seconda serie.

Un altro esempio di scrittura per nulla romantica lo abbiamo nelle due variazioni (n. 4 e n. 12 della seconda serie) basate su melodie che vengono esposte in registro acuto e sopracuto e strumentate in ottava, mentre il romanticismo aveva puntato piuttosto, per le melodie, sulla densità corposa del registro medio ed aveva usato poco l'ottavazione come mezzo espressivo. Molto raro è il riferimento al violino, che ci si aspetterebbe invece di trovare in variazioni su un tema di Paganini: in pratica, dopo la prima variazione, ispirata alla seconda della serie paganiniana, sono "violinistiche" solo la terza variazione della prima serie, l'ottava della seconda serie (con la didascalia quasi pizz.) e un passo del finale della prima serie.

Persino il tema viene strumentato da Brahms con un semplice raddoppio in ottava e con appena qualche accenno di armonizzazione: basta paragonare la trascrizione brahmsiana del tema con quella di Liszt (nell'ultimo degli Studi da Paganini) per capire quanto eterodossa dovesse parere la concezione di Brahms rispetto alla tradizione pianistica romantica che aveva rispecchiato in sé il virtuosismo demoniaco di Paganini. È strano che Clara Schumann non vedesse la ragione delle due serie di variazioni sullo stesso tema, ed è strano che Brahms autorizzasse Barth ad eseguire in pubblico un mélange delle due serie. La ragione delle due serie consiste a parer mio nella sonorità.

Pur nel comune denominatore di una scrittura nella sua radice, arcaicizzante, la tessitura della sonorità è più densa nella prima serie, più trasparente nella seconda: la prima serie, oserei dire, è più paraorganistica, mentre la seconda è più paraclavicembalistica: nella prima s'affaccia l'ombra di Bach, nella seconda l'ombra di Scarlatti, autori che il concertista di pianoforte Johannes Brahms aveva in repertorio. Una differenza netta, che si impone da sola quando le due serie vengono eseguite di seguito, e con la ripetizione del tema. Mentre mancano l'obiettivo tutte le soluzioni che tentano una sintesi tra le due serie e la costruzione di un'architettura paragonabile a quella delle Variazioni su un tema di Händel, la perfetta riuscita formale è raggiunta da Brahms nelle due serie, impeccabilmente equilibrate nelle loro più brevi proporzioni e che, insieme, costituiscono un dittico in cui le due "ante" sono complementari.

Le Variazioni op. 35 concludono a parer mio le ricerche brahmsiane sul pianoforte, ma le concludono seguendo una evoluzione storica della scrittura pianistica, sviluppatasi durante il romanticismo in due direzioni: con l'assorbimento del teatro, con l'assorbimento della musica sinfonica. Dopo il 1860 gli interessi dei giovani virtuosi sono ancora in parte indirizzati verso l'opera di Wagner, ma trovano maggiori stimoli nella trascrizione dall'organo o dal clavicembalo, che consente nello stesso tempo un allargamento del repertorio concertistico ed una ricerca sullo strumento non ancora condotta a fondo.

Non solo le Variazioni su un tema di Händel, ma anche le Variazioni sopra un tema di Paganini acquistano il loro più profondo significato storico se sono viste nel contesto delle trascrizioni dall'organo e dal clavicembalo di Tausig e di Bülow, di Julius Schulhoff, Reinecke, Raff, Saint-Saèns, Planté, August Dupont, Brassin: trascrizioni che sono prima di tutto ricerche sul colore pianistico. Si capisce così un'affermazione di Oscar Bie, che nel 1898, ancora a ridosso della generazione di cui ci stiamo qui occupando, scriveva: «Egli [Brahms] lavorò nel mondo del suono senza tracce di virtuosismo, senza un sospetto di concessioni alla comprensione del mero dilettante». Affermazione che apparirebbe assurda se si considerassero le Brahms-Paganini solo sotto l'aspetto della difficoltà meccanica.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In sede di presentazione di musiche paganiniane abbiamo già avuto modo di mettere in rilievo il fatto che tali musiche non possedevano solo delle appariscenti, estrinseche qualità virtuosistiche, ma celavano in sé delle sostanziali ricchezze strutturali in virtù delle quali esse furono capaci di accendere la fantasia creatrice di tanti compositori contemporanei e posteriori al Paganini, da Schumann, Liszt e Brahms a Rachmaninoff, Casella e Blacher. Il tema dal quale Brahms si è partito in queste Variazioni pubblicate nel 1866, è uno di quelli che i compositori che si sono ispirati a lavori di Paganini hanno mostrato di prediligere e questo, conformemente all'assunto esposto più sopra, non si spiega tanto considerando il fascino della tecnica strumentale che esso presuppone ed esige, quanto tenendo presente la particolare plasticità della sua conformazione sia ritmica che armonica, che lo rende idealmente adatto a fungere da spunto per gli sviluppi più diversi. Del resto, già lo stesso tema paganiniano si presenta come uno sviluppo di un'unica cellula ritmico-melodica che si delinea nella prima battuta e dalla quale germoglia poi tutto il periodo tematico. Ed è a questa cellula che Brahms ha ancorato le due serie di quattordici variazioni ciascuna che costituiscono i due quaderni di questo suo lavoro. Se Händel si limitava a «variare» gli aspetti dei suoi temi, presentandoli sotto acconciature diverse, ma che non ne intaccavamo la sostanza, Brahms, raffinando ancora la tecnica della variazione beethoveniana, investe il tema alle sue stesse radici, riplasmandolo nelle sue più recondite infrastrutture, arrivando a dissolverlo a volte integralmente, per ricostituirlo poi in una fitta rete di rapporti capillari. Così, già nella Prima variazione del primo quaderno, mentre persistono lo scheletro armonico e i contorni melodici del tema, la sua configurazione ritmica appare radicalmente variata mediante la riduzione ad un comune denominatore metrico di tutti gli elementi originariamente differenziati. Nella Seconda Variazione, mentre ha luogo una inversione delle parti affidate alle due mani viene introdotta una nuova variante metrica. Nella Terza Variazione, la trama sonora viene ridotta ad una sola linea divisa tra le due mani e il ritmo fondamentale di 2/4 si trasforma in 6/8 per diventare nella Quarta Variazione di 12/8. In quest'ultima Variazione il tema si sfrangia in arpeggi e si dissolve, in trilli per rapprendersi poi nella Quinta Variazione in linee espressive, leggermente ondulate. La struttura ritmica viene ancora variata, mediante la sovrapposizione polimetrica di passi in 2/4 e 6/8. Anche nella Sesta Variazione (che porta pure l'indicazione «molto leggero») l'interesse del discorso è centrato su una snodata articolazione ritmica ottenuta mediante accordi che cadono sui tempi deboli di una trama ritmica in 6/8 definita da ottave staccate in movimento uniforme. Nella Settima e nell'Ottava Variazione (scritte pure in 6/8) l'interesse dell'elaborazione sì sposta sulla dimensione timbrica: esse sono caratterizzate infatti dai contrasti di sonorità ottenuti mediante continui salti da un registro all'altro della tastiera. Nella Nona Variazione la differenziazione timbrica è ottenuta mediante la contrapposizione di ottave ribattute e di scale legate in terze e ottave. Nella Decima Variazione, gli effetti chiaroscurali sono ancora accentuati in virtù della adozione di un contrappunto tra passi legati e passi staccati. Nell'Undicesìma Variazione l'opposizione di timbri cessa: tutto il tessuto sonoro si trasferisce nel registro acuto, assumendo quasi una sonorità da Carillon: viene variato invece il modo, che da minore diventa maggiore. La Dodicesima Variazione si mantiene nel modo maggiore, ma l'ambito degli intervalli si allarga e la sottile fascia timbrica della variazione precedente, pur restando omogenea, si espande in una ampia superficie sonora. Nella Tredicesima Variazione ritorna il modo minore dell'inizio, mentre lo spirito di variazione investe l'elemento melodico: la cellula originaria la-do-si-la appare retrogradata e diventa la-si-do-la. La Quattordicesima Variazione infine che, con virtuoslstica bravura, conclude il Primo quaderno, s'impernia su un motivo ottenuto sommando la forma originaria della cellula melodica e la sua inversione. Anche le 14 Variazioni del Secondo quaderno si dividono in gruppi nei quali vengono sottoposti successivamente a variazioni i vari elementi formali del tema. Nelle prime cinque variazioni sono ancora gli elementi ritmici ad essere variati: nella Prima il ritmo è segnato da terzine che si spostano dal basso al soprano; nella Seconda si dà una nuova sovrapposizione di formule metriche binarie e ternarie; nella Terza ricompare finalmente il ritmo primitivo del tema paganiniano che si trasforma poi nuovamente da 2/4 in 3/8 nella Quarta e nella Quinta Variazione. Nella Sesta, Settima e Ottava Variazione si modifica la consistenza timbrica del discorso il quale dall'arabesco monolineare della Sesta passa al leggero parlato, «quasi pizzicato» della Decima. Nella Nona, Decima e Undicesima Variazione ritorna in primo piano la cangiante elaborazione dei valori melodici, sottolineata dalla ripresa della forma retrograda del motivo fondamentale della Nona Variazione e dalla violenta opposizione dei significati espressivi resa evidente dalle indicazioni di tempo e di carattere della Decima e dell'Undicesima Variazione: «Feroce energico» e «Vivace, non legato e scherzando » Nella Dodicesima Variazione l'azione variante investe infine la stessa tonalità: dall'orbita di la minore si passa in fa maggiore. Nella Tredicesima Variazione si ritorna sul piano tonale di la, ma le funzioni tonali da diatoniche qual'erano prevalentemente fino adesso, diventano cromatiche. Nella Quattordicesima Variazione i vari moduli e le varie maniere di variazione si giustappongono e si intrecciano, coronando l'intero lavoro nel modo più brillante. Non potremmo concludere questa succinta analisi che può dare solo una pallidissima idea della ricchezza architettonica di questo formidabile capolavoro brahmsiano, senza mettere in rilievo che in esso virtuosismo strumentale e supremo virtuosismo compositivo, equilibrandosi e condizionando la reciproca necessità, non mancano mai e risolversi in autentica poesia.

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

Dopo l'«exploit» delle «Handel-Variationen» op. 24 Brahms si accinse a completare due serie di variazioni sul tema dell'ultimo Capriccio paganiniano, con l'intenzione di creare più una raccolta di «studi per pianoforte» (questa la prima idea, dietro suggerimento di Clara Wieck) che non una composizione concertistica vera e propria. Terminate nel 1863, pubblicate nel '65, eseguite in forma ufficiale dall'autore nel '67 assieme al suo Scherzo op. 4 e agli Studi sinfonici di Schumann (che senz'altro aveva tenuto presenti nella composizione dell'op. 35), le «Paganini-Variationen» non aggiungono alcunché di fondamentale alle risorse della variazione classica, esplorata in ogni possibile varietà da Beethoven. Ma, con perfetta comprensione del metodo beethoveniano, Brahms porta, come nelle altre sei serie di lavori originali, e nei movimenti cameristici (op. 18, 36, 67, 115), il calore emozionale e l'avanzata tecnica strumentale che gli sono propri, nonché le risorse armoniche sviluppate dai musicisti romantici.

Mentre l'op. 24 aveva risolto problemi formali e «musicali», l'op. 35 è invece un caso a sé stante nella storia del pianoforte, e della variazione, per la volontà virtuoslstica che accompagna il solito collaudato magistero compositivo, volontà che trascende persino le ardue difficoltà delle «Diabelli-Variationen» o degli «Etudes symphoniques». Forse per questo l'autore ne era solo parzialmente soddisfatto: a lui, e a Clara, apparivano solo (e eminentemente) come un vertice di tecnicismo pianistico. Del resto, la minor bellezza musicale rispetto all'op. 24 non dipese anche dal fatto che il tema di quella «Lezione» händeliana meglio si prestava a quel tipo di speculazione contenutistica?

Era logico d'altronde che Clara Wieck trovasse difficili le Variazioni, che chiamava «Hexen-Variationen» (da «Hexe», che significava strega): ottima pianista e musicista, non era però una virtuosa. Aveva anche preteso da Robert un altro finale per la Sonata in sol minore, trovando troppo assatanato l'originario «Presto passionato» (e non aveva torto!). Neanche poteva prevedere, anche se è nell'ordine delle cose che ogni creazione vuole prima o poi i suoi interpreti, le future tecniche femminili (restiamo in tema!) che sarebbero spuntate di lì a poco: la Goddard, la Menter, la Essipov, la grande Teresa Carreno, la Bloomfield-Zeisler, la Adele aus der Ohe, la Samaroff. E per restare all'Ottocento!

Anche nella versione solistica delle «Danze ungheresi» il pianismo è egualmente scoperto e periglioso, ancorché meno virtuosistico; ma là l'esigenza di contenere nei due pentagrammi il materiale di quattro (come si sa, la prima versione è per pianoforte a quattro mani) lo rendeva quasi inevitabile. All'origine della difficoltà delle Variazioni troviamo invece, una volta di più, colui che fu il padre e l'ispiratore di ogni virtuosismo strumentale dell'Ottocento: Niccolò Paganini. Il violinismo diabolico dell'«hollischer Kerl», imperfettamente portato verso un'identità di valenze strumentali nel passaggio dall'arco alla tastiera da un Robert Schumann, solo con Liszt, con le successive versioni dei suoi studi, vi era riuscito felicemente. Brahms va oltre quell'identità di valenze, che all'amburghese in fondo non interessava più. Certo l'influsso di Liszt è palese. Ne fu tramite Carl Tausig, il grande alunno e virtuoso lisztiano, che Brahms frequentò all'inizio degli anni Sessanta? Può darsi. Con lui lavorò a lungo, infatti, su esercizi e possibilità tecniche, sia per le Variazioni che per gli Studi (ingegnosi rifacimenti da Bach, Weber e Chopin, antecedenti illustri delle terrificanti «ricreazioni» godowskiane).

Ne sorti una tecnica che pose il «non-virtuoso» Brahms all'avanguardia del pianismo moderno: al già noto bagaglio del tecnicismo romantico (note doppie, ritmi alternati, ottave, glissandi, salti, estensioni, passi virtuosistici in genere, derivanti anche dalla tecnica violinistica, ed evidenti anche qui) rivissuto però da Brahms in modo tutto personale, si aggiunge una nuova concezione manuale, basata sul concetto della posizione pianistica, ossia dell'assetto della mano sulla tastiera: la difficoltà non consiste più nel passaggio del pollice, o nella velocità «czernyana» di scale e arpeggi, bensi sul rapido cambio di posizione (o di assetto), sul repentino scarto laterale che ponga la mano nelle migliori condizioni per suonare il prossimo gruppo di note. Da qui una nuova concezione esecutiva di ogni passo tecnico, cominciando dalle scale e dagli arpeggi, concezione che culminerà nelle illuminanti diteggiature busoniane. Questa tecnica modernissima, del resto già intuita da Liszt, e quanto mai vicina alla tecnica violinistica della «posizione», venne più tardi (1893) riassunta da Brahms nei «51 Esercizi» (o «Pezzi fantastici nella più ardita maniera di Callot», come suona il titolo umoristicamente romantico!). Insostituibili per penetrare i segreti della tecnica brahmsiana, erano giustamente considerati dallo stesso autore inadatti e pericolosi per certe mani, specie all'inizio dello studio tecnico.

Il tema delle Variazioni op. 35 è già determinante in senso virtuosistico; è un tema da variazioni se mai ve ne furono: nacque cosi con Paganini e tale rimase con Liszt, con Brahms, con Rachmaninov (la cui Rapsodia è una serie di variazioni), e con Boris Blacher. Tre volte Brahms ricorse a temi di variazioni per altre variazioni. È questo un tema già variato... nel tema! È composto di piccole variazioni strutturali sull'inciso iniziale: la persistenza del motivo ritmico di quattro semicrome, come nota l'Evans nel suo monumentale studio analitico, era già presente nel tema dell'op. 24. Già le «Diabelli-Variationen» o le «Eroica-Variationen» avevano dimostrato, con Beethoven, le enormi possibilità musicali di un perfetto scheletro armonico; e certo Brahms le aveva studiate. Anche nelle sue opere la variazione informa ogni parametro della musica, anch'egli spesso a tema e variazione lascia solo un nesso armonico, o addirittura un vago rapporto «atmosferico». Ma lui va anche oltre: crea nuove melodie; lo vediamo tre volte nei due quaderni. Rachmaninov non farà quindi nulla di originale nella celebre 18a variazione della sua Rapsodia! Altro principio brahmsiano è quello di raggruppare le variazioni due a due, o addirittura di agganciarle l'una dentro l'altra, come già Mendelssohn nelle sue «sérieuses».

Bastano le prime variazioni per trovare il più tipico e personale linguaggio (ad onta del tecnicismo, che è sempre un po' neutro), ma anche le tipiche asperità brahmsiane. Le note doppie delle prime due variazioni ricordano l'inizio della Toccata di Schumann; la quarta «chiede troppo a un comune mortale, — disse Huneker — con un trillo in cima a un accordo e la sinistra che fa capriole sull'impossibile». La tredicesima presenta uno dei più celebri esempi di glissando d'ottave (già Beethoven nella «Wadstein-Sonate » e Weber nei suoi Concerti e «Konzertstück»): Brahms, pare, aveva una certa facilità per questo tipo di tecnicismo, che usò a due mani (!) nell'ottava Danza ungherese. L'ultima variazione, in stile paganinesco (quasi «Paganini» del «Carnaval» schumanniano) è mirabilmente collegata alla vera e propria coda. La quarta variazione del secondo quaderno è una «valse» lenta mezzo viennese mezzo napoletana; la nona un celebre passo di incroci ritmici 4 contro 9: l'Evans nota con pignoleria che per aggiustarli matematicamente occorrono non meno di 36 suddivisioni per battuta!); l'undicesima variazione fini molti anni dopo nel 29° esercizio; la dodicesima è una dolce parentesi armonica in fa maggiore; nella tredicesima Brahms ricorre al procedimento della «diminuzione» (un motivo ripetuto in valori più brevi), espediente già usato con effetti più sorprendenti nel finale della Sonata in fa minore.

È legittimo eseguire assieme i due quaderni? Oggi si, logicamente, che il costume concertistico è assai mutato. Secondo l'autore no: due volte il tema e due finali (e che finali!) parlano chiaro, se non bastassero le sue esplicite affermazioni. Non solo. Ne fece una versione abbreviata, non pervenutaci, togliendo variazioni, mutando l'ordine e fondendo in uno i due finali. Un'altra ne autorizzò ad Heinrich Barth (il primo maestro di Artur Rubinstein) nel 1880. Del resto una cosa analoga fece Benedetti Michelangeli sia per il disco degli anni Cinquanta, sia, con meno «tagli», nelle esecuzioni pubbliche degli ultimi anni.

«Pièce de résistance», pietra miliare della letteratura pianistica, le «Paganini-Variationen» furono celeberrimo cavallo di battaglia di grandi virtuosi: rimase leggendario Lhevinne, che sbalordiva tutti i colleghi eseguendo i glissandi prestissimo, pianissimo e «staccato», quindi non glissando (!), con una vibrazione del polso. Altri tempi, altri virtuosi! Quelle di Horowitz e di Benedetti Michelangeli furono, in epoche più recenti, le più sensazionali esecuzioni.

Riccardo Risaliti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 3 Aprile 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 6 dicembre 1954
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 17 maggio 1977

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Ultimo aggiornamento 22 marzo 2019