Nei paesi tedeschi il compositore austriaco Anton Bruckner è il quarto grande B, dopo Bach, Beethoven, Brahms. Da noi, e nei paesi latini in genere, è invece un compositore che non solo appare di rado nelle sale da concerto, per lo più con la Quarta Sinfonia (la «Romantica») e con il Te Deum o la Messa, ma che non ha trovato nemmeno equilibrata sistemazione nel nostro mondo culturale e critico che lo vede accolto qua con toni celebrativi ed entusiasmi di neofiti, là con molta cautela, da taluni anche con qualche sospetto. Lasciamo arrotondare il proprio giudizio all'ascoltatore, dopo ch'egli ha fatto la conoscenza con questo Quintetto in fa maggiore, scritto da Bruckner nel 1879, quando cioè era terminata da due anni la Quinta e iniziata la Sesta Sinfonia. Piccolo particolare: come la maggior parte delle altre opere bruckneriane, il Quintetto ha la durata insolita di circa tre quarti d'ora; in questo il maestro austriaco somigliava a Schubert (la cui prolissità, però, fu detta «divina»).
Il Moderato, secondo lo stile bruckneriano del primo tempo di sonata, si fonda su tre gruppi tematici, con il terzo tema (in fa diesis maggiore) grazioso e tenero, in netto contrasto con i primi due.
Lo Scherzo (in re minore) si basa sopra un tema melodico esposto dal violino; il trio, in mi bemolle, si svolge sul ritmo di un Ländler.
L'Adagio sviluppa due temi affini con ricchezza polifonica. Colorito il discorso timbrico, anche per gli slittamenti tonali frequenti e ingegnosi.
L'ultimo movimento, Vivace, ha una struttura assai elaborata così riassumibile: si va da una introduzione (sulla dominante della tonalità dell'Adagio), a un primo tema in mi maggiore, a un secondo tema dei bassi a larghi intervalli, germe di un complesso sviluppo; dopo la riesposizione, si ha un ritorno alla introduzione, conclusa con un epilogo di carattere brillante.
Giorgio Graziosi