Concerto in re minore per violino e orchestra, op. 15


Musica: Benjamin Britten (1913 - 1976)
  1. Moderato con moto
  2. Vivace
  3. Passacaglia: Andante lento
Organico: violino solista, 3 flauti (2 e 3 anche ottavini), 2 oboi (2 anche corno inglese), 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, piatti, triangolo, grancassa, tamburo militare, tamburo rullante, arpa, archi
Composizione: novembre 1938 - 20 settembre 1939 (revisione 1958)
Prima esecuzione: New York, 28 marzo 1940
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra, 1940
Dedica: Henry Boys
Guida all'ascolto (nota 1)

Senza dubbio Britten occupa una posizione di rilievo nel panorama della musica contemporanea, perché non è soltanto il più importante compositore inglese apparso dopo Purcell, ma resta uno dei pochi musicisti di livello europeo che abbia lasciato il segno nel corso del suo cammino artistico, senza mai piegarsi alle mode estetiche e farsi coinvolgere negli sperimentalismi effimeri e transeunti. Anche se è difficile poter catalogare con una espressione verbale sintetica la personalità di questo musicista, si può dire che egli possa qualificarsi un eclettico, nel significato più nobile e meno limitativo della parola. Fedele alla regola che «lo stile non conta purché si abbia da dire qualcosa e lo si dica chiaramente» (è una definizione dello stesso musicista che spiega la sua versatilità), Britten riesce a contemperare dentro di sé il vecchio e il nuovo, il passato e il presente al fine di realizzare un linguaggio del tutto personale e comprensibile a tutti. Nessuno più di lui è stato in grado di rivisitare forme arcaiche o classicheggianti, senza rimanere tuttavia invischiato entro schemi precostituiti; inoltre egli ha saputo assorbire la lezione di alcuni «grandi» predecessori, come Verdi, Mussorgski, Berg e Stravinsky, pur rimanendo sempre se stesso nella elegante caratterizzazione strumentale e nella scarnificata e raffinata linea di canto, a volte rievocante il recitar cantando di tipo monteverdiano.

Sarebbe troppo lungo citare tutte le sue composizioni, eseguite in buon numero anche nei teatri e nelle sedi concertistiche italiane, ma vale la pena di ricordarne alcune tra le più valide e significative: l'opera in un prologo e tre atti Peter Grimes, di ambientazione marinaresca e improntata ad una drammaticità di tinta verista; The turn of the Screw (Il giro di vite), considerato il suo capolavoro, composto su un soggetto che la librettista Myfanwy Piper ricavò da un racconto dell'anglo-americano Henry James, pieno di allucinazioni spettrali e di conturbanti innocenze infantili (due atmosfere liriche molto care alla musica di Britten); The Rape of Lucretia (La violazione di Lucrezia), operina da camera in due atti in cui si mescolano formule melodiche e ritmiche di varia estrazione, secondo il principio che la musica è come un'ape che trasvola da fiore in fiore; la incantevole parabola da chiesa Curlew River (Il fiume Curlew); il potente e suggestivo War Requiem di penetrante incisività sinfonica e corale; la conturbante Morte a Venezia su testo di Thomas Mann, intrisa di musica di sconsolata tristezza esistenziale. Né si possono trascurare alcune pregevoli pagine sinfoniche o per voce e pochi strumenti, le piacevolissime Matinées et Soirées musicales e le brillantissime variazioni con fuga su tema di Purcell intitolate The Young Person's Guide to the Orchestra, che sono entrate da anni nel repertorio delle grandi orchestre.

Il Concerto per violino e orchestra appartiene a quel gruppo di lavori meno conosciuti di Britten, ma non per questo meno interessanti e indicativi della sensibilità e della forza inventiva del musicista britannico. La partitura scritta nell'estate del 1939, durante la permanenza del compositore in Canada, venne presentata per la prima volta nel marzo del 1940 a New York dal violinista Antonio Brosa con la New York Philharmonic Orchestra diretta da John Barbirolli. Il primo movimento (Moderato con moto) si apre su un ritmo leggero della percussione, quasi ad annunciare l'intervento rapsodico e lirico del violino, affidato ad un tema ambivalente, ora ostinato e ora sinuoso, simile ad una dolce cantilena. L'orchestra riprende e amplia la frase dello strumento solista e assume un piglio di brillantezza sonora, di sapore prokofieviano; si intreccia quindi un dialogo serrato fra le due «voci», prima che il violino con delicatezza di accenti e un calcolato gioco di armonici si richiami alla frase iniziale, accompagnato sommessamente dalla percussione. Il successivo Vivace è una danza di fresca e sfrenata gioiosità, dal ritmo tagliente e marcato in 3/8 di impronta popolaresca. Non manca un secondo tema più disteso e cantabile presentato dal solista e sorretto da una orchestra mutevole e pungente nella varietà timbrica (qui Britten mostra la sua abilità di strumentatore negli impasti fra ottavino, archi e tuba). Dopo una nuova esplosione danzante della massa orchestrale il violino si slancia in una lunga cadenza dalla tessitura prevalentemente acuta, da cui prende le mosse la Passacaglia, un movimento lento ed espressivo, coinvolgente poco alla volta in una marcia ascensionale ogni sezione strumentale fino all'esplosione dei fiati. Il concerto si conclude con un andamento processionale largo e solenne su cui si erge pura e limpida la melodia del violino, come un'assorta e solitaria contemplazione di intima vibrazione romantica.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 14 maggio 1978

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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2014