Noye's Fludde, op. 59

Opera scenica per voci adulte e di ragazzi, coro di ragazzi, orchestra da camera e orchestra di ragazzi

Musica: Benjamin Britten (1913 - 1976)
Libretto: da "English Miracle Plays, Moralities and Interludes"
Personaggi: Organico orchestra da camera: flauto dolce, pianoforte (a quattro mani), organo, timpani, quintetto d'archi
Organico orchestra di ragazzi: flauto dolce, trombe, campane, grancassa, tamburo rullante, tamburo militare, tamburo basco, piatti, triangolo, frusta, gong, blocco cinese, macchina del vento, carta vetrata, archi
Composizione: 27 ottobre 1957 - marzo 1958
Prima rappresentazione: Aldeburgh, Orford Parish Church, 18 giugno 1958
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra, 1959
Dedica: ai miei nipoti Sebastian, Sally e Roguey Welford, e al mio giovane amico Roger Duncan
Guida all'ascolto (nota 1)

«Le tigri della collera sono più sagge dei cavalli dell'istruzione. Se il matto persistesse nella follia, diventerebbe saggio».

William Blake

Innocenza, esperienza, follia, diversità. In trent'anni, fra il 1941 e il 1973, Benjamin Britten scrisse sedici opere: Paul Bunyan (1941), Peter Grimes (1945), The Rape of Lucretia (1946), Albert Herring (1947), The Little Sweep (1949), Billy Budd (1951), Gloriana (1953), The Turn of the Screw (1955), Noye's Fludde (1958), A Midsummer Night's Dream (1960), Curlew River (1964), The Burning Fiery Furnace ( 1966), The Golden Vanity (1967), The Prodigal Son (1968), Owen Wingrave (1971), Death in Venice (1973).

Tutte, senza eccezioni, insistono sugli stessi temi: innocenza, esperienza, follia, diversità. Volendo aristotelicamente risalire a un motore immobile, lo si troverebbe in William Blake e nel suo visionario ciclo multimediale - versi, parole, concetti, immagini, figurazioni sonore - intitolato Songs of Innocece e and of Experience (1794). Perché dal tema della perdita dell'innocenza attraverso la maturità e il sapere, dunque nel confronto anche violento e traumatico col mondo degli adulti e le leggi della società, nasce il seme della diversità, del rifiuto, della follia, quest'ultima spesso invenzione di una collettività che, per sua natura, ha sempre avuto bisogno di scaricare le proprie colpe, le proprie volgarità e mediocrità su alcune vittime sacrificali con nome e cognome.

Britten, omosessuale sensibile e timido, democratico di idee socialiste, religioso e intimamente freudiano, fu sempre ossessionato dalla sindrome della diversità, cui diede sedici forme e trattazioni diverse, dal vaudeville alla grande opera, dal masque alla parabola da chiesa, mai fermandosi alla superficie del disagio, ma proiettandone ogni luce e ogni ombra sullo schermo della poesia e celebrandolo nel cerchio magico di un palcoscenico fortemente ritualizzato.

Questa propensione al rito è particolarmente evidente nei lavori composti per la rappresentazione in luoghi sacri, come Noye's Fludde e le successive Parabole da chiesa - Curlew River, The Burning Fiery Furnace, The Prodigal Son -, che del Fludde sono in qualche modo emanazione e rifinitura. Ma il bisogno di ritualizzare l'opera in vista di certe sue profonde mutazioni genetiche ben visibili all'orizzonte, è qualcosa che Britten raccoglie nell'aria inquieta già del primo Novecento, e che Wilfrid Mellers coglie con un parallelo: «Oedipus Rex di Stravinskij tramuta l'umanesimo, attraverso una orientale abnegazione, in una cristianità rigenerata: le opere da chiesa di Britten, Noye 's Fludde e Curlew River, hanno origine da basi cristiane, ma usano le tecniche medievali e orientali per purgare dalla colpa l'eredità cristiana. Entrambi i lavori di Stravinskij e di Britten rappresentano una fusione di Est e Ovest, in entrambi i casi la fusione è ricreativa, non evasiva».

Del resto, scrive ancora Mellers, «è la stessa carriera di Britten che comincia con una rigenerazione: un'opera dal titolo A Boy was Born, un bimbo è nato, scritta quando egli stesso era un ragazzo [...]. I songs di Thomas Hardy (Winter Words) portano direttamente alla nascita della coscienza, che coincide con la morte dell'innocenza». Nascita e Infanzia, Innocenza e Persecuzione. Sempre variazioni del medesimo tema; facce dello stesso prisma teatrale.

Dopo l'introduzione orchestrale, Noye's Fludde si apre sull'inno «Ascoltami Signor!»: «Ascoltami Signor! Abbi pietà di me [...] purifica il mio cuor! Da ogni colpa lavami! [...] Il male finirà, allora o mio Signor, benigno accoglimi da Te». «È la preghiera a guardare i propri mutamenti interiori - suggerisce ancora Mellers - : se sei adulto, hai perso l'innocenza, se sei un ragazzo, stai per perderla. Il Flood è forse una forza distruttiva, dunque anche rigenerante e rigeneratrice. Ma è anche il ritorno alle placide acque del ventre materno, alla protezione che non c'è più».

Nel primo inno sono già esposti il tema e il significato profondo di Noye's Fludde (letteralmente Il Diluvio di Noè, non L'arca di Noè), la ragione stessa di quest'opera scritta per bambini, eseguita da bambini e dedicata, come molte altre di Britten, a chi non ha del tutto perduto la freschezza dell'infanzia.

Noye's Fludde è tratta dai Miracle Plays di Chester, la città inglese che alla rappresentazione sacra aveva dato un gran numero di esempi-paradigma e che aveva, come dire, sistematizzato il genere nella storia e per gli anni a venire. Nel medioevo, per la festa del Corpus Domini, Chester diveniva un grande palcoscenico formicolante di compagnie improvvisate dalla gente del posto, ognuna delle quali, nei luoghi sacri ma anche per le strade, trattava una pagina della Bibbia. Nella loro sintesi di spettacolo didattico, i Miracle Plays erano la pietra-base della comunicazione, della diffusione, della educazione religiosa del popolo, cui l'analfabetismo chiudeva i libri. La dottrina religiosa arrivava alla gente dalle prediche in pulpito e dalle rappresentazioni sceniche, e non avevano dubbi nemmeno i vertici della Chiesa su quale fosse la via più efficace. Una copia dei Miracle Plays di Chester arrivò nelle mani di Benjamin Britten nel 1957 attraverso quelle di Eric Crozier, che gli aveva fornito nel 1947 la riduzione librettistica della novella di Maupassant per Albert Herring, anche questa una piccola storia di innocenza incompresa e derisa (da uno sciocco mondo di donne), nel '49 il libretto di un'altra opera per bambini (The Little Sweep), e nel '51 la riduzione da Melville di Billy Budd.

Noye's Fludde era stata concepita principalmente per intrattenere e far sbocciare i talenti delle varie comunità di giovani musicisti dell'East Anglia. Per Britten era naturale impegnarsi a creare qualcosa per favorire la crescita musicale della parte d'Inghilterra in cui egli aveva radici che non avrebbe mai più sradicato nel corso della sua vita, ma rafforzato fondando ad Aldeburgh un festival assolutamente typical English: riunione periodica di musicisti amici - da Peter Pears a Mstislav Rostropovic, da Svjatoslav Richter a Dietrich Fischer-Dieskau - dove si allestiva un'opera nuova e si faceva musica da camera, spesso improvvisando.

Le forze che parteciparono alla prima esecuzione di Noye's Fludde, l'8 giugno 1958, alla Oxford Church, erano tutte prese dal circondario dell'adorato Suffolk: la Royal Hospital School, la Leiston Modern School, la Woolverstone Hall, il Framlingharn College. Tutte scuole la cui rinomanza crebbe nel tempo grazie anche al lavoro di Britten. Alle audizioni per le parti degli animali, casualmente partecipò anche Aaron Copland.

Anche questo aspetto di Noye's Fludde, l'humus in cui è germogliata, serve a capire a quale cultura appartenga quest'opera, e non solo questa, di Britten. Per noi, musica e teatro musicale sono sempre stati riti alti, per lo più passivi; per gli anglosassoni, la musica e il teatro sono i molti angoli riservati al sogno nella vita di tutti i giorni.

Del resto i Miracle Plays erano scritti per essere rappresentati da gente comune, da artigiani e commercianti della città e dalle loro famiglie, con coristi presi dalle chiese locali per le parti di bambini. Ogni piccola compagnia si muoveva su carri da un posto all'altro, e su quelli ogni rappresentazione doveva esaurirsi. Le parti sceniche, sebbene elaborate con una certa cura, dovevano essere semplici. Noye's Fludde nacque cercando di seguire, anche nella scrittura musicale, questo stile di rappresentazione.

Il testo usato risale alla fine del sedicesimo secolo, e l'antica scrittura è stata conservata, con le sue «e» finali (worlde, wroughte, thoughte, longe), con le sue diverse varianti interne alla parola (eairth, rightious, maister, weither). Ma la pronuncia consigliata è quella moderna - Noye, ad esempio, sarà Noah - fatta eccezione per gli allungamenti prescritti della poi soppressa dieresi, come in shippë, che suonerà in effetti come shipper.

L'orchestra suona una breve introduzione a strappi, sottolineata da tastiere e percussioni, in cui Noè lentamente dovrebbe attraversare la chiesa fino a inginocchiarsi sull'ultimo gradino prima del palcoscenico. Questa introduzione secca e ben staccata annuncia il trattamento che Britten riserva all'inno «Ascoltami Signor!»: porta d'ingresso alla sacra o semisacra rappresentazione. L'inno che la piccola Congregazione intona con voci bianche ha l'incedere di una marcia: è l'inizio di un pellegrinaggio che porterà i bambini - veri protagonisti di Noye's Fludde in quanto pellegrini all'inizio del loro viaggio nel mondo - alla prova simbolica dell'acqua, attraverso il lavacro del Diluvio. Il tutto, ovviamente, sdrammatizzando, perché la marcia prenderà anche un passo giocoso da «Nous marchons la tète haute».

Britten, uomo di teatro per istinto naturale, teme la staticità; e organizza anche Noye's Fludde in stazioni, fra le quali muovono i cantanti-attori: Noè (basso-baritono), la signora Noè (contralto), Sem, Cam, Jafet (voci bianche), le signore Sem, Cam e Jafet (ragazze soprano), le comari della signora Noè (ragazze soprano), il coro degli animali (bambini) e della Congregazione. Al di fuori del canto, motore immobile, sta la Voce di Dio, recitante, che dichiara la sua collera verso gli uomini e ordina la costruzione dell'arca («Io, Dio, che ho fatto tutto questo mondo»), annuncia quaranta giorni e quaranta notti di pioggia, impone a Noè di salvare la moglie, i figli, gli animali («Noè, prendi con te tua moglie»): apre, muove e infine chiude l'opera lodando il fedele servitore.

Divise per età sono anche le forze strumentali: ai giovanissimi è affidata un'orchestra composta da archi, flauti dolci, trombette, percussioni e campane; a professionisti l'ensemble-guida: quintetto d'archi, flauto dolce, duo pianistico, organo e percussioni.

In pochi, teatralissimi tocchi Britten descrive la prontezza dei figli di Noè nel rispondere alla chiamata di Dio e del padre, e l'opposta ignavia della moglie. Su un sincopato pentatonico nasce una canzone di lavoro a tre, con diverse tinte e tonalità, che, saldandosi al gesto degli attori, innalza il clima di eccitazione fino ad arenarlo sull'elemento di contrasto: la signora Noè che si oppone con languide e stanche seste maggiori («E noi legname porterem») al suo coinvolgimento nella costruzione dell'arca.

Inizia il vero work-song, il canto della costruzione («Nel nome di Dio comincerò a costruire»), dove anche i ragazzi strumentisti vengono coinvolti con melismi ai flauti sui rintocchi di pianoforte e percussioni, fino al nuovo elemento di contrasto: il litigio di Noè e signora, troncato dalla voce di Dio («Noè, Noè, prendi con te tua moglie»).

La carovana si rimette in movimento con squilli di tromba e la deliziosa marcia degli animali guidata da Sem («Signor! Ecco! Qui son leoni, tigri e capre»), Cam («Cammelli, asini, vedi qui daini») e Jafet («Son furetti, cani, lontre, castori»), dove si canta un «Kyrie eleison» che mai altrove è risuonato con più leggerezza e senso del gioco. Vera musica per bambini scritta con adulta innocenza.

Un tocco di biblica e britteniana misoginia si delinea nell'episodio in cui la signora Noè ancora si rifiuta di salire sull'arca («Io non voglio entrare là») e le sue comari ubriache le fanno ridicolmente coro («Beviamo insieme»): lei sola verrà issata a forza sull'arca al montare della tempesta che, in forma di passacaglia e su ampi cromatismi, andrà a spegnersi sugli archi bassi e un gocciolare di metallofoni al «Quaranta giorni or sono compiuti» di Noè; preludio a un solo accompagnato dal violoncello che disegna uno di quegli episodi naturalistico-simbolici cari a Britten come a Messiaen: il volo del corvo alla ricerca della terra ferma e il ritorno della colomba bianca col ramo d'olivo nel becco.

Voce di Dio, squillo di trombe e Noye's Fludde si rimette in falso movimento: uomini e animali escono a due a due dall'arca, ma cantando un «Alleluia» che è un crescendo statico e verticale su tema richiamato dal primo work-song. L'ultimo episodio corale è un'alba della natura, il saluto al sole, alla luna e alle stelle che riappaiono assieme nel cielo rasserenato da un sol maggiore («L'immenso firmamento con l'ampio cielo azzurro»).

In coda alla Voce di Dio è l'ultima sorpresa: al rintocco di percussioni che muoiono su un accordo tenuto di sol maggiore, ci porta un breve passo di archi, flauti, campane e metallofoni che viene da un'altra cultura. Fra il 1955 e il 1956, Britten aveva compiuto un viaggio in Estremo Oriente (Giava, Bali, Giappone, Macao, Hong Kong, Tailandia, India, Sri Lanka), da cui tornò con due folgorazioni: il teatro No giapponese e il gamelan di Bali. Appunti ed esperienze finirono prima nella musica per il balletto di John Cranko, The Prince of the Pagodas (1956), poi nella scarna ritualità delle tre Parabole da chiesa, soprattutto la prima: Curlew River (1964). Il fugace passo di Noye's Fludde viene da Oriente e soprattutto apre a Oriente.

Anche le tre Parabole da chiesa, da parte loro, si conformano al modello dei Miracle Plays, e in maniera più solenne e rituale: incorniciando la sacra rappresentazione fra canti gregoriani che l'aprono e la chiudono in processione. La storia della musica ci ha abituato - negli oratori di Händel, nelle messe di Haydn e Mozart - a vedere per lo più travasata la tradizione secolare in quella sacra. Con opere come Noye's Fludde e le stilisticamente vicine Parabole, Britten ha compiuto il gesto opposto: ha travasato la musica sacra nel teatro e nelle forme tradizionalmente laiche. È un gesto che la musica colta di fine secolo sta ripetendo.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 dicembre 1994

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Ultimo aggiornamento 28 settembre 2014