A Midsummer Night's Dream, op. 64

Opera in tre atti

Musica: Benjamin Britten (1913 - 1976)
Libretto: Benjamin Britten e Peter Pears da William Shakespeare

Personaggi: Organico: 2 faluti (anche ottavini), oboe (anche corno inglese), 2 clarinetti, fagotto, 2 corni, tromba, trombone, timpani, triangolo, piatti, tamburo basco, gong, woodblock, vibrafono, glockenspiel, xilofono, tamburo militare, tamburo rullante, grancassa, 2 campane, 2 arpe, celesta, archi
Composizione: ottobre 1959 - maggio 1960
Prima rappresentazione: Aldeburgh, Jubilee Hall, 11 giugno 1960
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra, 1960
Dedica: Stephen Reiss
Sinossi

Atto primo.
Nella magica foresta s'ode il coro delle fate: sopraggiunge Puck e annuncia l'arrivo di Oberon. Il re degli elfi, che è in lite con Tytania, istiga Puck a cercare la favolosa erba degli incanti d'amore. Giungono le due coppie di amanti ateniesi: Hermia e Lysander, Helena e Demetrius. Appena gli amanti se ne vanno torna Oberon, al quale Puck consegna i portentosi fiori. Dopo il passaggio di alcuni artigiani, che stanno organizzando una recita per festeggiare le nozze del duca Theseus, fa il suo ingresso Tytania, che chiede alle fate di intonare per lei un canto che la faccia dormire. Oberon spreme il succo dell'erba sui suoi occhi: Tytania si innamorerà della prima creatura che vedrà al risveglio.

Atto secondo.
Mentre gli artigiani iniziano le prove del loro spettacolo, Puck decide di tramutare il tessitore Bottom in un essere con la testa d'asino. Tutti fuggono e Tytania, risvegliandosi, si innamora del mostro. Oberon, dapprima divertito dello scherzo di Puck, finisce per incollerirsi quando scopre che il folletto ha creato una gran confusione amorosa anche tra le coppie degli amanti ateniesi. Per rimediare al pasticcio, le fate fanno addormentare gli innamorati e Puck, durante il loro sonno, riesce a riappacificarli.

Atto terzo.
Oberon libera infine Tytania dall'incantesimo e fa sparire la testa d'asino di Bottom. Al suono di una sarabanda, Oberon e Tytania si recano al palazzo del duca, dove vengono celebrate le triplici nozze, allietate dallo spettacolo organizzato dagli artigiani.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il soggetto shakespeariano fu, prima di Britten, fonte di ispirazione per molti altri compositori; tra gli inglesi ricordiamo Henry Purcell (The Fairy Queen). Nel 1960 Britten decise a sua volta di tentare una traduzione musicale della commedia di Shakespeare, per il quale da sempre nutriva una sorta di venerazione. Nei drammi e nelle commedie del poeta inglese, del resto, la musica riveste un ruolo fondamentale, sia come presenza scenica irrinunciabile sia come dimensione dello spirito. L'omaggio del maggiore compositore inglese del Novecento al più grande poeta della sua patria era quindi un gesto quasi doveroso. Il libretto venne redatto con la collaborazione di Peter Pears, ed è, nelle linee generali, molto fedele all'originale.

Nell'opera Oberon riveste un ruolo di assoluto primo piano, vero deus ex machina di tutta la vicenda. Composta per un teatro di piccole dimensioni, la partitura è affidata a un organico formato da archi, sei legni, quattro ottoni, due arpe, clavicembalo, celesta e percussioni. È assai sorprendente come, con mezzi così ridotti, Britten riesca a caratterizzare in modo molto preciso i tre livelli sui quali si sviluppa l'azione: il regno delle fate, quello della corte di Teseo e il mondo degli artigiani. Al folletto Puck, interpretato da un cantante-acrobata, è affidato il compito di metterli in relazione trasvolando dall'uno all'altro. Il peculiare registro delle voci infantili definisce invece il mondo delle fate e degli elfi, il cui re Oberon viene da Britten affidato alla 'innaturale' voce del controtenore, all'epoca il celebre Alfred Deller. Tytania, moglie di Oberon, è forse il personaggio meglio caratterizzato di tutta la partitura: a lei Britten affida le pagine più toccanti, quasi sensuali nel loro patetismo. L'opera consentì inoltre al compositore di sfoggiare capacità ironiche fuori dal comune, come quando, durante la rappresentazione di Piramo e Tisbe (tipico esempio dell'antica tradizione del 'teatro nel teatro'), inscenata dagli artigiani in onore delle triplici nozze, Britten intesse un'amabile parodia dell'opera italiana dell'Ottocento.

Giancarlo Arnaboldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Da parecchio tempo Britten ebbe a coltivare il progetto di comporre un' opera sul fantasioso soggetto dello shakespeariano «Sogno di una notte di mezza estate»: ne discuteva spessissimo con l'amico Peter Pears al punto che, quando si presentò l'occasione di scrivere un nuovo lavoro teatrale, la realizzazione di quell'idea si concretò in brevissimo tempo, come frequentemente accade negli eventi artistici a lungo ripensati e maturati. Lo stimolo estemporaneo, del tutto casuale, fu dato dall'ampliamento della Jubilee Hall ad Aldeburgh, la cittadina del Suffolk dove ogni anno, all'indomani della seconda guerra mondiale, si svolge un festival musicale con l'English Opera Group, la formazione strumentale e vocale fondata e diretta da Britten, e che, nella fattispecie, ebbe ad intessere stretti rapporti rappresentativi con la Royal Opera House Covent Garden.

La genesi originaria del nuovo lavoro è ricordata da Britten con le seguenti parole: «nell'agosto del 1959 vennero iniziate varie modifiche di carattere tecnico alla Jubilee "Hall e parallelamente presi la decisione di scrivere una nuova opera da rappresentare alla serata inaugurale della prossima edizione del festival di Aldeburgh: non c'era affatto il tempo di stendere un libretto originario e cosi rivolsi le mie attenzioni ad un testo che da anni esercitava sul mio animo un'ammaliante seduzione e che era pressoché già pronto... io ho sempre nutrito una passione sconfinata per 'Un sogno di una notte di mezza estate' e, man mano che invecchio, noto che le mie predilezioni s'incentrano sempre più sugli approdi artistici degli autori più vicini o più lontani nel tempo: questo testo teatrale evoca in me l'immagine di una creatura nel fulgore della sua adolescenza, indipendentemente dalla giovane età che poteva avere Shakespeare quando scrisse 'Un sogno'. Dal punto di vista operistico un interesse assai eccitante è fornito dalla simultanea sua tridimensionalità nell'interazione di tre gruppi autonomi di personaggi — gli innamorati, gli artigiani, le fate. Normalmente quando procedo alla stesura di un'opera ho sempre anteposto al libero sgorgare dell'ispirazione musicale la concreta definizione del testo, sono solito infatti avviare rapporti di strettissima collaborazione con il librettista per decidere pariteticamente assieme le linee del soggetto e della sua riduzione: è successo con Crozier («Albert Herring»), con Forster («Billy Budd») e con Plomer («Gloriana»), e da quella specifica sbozzatura compiuta in comune, l'opera ha potuto prender vita come una scultura. Nel caso di 'Un sogno di una notte di mezza estate' il primo obiettivo che m'ero proposto è stato quello di tracciarne le linee essenziali per una progressione teatrale... e non mi sento affatto in colpa per aver tagliato una buona metà dei versi di Shakespeare. L'inizio della composizione musicale ebbe luogo in ottobre per concludersi definitivamente nella primavera successiva, la sera del venerdi santo: sette mesi in tutto, strumentazione compresa. Anche se non ho eguagliato i primati di un Mozart o di un Verdi, quel tempo mi è bastato, proprio perché avevo maturato sufficientemente in me lo spirito dell'opera, sbozzandone poi esattamente i lineamenti essenziali».

In stretta collaborazione con Peter Pears, il tenore che ha tenuto a battesimo tanta sua produzione, Britten espunse un migliaio circa dei 2136 versi del testo originario di Shakespeare, al fine di semplificare l'azione che, emblematicamente, aveva da prender l'avvio nella foresta. «Nove parole soltanto in questo libretto non sono di Shakespeare: divertitevi a cercarle» dichiarò il musicista alla presentazione della sua opera ad Amsterdam all'inizio della tournée mondiale dello spettacolo che ebbe la sua prima assoluta ad Aldeburgh l'11 giugno 1960 — sotto la direzione dell'autore, con regia dì John Cranko, scene e costumi di John Piper e Carl Toms, con i seguenti interpreti: Alfred Deller (Oberon), Jennifer Vyvyan (Titania), Leonide Massine II (Puck), Michael Bauer (fata fior di pisello), Kevin Platts (fata ragnatela), Robert Mc Cutcheon (fata grano di senape), Barry Ferguson (fata tignola), Thomas Bevan e Thomas Smith (fate), Forbes Robinson (Teseo), Johanna Peters (Ippolita), George Maran (Lisandro), Thomas Hemsley (Demetrio), Marjorie Thomas (Ermia), April Cantela (Elena), Owen Branninigan (Bottom), Norman Lumsden (Quince), Peter Pears (Flute), David Kelly (Snug), Edward Byles (Snout), Joseph Ward (Starveling), John Perry (Maestro di cerimonie), Jeremy Cullum (Segretario), Robert Hodgson e Nicholas Cooper (valletti). In un anno, oltre al festival d'Olanda, le rappresentazioni di «A Midsummer Night's Dream» si svolsero al Covent Garden (2 febbraio 1961, con Georg Solti sul podio) e poi ad Amburgo, a Zurigo, Berlino, Pforzheim, Milano (Scala, 21 aprile 1961, in italiano, sotto la direzione di Nino Sanzogno, con regia di Luigi Squarzina e scene di Fabrizio Clerici), Vancouver, Goteborg, Edinburgo, Schwetzingen e Tokio, naturalmente nella stesura riveduta dall'autore per un organico orchestrale normale. Nel predisporre il libretto dell'opera vennero dunque espunti vari episodi ed alcuni altri trasferiti da un quadro all'altro nell'intento di realizzare un'azione teatrale più concentrata e continua. Del tutto soppressa fu nel primo atto la scena iniziale nel palazzo del Duca d'Atene, quando Egeo, padre di Ermia, espone al Duca il caso della figlia già promessa a Demetrio e ora invece innamorata di Lisandro. Pur eliminando totalmente il personaggio di Egeo, Britten e Pears, con finissimo senso del teatro, provvidero a recuperare alcuni aspetti di tale quadro nelle scene successive in maniera non dissimile di come avevano fatto Verdi e Boito, in un caso strettamente analogo, sopprimendo nell'«Otello» il quadro iniziale del ricorso di Brabanzio al Doge contro Otello seduttore di Desdemona e il personaggio stesso di Brabanzio, ma poi ricuperando nel duetto d'amore i motivi centrali della scena soppressa, ossia la storia giustificatrice dell'innamoramento. Come ha esattamente osservato in proposito Lele d'Amico, «la chiave di una riduzione d'altronde va ricercata nella musica, nelle sue ragioni, ambizioni e capacità. I diritti della musica, infatti, di ridurre e manipolare un testo valgono in funzione di altrettanti doveri: tagli e spostamenti si giustificano insomma quando la musica dimostri di saper esercitare direttamente le funzioni di certi trapassi discorsivi, sappia dirci i retroscena che bollono nell'animo d'un personaggio, sappia farci presentire un'entrata in scena, dichiararci il peso di un evento. Il problema in fondo non è dissimile da quello d'una messa in scena. E qual'è il primo problema che si presenta al regista d'un «Sogno di una notte di mezza estate»? Probabilmente quello di soddisfare un'esigenza di ordine, mantener chiaro allo spettatore il filo della vicenda e l'identità delle persone in mezzo a tanta sgargiante dispersione di personaggi e scene, a tanto capriccioso intersecarsi di piani».

Va precisato inoltre che gli originari cinque atti shakespeariani furono ridotti a tre, ciascuno dei quali non solo si inizia ma si svolge nella foresta, salvo un quadro di trasformazione nel Palazzo di Teseo nel corso del III atto. In definitiva, nel primo atto dell'opera figurano rispettivamente alternati due episodi tratti dalla prima scena dei due atti iniziali della commedia, seguiti da un passaggio del secondo quadro del primo atto, inframmezzato tra episodi della prima e della seconda scena del II atto; nel III atto dell'opera di Britten si rinviene il quadro iniziale del quart'atto shakespeariano, collocato però al centro di una struttura tripartita che presenta come pannelli esterni la prima e la seconda scena dell'originario III atto; il terzo atto infine dell'opera di Britten fa seguire alle prime due scene del IV atto shakespeariano il recupero parziale del quadro introduttivo del I atto originario e si conclude con la prima scena del V atto della commedia.

In effetti però il problema di fondo di quest'opera non è stato risolto soltanto dall'approntamento di un libretto moderno, quanto piuttosto dalla musica, in stretta assonanza, del resto, con lo spirito di trascendente fantasia che sottende al sontuoso arazzo, trapunto di vivaci colori, sullo sfondo magico della foresta, della commedia di Shakespeare, percorsa da quell'elegante e capricciosa inventiva che era propria delle allegorie rinascimentali in cui felicemente si fondevano il mondo classico e il mondo fiabesco. Non è un dettaglio di poco conto, d'altra parte, che lo stesso Shakespeare contemplasse la presenza della musica quando ebbe a scrivere «Un sogno di una notte di mezza estate» e questo indipendentemente dall'occasionalità della sua destinazione per una festività nuziale: specie in certi interventi di Bottoni e delle Fate, nonché al risveglio di Titania, auspicato da Oberon, il richiamo alla partecipazione della musica appare inequivoco, al pari dell'evocazione di ritmi di danza o di festanti sonorità dei corni nella celebrazione dell'ingresso in scena di Teseo ed Ippolita, nonché nell'invito al risveglio degli amanti assopiti. Le cronache ci hanno tramandato che sin dai tempi più antichi, era stata contemplata in sede rappresentativa l'incidenza di musiche di scena nello svolgersi di tale azione teatrale e non desta alcuna meraviglia che proprio «Un sogno di una notte di mezza estate» sia stato rielaborato anche con l'inserzione di «masques» di Henry Purcell, andando in scena a Londra nel 1692 con un allestimento protobarocco di Elkanah Settle e di Thomas Betterton: il suo titolo fu «The Fairy Queen». Seguirono poi altre edizioni operistiche a cura di Richard Leveridge (1716), John Christopher Smith (1755), Henry'Bishop (1815) mentre sul continente europeo il soggetto del «Sogno di una notte di mezzai estate» accendeva, nella stagione romantica, l'inventiva letteraria d'un Wieland o pittorica di un William Blake, oltre agli esiti musicali dell'«Oberon» di Weber e poi di Suppé, Mancinelli, Thomas ecc., per non parlare del «Sommernachtstraum» di Mendelssohn.

Un compositore, nel trasporre in musica il «Sogno», poteva esser indotto, dalle molteplici e varie seduzioni di questa commedia, più fatua e artificiale di quanto non sembri nell'equilibrato incastro dei vari intrecci narrativi, ad un mero descrittivismo sonoro di quel mondo magico e fiabesco, governato dal piacere per l'equivoco sfruttato sino all'assurdo. Poteva derivarne quindi il rischio della musica assunta soltanto come decorazione dell'elaborato gioco drammaturgico shakespeariano, che assegna, nella folla dei personaggi, un ruolo veramente vivo soltanto a Bottom: la «misura della felicità di questo personaggio è la scena seconda del primo atto in cui, quando il capocomico improvvisato Peter Quince distribuisce le parti, Bottom, non solo vuole per sé la parte di Piramo, ma corteggia anche quella di Tisbe e, per soprammercato, anche quella di un leone, ed anzi avverte i compagni che, per non spaventare le dame spettatrici con dei ruggiti troppo alti, presterà al suo leone la voce di una colomba» (G. Baldini). Ora invece nel «Sogno» di Britten questa scena, nel primo atto dell'opera, non accampa alcun diritto né appiattisce la rilevanza degli altri elementi, magari non propriamente teatrali ma poetici: ed è sintomatfco che Britten, col formidabile senso dell'azione scenica di cui sempre si è trovato in possesso, abbia attentamente ricusato qualsiasi lusinga in proposito, considerando l'intero episodio della rappresentazione degli artigiani nulla più di un evento di teatro nel teatro, nella prospettiva ovviamente delineata dalle realizzazioni dell'«Arianna a Nasso» di Strauss o del «Retablo de Maese Pedro» di De Falla. Verosimilmente l'inventiva di Britten fu tentata da altre seduzioni, rapportabili essenzialmente alla contrapposizione tra elementi naturali e soprannaturali, del resto già saggiata, e con successo, nel «Turn of the Screw», nonché alla freschezza della poesia shakespeariana nelle parti del mondo fiabesco che davvero suggeriva il ricorso all'acerbo colore timbrico della vocalità infantile — una costante del teatro lirico del compositore inglese — nonché ancora e specialmente alla suggestione dell'atmosfera notturna in cui, come lo stesso Britten più volte ebbe a sottolineare, «all'oscurità s'accompagnano il regno del sonno e l'impero del sogno». Proprio all'incidenza di quest'ultima nota caratterizzante è stato rapportato dal Warrack il tratto più distintivo dell'ispirazione britteniana nella stesura di «Un sogno di una notte di mezza estate», l'esito senz'altro maggiormente ragguardevole ed impegnativo tra i vari lavori che il musicista britannico scrisse attorno al Cinquanta e al Sessanta, non escluse più antiche anticipazioni, come il ciclo di liriche da camera «On this Island» del 1937 su versi di Auden, e che ebbe a sostanziarsi principalmente nella suasiva atmosfera di ninna-nanna delia «Serenade» (1943), nel malioso e cullante «Nocturne» (1958), nel «Night Piece» (1963), per pianoforte, e nel coevo «Nocturnal» per chitarra. In tutti questi lavori, al pari dei momenti più significativi dell'opera, il sonno era considerato emblematicamente non come la fine ma come l'inizio dell'esistenza e giudicato un evento foriero di ordine e di pace, pur se misterioso.

Tutta l'impostazione musicale di «Un sogno di una notte di mezza estate» risulta fondata sagacemente sulla peculiare distribuzione vocale delle varie parti, anche in funzione della chiarezza narrativa ed espressiva dell'insieme. Si evidenziano nell'opera tre diversi piani di canto, cioè il piano soprannaturale di Oberon, Titania e della loro corte, il piano umano dei quattro amanti e il piano degli artigiani impegnati nell'azione di «Piramo e Tisbe». Ad ognuno di questi distinti piani operativi vien fatto corrispondere un peculiare colore vocale. Così ai personaggi del mondo soprannaturale sono assegnate voci irreali, quasi immateriali: Oberon è un contraltista, Titania un soprano leggero di coloratura, gli Elfi e le Fate sono anonime voci bianche. Puck costituiva un enigma, sfuggendo ad una catalogazione precisa e Britten, ricordandosi di alcuni fanciulli acrobati e dotati di straordinarie qualità mimiche e mimetiche che aveva ammirato a Stoccolma, poco tempo prima, si orientò a considerarlo un giovanetto nel periodo della muta della voce, incapace quindi di cantare né come fanciullo né come adulto: una parte quindi solo parlata. Le due coppie di amanti, pur non assumendo un rilievo prevalente, sono determinanti all'azione: a loro spettano quindi le voci tradizionali dell'opera italiana dell'Ottocento, rispettivamente i registri di soprano e tenore per Elena e Lisandro, di mezzosoprano e baritono per Ermia e Demetrio. Ad essi si affiancano anche Teseo ed Ippolita, che svolgono un ruolo marginale, dopo la soppressione nel libretto dell'opera dell'originario primo atto: i registri loro assegnati sono comunque di basso e di contralto. All'estremo limite della gamma dei ruoli canori stanno, i sei artigiani, le cui voci appaiono tipiche dell'opera-buffa: un basso-baritono è Bottom, un baritono è Starveling, due tenori di carattere sono Flute e Snout, due bassi Quince e Snug, secondo una dimensione teatrale di netta marca realistica e caricaturale. Per quanto anonimo, si staglia nell'opera un altro personaggio, invisibile ma essenziale: la foresta, che trova in partitura un suo specifico ruolo perché il motivo che la definisce, cioè una serie di glissati degli archi in su e in giù, da un accordo all'altro, risulta assai più un colore che un disegno tematico, quindi è una voce. E con scaltrita esperienza teatrale, Britten fa emergere il «personaggio» della foresta quando il palcoscenico è vuoto, negli intervalli dell'azione, quasi ad evidenziare l'aspetto incantatorio delle seduzioni della foresta, sospesa tra realtà e irrealtà. Nella strategia musicale dell'opera Britten inserisce altri elementi caratterizzanti del tutto peculiari, assegnando infatti ad ogni gruppo di personaggi, a volte anche ad un singolo personaggio, un esclusivo materiale tematico o un determinato stile melodico, nonché un precipuo accompagnamento strumentale e una data forma e non un'altra. Per tutte le situazioni teatrali, nonché per i personaggi, l'agglutinante è uno solo: il rapporto diretto, immediato, fisico della «voce» con la scena, in un amalgama operistico che rispetta sempre la distinzione strutturale dei differenti quadri o interventi, all'opposto quindi della debordante presenza dei «motivi conduttori» della drammaturgia wagneriana. Basilare risulta dunque nel «Sogno di una notte di mezza estate» la definizione vocale dei piani dell'opera, delle situazioni, dei personaggi, i cui rispettivi temi vengono da Britten sempre rapportati al canto e non evidenziati in orchestra, alla quale compete piuttosto la funzione di far rilevare certi aspetti, volta a volta più significativi, con l'uno o con l'altro timbro, se non con l'uno o l'altro strumento: per esempio la voce vivace e acerba di Puck, che non canta mai, è riecheggiata dalla tromba piccola in re, mentre la comparsa degli Elfi e delle Fate è sottolineata dall'impiego di arpe, clavicembalo, celesta e percussioni; alle due coppie di amanti corrisponde l'intervento dei legni e degli archi; per gli artigiani suonano il fagotto, il trombone e il contrabbasso. Nel tessuto orchestrale emergono solamente alcuni temi, legati non a personaggi o a situazioni sceniche ma ad atmosfere poetiche, come il motivo del sonno, che si basa su una successione di quattro accordi che comprendono le dodici tonalità della scala cromatica, enunciato all'inizio del secondo atto e ricorrente frequentemente per tutto il suo arco, in forma variata, sino a concludersi sulle voci aeree degli esseri sovrannaturali del bosco; nonché il motivo della notte, eseguito in tremolo dagli archi all'inizio del primo atto, o infine il preludio diatonico degli archi che, all'inizio del terzo atto, delinea il sorgere «naturale» dell'alba nella foresta, in contrapposizione ai cromatismi «sovrannaturali» del motivo della notte.

Sempre nella dimensione del canto Britten procede poi a determinare la rispettiva gerarchia instauratasi tra i distinti mondi intersecantisi ma mai contrapposti, una gerarchia che assegna agli esseri soprannaturali della foresta la funzione decisiva di tirare le fila di tutto il gioco strumentale e vocale dell'opera, tra l'umano e l'illusorio. E sono appunto sempre le voci aeree, spesso esili, delle creature fiabesche ad imporsi, specie nei confronti dei vibranti accenti delle due coppie degli amanti nonché degli artigiani. Secondo un rapporto inversamente proporzionale al volume o all'intensità, Britten costringe l'ascoltatore a riservare tutta la sua attenzione agli interventi dei personaggi soprannaturali, le cui parti risultano per lo più racchiuse nella più raccolta estensione vocale possibile: sintomatica in proposito appare la formula magica di Oberon, intonata nell'ottava tenorile più acuta e che attinge al re bemolle, con un filo di voce argenteo, quasi asessuato, e con incisi melodici aforistici, prossimi all'incipit di un antico madrigale. Quando Oberon schiude le labbra, a quel suono sidereo tutto sulla scena ammutolisce. L'influenza di Purcell e dell'antica tradizione vocale inglese è indiscutibile, anche in questa occasione, sulla scrittura compositiva dì Britten.

Nella revisione d'autore, dopo la prima assoluta di «Un sogno di una notte di mezza estate» al Festival di Aldeburgh, venne ampliata l'orchestra sino a comprendere nell'organico due flauti, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba, trombone, due parti per percussione, due arpe, clavicembalo, celesta e archi, nonché una sezione di flauti e timpani fuori scena. All'inizio del primo atto Britten precisa in partitura, con l'indicazione «lento e misterioso», il clima incantato della foresta e, come preludio, si ascolta una serie di accordi in tremolo degli archi, alternati a portamenti in su e in giù mentre il tempo trascorre dal 6/4 a 3/2 in maniera da suggerire l'impressione del respiro irregolare della natura che a poco a poco si anima all'entrata del primo gruppo di esseri fatati: e, al riguardo, il musicista era del tutto consapevole di quanto le «sue fate risultassero differenti dagli innocenti esseri incorporei che popolano spesso i lavori di Shakespeare... non per nulla — dichiarò Britten — esse sono le custodi di Titania e per svolgere tale ruolo devono spiegare una grande varietà di atteggiamenti, non solo incorporei». Un secondo gruppo di esseri fatati compare poi in scena, cantando in 3/4, sinché, punteggiato dall'ottavino e su arpeggi delie arpe e delicate sonorità dei clarinetti in sordina, in tempo allegro che spazia dal 5/4 al 2/4, fa la sua apparizione Puck che domina incontrastato: nell'accompagnamento alla giovane, acrobatica figura del folletto factotum si evidenziano le percussioni e la tromba, quasi evocando analoghi trattamenti strumentali che segnarono le apparizioni del protagonista in «Billy Budd». Su un lento tempo di marcia e in 4/4 compaiono Oberon e Titania da parti opposte e con il rispettivo seguito, mentre si ascoltano arpeggi di viole e violoncelli in divisi e successivi pizzicati degli archi. Mentre le Fate si nascondono, Oberon inizia a cantare un'aria d'inequivoco stampo barocco, sempre a tempo, articolata in brevi e contrapposti incisi sull'accompagnamento di strumenti differenti: quando allude ai fiori, si ascoltano aeree scale delle arpe, e, su un piano più generale, nell'articolata varietà tonale e strutturale di quest'aria, si ravvisa uno scoperto influsso del secondo «Lute Song» di «Gloriana». Breve replica di Titania che poi si allontana assieme alle Fate. Esce dall'ombra, con atteggiamento calmo e gentile, Puck e si accosta a Oberon mentre in orchestra si stagliano le sonorità della celesta e del glockenspiel assieme agli archi con sordina. Al trascorrere dal 5/4 al 2/4 della musica che accompagna le movenze di Puck, segue il canto di Oberon, di nuovo lento e in 6/8: il Monarca della foresta invoca da Puck il succo della viola del pensiero e poi scompare e il bosco riacquista l'atmosfera misteriosa dell'inizio, con il tempo che torna al 6/4 e al 3/2. Un brusco e agitato 2/2 sottolinea l'improvviso ingresso di Lisandro ed Ermia da lati opposti: il loro dialogo è serrato, svolgendosi in un recitativo accompagnato trattato liberamente, cui segue uno spiritoso duetto in 3/2 sulla frase «Io ti giuro che», di carattere scopertamente innodico; mentre la prima coppia umana si allontana, la foresta viene ad immergersi di nuovo nella sua atmosfera misteriosa. Ritorna in scena Oberon ma è invisibile agli altri: dal 6/8 il tempo acquista una subitanea accelerazione all'ingresso di Elena e Demetrio che si rincorrono e la dinamica trascorre poi dal 2/2 al più tranquillo 3/4 alternato al 3/2 o al ritorno al Tempo I. Puck sopraggiunge con il succo della viola del pensiero, ed Oberon gli impartisce le istruzioni del caso, mentre il tempo varia àncora dal 6/8 al 3/4 e poi al 4/4. Alla comparsa dei sei artigiani che discutono la distribuzione delle parti nella rappresentazione di «Piramo e Tisbe», ì fiati accentuano il loro accompagnamento in 2/4. Poi la foresta riprende il suo aspetto consueto, nell'alternanza di momenti tranquilli e di passaggi vivaci, perché prima Lisandro ed Ermia, poi Demetrio ed Elena, intrecciano i loro interventi, dando luogo a una serie di equivoci, governati, ma solo apparentemente, da Puck. Mentre il succo magico fa il suo effetto, torna Titania con le creature fatate, nel tempo che spazia dal 6/4 al 3/2 ed anche lei si abbandona al riposo. Il primo atto si conclude nel trascolorare delle luci nella foresta.

A differenza del I atto, articolato in cinque quadri, senza soluzione di continuità, nel secondo atto vi sono soltanto due scene. In apertura si ascolta il preludio che nell'atmosfera magica del bosco propone un'intensificazione dello strumentale, con gli interventi dei clarinetti, dei corni e delle percussioni, nella varietà del tempo, dal 5/4 al 3/4 al 4/4. Ricompaiono i sei artigiani per provare il loro spettacolo; a una disattenzione di Bottom, Puck ne approfitta per mettergli in capo una testa d'asino: a quella vista, agitatissimi tutti si danno alla fuga, mentre le patetiche sonorità del flauto fungono da transizione al nuovo ingresso in scena di vari esseri fatati: il tempo varia dal 4/4 al 6/4 al 3/2 e al 3/4 e il risveglio di Titania è sottolineato da un più nutrito tessuto sonoro dì strumentini, arpe e cembalo: ad un suo comando, gli Elfi vengono convocati a rallegrare con varie danze — marcate da una marcia in Allegro giocoso di 6/8 che trapassa nel languido ballo in 3/4 sul vivace gioco dei clarinetti e dei fiati con sordina — Bottom di cui, nonostante la testa asinina, Titania si innamora, perché, mentre dormiva, sui suoi occhi era stato versato il succo magico. Le fate poi si allontanano e Titania, assieme al ciuco, cade di nuovo in preda al sonno, e ancora si attenuano le luci. L'inizio del secondo quadro è in un clima assorto, poi in un vivo 2/4 ricompare Puck, mentre Ermia è ora inseguita, nel gioco degli equivoci, da Demetrio, e infine sopraggiunge Oberon che s'avvede dell'errore commesso da Puck e vorrebbe raddrizzare la situazione, mentre in musica si sussegue una varia alternanza di tempo e di clima espressivo, con gi equivoci tra le due coppie di amanti che stentano a risolversi. Continuano le permutazioni di tempo dal 4/4 al 3/4 e poi al 2/2 e tra gli episodi di più ragguardevole spicco si rinvengono un'altra Aria di Oberon, l'invocazione alla notte di Elena e il coro conclusivo delle creature fatate.

Anche il terzo atto è strutturato su due quadri e all'inizio la musica sottolinea il risveglio della natura al mattino, nell'impiego degli archi in 3/4 con i violini sempre indivisi. Titania, Bottom e le due coppie di amanti sono ancora in preda al sonno soporifero quando riappaiono Oberon e Puck. Il tempo allora si fa più vivace, con il 2/4 che trapassa al 3/4 mentre nello strumentale si pongono in risalto le trombe con sordina, i clarinetti e le percussioni. Il risveglio di Titania, che crede d'aver sognato di essersi innamorata di un asino, movimenta la scena: Oberon e Titania si riconciliano e, sulle movenze di una sarabanda, con la melodia intonata dal corno inglese e ripetuta dal clarinetto nell'inversione a specchio, festeggiano danzando la ritrovata serenità e poi si dileguano, in 3/4 sì svolge il risveglio degli amanti umani e la situazione espressiva si ravviva con interventi in rubato degli strumentini in 2/4 e poi in 2/2: le coppie ora hanno ritrovato il loro equilibrio, in maniera scorrevole in 3/4 si svolge l'ntreccio delle loro voci, sinché si allontanano. Anche Bottom, senza più la testa d'asino, si risveglia; ritornano gli artigiani, felici di ritrovare l'amico che credevano disperso, tutta la scena si riaccende di vita e l'orchestra conosce un'agitazione sostenuta mentre il giorno s'avvia al tramonto.

Una marcia in 4/4, sorretta dai clarinetti, flauti, corni, fagotti, trombe con sordina, funge da transizione al cambiamento di quadro che trasferisce l'azione in un rilucente palazzo ateniese. Un'ampia, scorrevole melodia in 4/4 sorregge il solenne ingresso di Teseo e d'Ippolita, al cui cospetto si presentano Elena, Ermia, Lisandro e Demetrio; si prostrano davanti al Duca d'Atene e poi si abbracciano: il loro concertato appare modellato su un noto episodio buffo di «Albert Herring». La corte si predispone all'ascolto di «Piramo e Tisbe», nella rappresentazione degli artigiani. La struttura di questo raffinatissimo esempio di teatro nel teatro è articolata da Britten in 14 brevissimi numeri che portano in partitura le seguenti indicazioni: 1) Introduzione - pomposo (sestetto a cappella), 2) Andante pesante (prologo), 3) Lento lamentoso, 4) Moderato ma tenebroso (invocazione alla notte di Piramo, su accompagnamento di clarinetto e corno), 5) Allegretto grazioso (ingresso dì Tisbe in 6/8 sulle esili sonorità del flauto e dell'arpa), 6) Allegro brillante (duetto d'amore di Piramo e Tisbe in 4/4), 7) Lento lamentoso, 8) Allegro giocoso (comparsa del leone), 9) Andante placido (il chiarore di luna), 10) Allegretto grazioso (profferta d'amore di Tisbe), 11) Presto feroce (i ruggiti dei leone spaventano Tisbe), 12) Lento - Allegro disperato (ringraziata la luna, Piramo attende che si compia il suo destino e spira), 13) Allegretto grazioso - Lento (Tisbe muore anch'essa quando s'avvede che Piramo, anziché essersi assopito, è spirato), 14) Bergamasca (danza bipartita da 3/4 a 6/8 e poi a 2/4, a conclusione dell'operina). È opportuno notare che frequentemente i concisi numeri di «Piramo e Tisbe» sono intervallati da recitativi, o da interiezioni, di Teseo, Ippolita e dei quattro amanti che commentano, in modo pettegolo, la vicenda di «Piramo e Tisbe», di natura solo epidermicamente tragica, dal momento che l'intento della musica è di fare la satira dell'opera romantica ottocentesca di gusto italiano.

Si odono infine i rintocchi della mezzanotte e la conclusione di «Piramo e Tisbe» è riproposta in fortissimo dall'orchestra. Il quadro progressivamente si svuota e tutte le creature umane si allontanano per andare a dormire. Sul tintinnio dello strumentale, su vari registri, ricompaiono le creature della foresta in 3/4, cantano assieme senonché il coro delle Fate è siglato all'improvviso da Puck che, brandendo una scopa, libera di forza la scena. Oberon e Titania in 2/2 fanno di nuovo il loro ingresso e il «Sogno di una notte di mezza estate» sembra avviarsi a una conclusione lenta e solenne, mentre la notte ormai ha avvolto tutti e tutto. Britten però ha riservato agli spettatori un'ultima sorpresa: un episodio orchestrale in Allegro vivo ed uno scherzoso appello delle trombe, con Puck che appone il suggello definitivo all'opera: batte infatti le mani, indirizza un saluto al pubblico mentre cala il sipario.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal dell'Opera 2008, a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 9 giugno 1978

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Ultimo aggiornamento 28 dicembre 2018