Sinfonia n. 7 in mi maggiore


Musica: Anton Bruckner (1824 - 1896)
  1. Allegro moderato (mi maggiore)
  2. Adagio. Sehr feierlich und sehr langsam (do diesis minore)
  3. Scherzo. Sehr schnell (la minore)
  4. Finale. Bewegt, doch nicht schnell (mi maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, 4 tube wagneriane, basso tuba, timpani, piatti, triangolo, archi
Composizione: 1881 - 1883
Prima esecuzione: Lipsia, Neues Gewandhaus Großer Saal, 30 dicembre 1884
Edizione: Albert J. Gutmann, Vienna, 1885
Dedica: re Luigi II di Baviera
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Certo non era mai capitato a nessun compositore di esser chiamato alla ribalta quattro o cinque volte dopo ciascun movimento. Bruckner è il nuovo idolo dei wagneriani. [...] Ammetto senza giri di parole di non essere in grado di giudicare con equilibrio questa Sinfonia di Bruckner, tanto mi sembra innaturale, rigonfia, malaticcia e putrescente. Come tutte le composizioni maggiori di Bruckner, anche la Sinfonia in mi maggiore contiene intuizioni geniali, passi interessanti, persino belli - qui sei, là otto battute - tra questi lampi però si spalanca un buio impenetrabile, una noia pesante come piombo e un'eccitazione febbrile».

Questo è un passo della recensione scritta da Eduard Hanslick all'indomani della prima esecuzione viennese della Settima Sinfonia di Bruckner, nel 1886: parole aspre, che cadono in un clima avvelenato, con i filowagneriani che sparano su Brahms e i fìlobrahmsiani che se la prendono con Bruckner, essendo Wagner ormai defunto. Ma se togliamo la carica negativa e pregiudiziale con cui è emesso e ci fermiamo ai fatti, dovremo riconoscere che il giudizio non è sbagliato, ma individua con l'istinto sicuro del conoscitore alcuni elementi concreti della partitura; e aiuta persino a capire la natura di Bruckner meglio di altri commenti lusinghieri, tutto sommato retorici.

Davvero la Settima Sinfonia ha qualcosa di sovreccitato e febbrile, e davvero ha degli aspetti di turgore tanto più evidenti in quanto spesso inattesi. Quando Luchino Visconti la sceglie come indimenticabile colonna sonora del film Senso, coglie proprio questa radice di sensualità sofferente, con quel tremore sottocutaneo che mina le fondamenta dell'edificio dall'apparenza così solidamente monumentale. C'è dentro quel nervosimo estremo pronto a scattare quando meno ce lo aspettiamo, le allegrie esagerate di chi sta per scoppiare in lacrime, le spossatezze che arrivano implacabili dopo gli entusiasmi: non stupisce che anche Wolf amasse Bruckner, lui che era così umorale e ipersensibile, pronto a passare da un estremo all'altro. E per combinazione la Sinfonia porta la dedica a un personaggio che di Wolf condivise il tragico destino di malattia e poi di follia: Ludwig II di Baviera, con le sue esaltazioni e le sue patologiche fragilità. E proprio come avvertiva acutamente Hanslick, nella Settima si avverte in modo lancinante e quasi spasmodico la sproporzione fra momenti di tenerezza cameristica e squarci di una grandiosità che pare tumefatta, fra momenti di luce quasi religiosa e macerazioni febbrili.

Che tutto ciò, poi, fosse radicalmente lontano tanto da Wagner quanto da Brahms oggi sembra ovvio; Bruckner è alieno sia dalla tecnica brahmsiana della "variazione sviluppante" - che trasforma incessantemente i temi ed elabora insospettate parentele interne - quanto dall'"arte della transizione" di marca wagneriana: non perché i suoi temi non siano oggetto di sviluppo, ma perché non è questo sviluppo a costituire la nervatura portante dei suoi lavori, ben più fondati invece sulla contrapposizione di blocchi autonomi e sulla conquista di un'architettura monumentale ed eroica. Per arrivare a questi risultati Bruckner non si basa tanto sull'originalità della strumentazione o sulla sperimentazione di timbri nuovi, quanto su un diverso sfruttamento di quelli già noti: in particolare, sull'emancipazione degli ottoni dalla funzione svolta finora, che era spesso complementare ad altri strumenti, o circoscritta a singoli passi, mentre sarebbe impensabile concepire i lavori di Bruckner senza le dorature degli ottoni, senza i giganteschi rallentamenti del discorso, senza quei crescendo per i quali indubbiamente è difficile non pensare a uri organo che dispieghi via via tutta la potenza dei suoi registri.

Genesi

Cominciata (secondo le date che Bruckner annotò sull'autografo) il 23 settembre 1881, conclusa il 5 settembre 1883, la Settima Sinfonia nasce sotto il segno di Wagner e della sua fine imminente, di cui Bruckner aveva avuto un istintivo presentimento al principio del 1883, tanto da scrivere all'amico Felix Motti, direttore d'orchestra legatissimo a Wagner: «II Maestro non ha più molto da vivere»; e proprio mentre era al lavoro sull'Adagio centrale ecco arrivare la notizia della morte di Wagner.

Fu allora che Bruckner decise di inserire nell'organico le cosiddette tube wagneriane, invenzione dell'inesauribile Adolf Sax, ma cosi caratteristiche dell'orchestra di Wagner da venir poi identificate col suo nome, anziché con quello del costruttore. Certo, usare le tube wagneriane, che erano strumenti rari, significava complicare ancor più la vita a una partitura che andava incontro già in partenza a grandi difficoltà; ma Bruckner insistette sempre per evitare che venissero sostituite con altri strumenti, il che avrebbe sciupato l'effetto timbrico che si prefiggeva di ottenere.

Le speranze di esecuzione sembravano così scarse ohe Bruckner non si era nemmeno preoccupato di trovare un editore, dopo le delusioni patite in passato: nondimeno era pur necessario far ascoltare il lavoro almeno agli amici, quindi ne venne prontamente ricavata la riduzione per pianoforte a quattro mani. Bruckner da parte sua aveva suonato la composizione all'amico Hans Richter, che ne fu così entusiasta da esclamare (altri attribuiscono però la stessa frase ad Arthur Nikisch): «Dopo Beethoven non era più stato scritto niente del genere!».

Il Finale tuttavia gli parve meno riuscito, un'opinione condivisa anche da un altro grande direttore, Hermann Levi, che infatti pregò Bruckner di permettergli di procedere per gradi e presentare al pubblico della sua città, Monaco di Baviera, per prima cosa lo stupendo Adagio e solo in un secondo momento tutta la Sinfonia, per non rischiare di comprometterne l'esito: un gesto di prudenza che fu premiato da un successo di rilievo internazionale, e seguito immediatamente dall'edizione a stampa della partitura e delle riduzioni per quattro mani e per due pianoforti.

Verso la "prima"

L'onore della prima esecuzione assoluta spettò comunque alla città di Lipsia e al giovane Arthur Nikisch, che dal 1879 ne dirigeva il Teatro Civico (Stadttheater). Vienna era notoriamente ostile alle novità, quindi era più prudente aspettare ancora un po'; a dire il vero anche Lipsia, che pure a suo tempo era stata una città vivace e progressista, ora si stava chiudendo, soprattutto perché la conduzione dell'orchestra del Gewandhaus era affidata da parecchi anni a Carl Reinecke, ottimo direttore, ma musicista dai gusti a dir poco conservatori. Per una Sinfonia sarebbe stato logico venire inserita nel programma del Gewandhaus, non nel cartellone del teatro; Reinecke però non avrebbe mai accettato di dirigere una partitura bruckneriana, inutile tentare. Fu così che Josef Schalk partì con la riduzione a quattro mani nella valigia e andò dritto dal giovane e promettente Nikisch, lo mise al pianoforte e insieme suonarono tutta la Sinfonia. Al termine della fatica, Nikisch era pienamente conquistato; il mondo musicale di Bruckner gli era già familiare, perché negli anni in cui studiava a Vienna aveva partecipato all'esecuzione della sua Seconda Sinfonia; raccomandò di non sciupare un simile capolavoro facendolo circolare in riduzione cameristica e promise di fare tutto il possibile per eseguire la Settima con l'orchestra del "suo" Stadttheater.

L'idea era di fare presto e bene: come scrisse immediatamente a Bruckner (29 marzo 1884), «sono assolutamente entusiasmato e affascinato da questi capolavori e da questo momento ritengo che per me la diffusione delle sue opere sia una questione d'onore. Entro due mesi daremo qui a teatro un grande concerto i cui proventi andranno nel monumento a Wagner; in quest'occasione farò eseguire la Sinfonia in mi maggiore, se Lei è d'accordo».

Nell'entusiasmo, però, Nikisch sottovalutò le difficoltà, e quando se ne rese conto fu costretto a rimandare l'esecuzione a settembre; per il teatro, infatti, l'inserimento di concerti sinfonici era un fatto straordinario, che andava predisposto con cura, non certo imposto. A questo punto si mise in mezzo Bruckner stesso, che preferì aspettare addirittura fino alla ripresa del semestre universitario, e quindi a ottobre, quando Lipsia si ripopolava di gioventù.

Ma quell'anno a ottobre il teatro aveva già in cartellone il Tristano: Nikisch non se la sentì di affiancare due prime così delicate e impegnative, col rischio di comprometterle entrambe, e alla fine preferì optare per una nuova dilazione della Settima. Non aveva torto: persino Bruckner, che volle assolutamente, e giustamente, essere presente alle due prove finali, continuava ad avanzare dubbi sull'eseguibilità della sua creatura, soprattutto in considerazione dei frequenti cambi di tempo. Alla fine comunque si arrivò, estenuati, al 30 dicembre 1884, quando la Settima approdò finalmente all'esecuzione; Nikisch non fu solo determinante al buon esito dell'operazione per i suoi meriti di direttore, ma anche per l'impegno profuso nel coinvolgere la stampa locale e nel preparare il pubblico a capire la partitura, tenendo personalmente una conferenza introduttiva al pianoforte.

Nelle pieghe della partitura

Bruckner lavora solitamente per macrostrutture di grande evidenza: blocchi tematici imponenti, oppure motivi più brevi, ma iterati lungamente con la complicità di accorte transizioni armoniche che diventano le vere protagoniste, mentre il decorso melodico resta solo un'intelaiatura d'appoggio. Si dice solitamente, e anche con buone ragioni, che il lavorìo sui temi sia ridotto, e che scarseggi l'elemento forse più caratteristico del sonatismo, specie di quello sinfonico, vale a dire lo sviluppo interno delle idee, che si intrecciano, si arricchiscono o si contrastano fino a trasformarsi a vicenda, come personaggi di un dramma.

Senz'altro nell'architettura d'insieme questo procedimento è evidente: e non solo nel tematismo, spesso ridotto a cellule elementari (pensiamo agli attacchi della Terza o della Quarta Sinfonia); ma anche nell'impiego dei timbri, che passano dalla gracilità al turgore, da un camerismo filiforme a ripieni orchestrali protratti e vigorosi. Ma nella Settima Sinfonia la natura dei temi è diversa dal solito: primo e secondo movimento si aprono su idee di grande respiro così lunghe, anzi, da renderne imbarazzante la ripresa, che infatti avviene in modo mascherato e anomalo.

La Settima porta nel cuore il nome di Wagner: non solo perché Wagner morì durante la sua stesura ma perché, in senso molto più profondo, già l'apertura dell'Allegro moderato ha l'impronta di una "melodia infinita" che ogni volta sembra in procinto di chiudere e poi invece scantona, si sottrae alla cadenza prevedibile, prolunga la sua vita restando attaccata a una nota, a un timbro, a un improvviso estro di divagazione armonica. Ora, questo tema, così diverso dai più abituali "motivi" o addirittura "motti" brevi di Bruckner, si presta a suddividersi in frammenti, da cui via via nascono creature musicali nuove che prendono provvisoriamente il sopravvento. Il lungo canto iniziale, tutto immerso nell'alone sonoro del tremolo degli archi, si torce e freme come una creatura in pena, interrompendosi di continuo per riprendere con accresciuto fervore, ma ogni volta scivola più in basso, e la sua fine ci coglie impreparati.

Ma basta capovolgere quelle scale discendenti, ed ecco il secondo tema con un grazioso piccolo ghirigoro a ingentilire il clima; sono oboi e clarinetti a prendere la parola, adesso, dopo gli appelli viscerali degli ottoni; e poi, di nuovo, Bruckner capovolge quest'idea così fresca e comincia a corroderla fino a smontarla del tutto; ecco allora tutta l'orchestra bloccarsi su un frammento ripetuto, come già avveniva in un passo della Sinfonia "Pastorale" di Beethoven.

In tutto questo procedimento le idee principali, quelle che attraggono per intero la nostra attenzione, sono in realtà immerse in un formicolio di piccole imitazioni, rovesciamenti, inversioni e metamorfosi delle loro stesse membra: questo formicolio non intacca l'impressione che abbiamo, molto netta, delle varie sezioni in cui il movimento è suddiviso, ma senz'altro mette in discussione il rimprovero tante volte mosso a Bruckner, di non saper elaborare. Soltanto che nelle forme monumentali del sinfonismo bruckneriano queste finezze di frammenti auscultati, sezionati, capovolti finiscono per smarrirsi e non affiorare all'ascolto, sperse nella massa sonora che le inghiotte. Splendida elaborazione è, fra le altre, il passaggio "bucolico" che chiude la prima parte dell'Allegro moderato, con il violino e poi il flauto che si arrampicano verso l'acuto: in questo caso si tratta di un'elaborazione più timbrica, alla Berlioz, che strettamente melodica; e improvvisamente, quando si inserisce la vibrazione trepida e malaticcia dei violini, pare addirittura di ascoltare il Preludio della Traviata.

Anche la sezione centrale è tutto un raffinato gioco di imitazioni, giochi a specchio, aumentazioni (idee ripetute con valori allargati) e così via; ma soprattutto colpisce il fatto che quando penseremmo di entrare nella ripresa, ecco che anche questa a suo modo sviluppa, ormai fuori tempo massimo: l'arpeggio ascendente che aveva aperto la Sinfonia torna infatti, ma capovolto, all'ingiù; e mentre prima era stato complementare al tema, adesso prorompe all'unisono in tutta l'orchestra, fortissimo, tanto da far passare in secondo piano il tema vero e proprio, che risuona come in lontananza. È un accorgimento strategico, naturalmente, perché in questo modo Bruckner potrà usare ancora il bellissimo tema d'apertura per concludere il movimento: «serpente che si morde la coda», disapprovò Hanslick; e infatti il procedimento è anomalo, ma nel modo con cui è realizzato contribuisce in modo efficace ad acuire il carattere di tensione irrisolta, di aspirazione delusa che percorre tutto il brano.

Non potrebbe esserci epilogo più coerente di quest'ultima ripresa, sfuocata e cinerea, inchiodata a un interminabile mi che risuona, quasi sotterraneo, ai contrabbassi e al timpano: è la tonica, di già, la nota finale ormai riconquistata; il brano potrebbe chiudersi, ma nella mente resta ancora, incancellabile, l'idea di partenza, come succede a quei personaggi romantici malati di tedio, che non sanno liberarsi dai loro fantasmi e si arrovellano sempre sulle stesse idee: per questo continua a risuonare come un interrogativo insoluto l'idea da cui eravamo partiti, ancora lì, intatta, come un enigma.

Tombeau per Wagner

Ed eccoci a quell'Adagio che fu per Bruckner un lungo addio rivolto a Wagner: Molto solenne e molto lento, dice l'intestazione del movimento, che si apre con un tema che sprofonda, si rialza, si spezza, appoggiandosi sopra gli accordi severi delle tube wagneriane, con una strumentazione tipicamente wagneriana; Bruckner scrive un vero e proprio corale a quattro parti (tre tube più il basso tuba), e sopra vi fa galleggiare la linea propriamente tematica, enunciata all'unisono fra le viole e la quarta tuba.

Così sacro e profano si intrecciano: sacro e composto, pur nella sua infinita malinconia, è il corale; ma sarebbe difficile immaginare qualcosa di più tormentato, instabile e creaturale della melodia portante. Tutto ciò dura appena quattro battute: ed ecco "molto marcata" un'idea che prosegue con tono più risoluto, citando alla lettera un passo del coevo Te Deum, alle parole «non confundar in aeternum» e confermando la perfetta fusione di stile sacro e stile profano: quasi che questa Sinfonia fosse, almeno nei suoi primi due movimenti, una sorta di rito per la sala da concerto. Dopo quest'ampia sezione, il clima si rischiara, dalla simmetria processionale del "quattro quarti" passa al ritmo danzante di "tre quarti": le tube tacciono, sono solo gli archi a farsi sentire; e dopo poco entra un flauto, a intrecciare con loro una serie di giochi d'eco, come se stesse intravedendo i Campi Elisi.

Tutto l'Adagio è imperniato sulla dicotomia fra questi due momenti emotivamente e timbricamente così diversi, che si alternano restando separati come comparti stagni: finché l'idea iniziale riappare, sorretta da arpeggi dei violini che ad alcuni commentatori hanno ricordato il primo atto del Tannhäuser: là però si trattava di un baccanale, qui tutto è al rallentatore, in un potenziamento che esplode su un colpo di piatti e triangolo, per poi svuotarsi e terminare su un pianissimo indicato con tre ppp: quasi che il movimento finisca non per la decisione dell'autore, ma per un'inerzia naturale interna, come un canto funebre cui a un certo punto si dissecchino le lacrime.

Scherzo e Finale

Dopo questi grumi umorali, Bruckner di solito alleggerisce gli ultimi due movimenti; e così succede anche in questo caso, in maniera anzi tanto più esplicita in quanto la carica interiore è stata fino a questo momento di eccezionale intensità.

Lo Scherzo palleggia un frammento ostinato, lo mette in circolo fino ad averne il capogiro; e via via inserisce altri elementi, a strati: un appello ritmato delle trombe, uno Jodel ai violini e ai fiati, poi un elemento ritmico allo stato puro che accresce la tensione interna, infine una serie di tremoli e trilli al timpano, ai violini, lunghe note fisse ai corni. Questo gigantesco crescendo viene ripetuto, come azzerando il percorso e ripartendo da capo; ma la seconda volta il percorso si allunga, soffermandosi per esempio su una miniatura filiforme del flauto, su piccoli echi interni o su particolari prima appena sfiorati: il Trio scorre invece trasparente, cameristico, contemplativo, con frammenti cullanti che vengono ripetuti come in trance; dopo questa parentesi torna a ripetersi, nella sua rozza, quasi fisica elementarità, lo Scherzo da capo.

Il Finale era l'unico punto che non convinse mai Hermann Levi, che pure amava tanto questa partitura e si prodigò per dirigerla, per farla conoscere, per farla stampare. La Sinfonia precipita in effetti verso la conclusione, nel più breve in assoluto dei finali bruckneriani: una stringatezza che d'altra parte dovrebbe evitare la retorica del finale assertivo.

Nella leggerezza rettilinea dell'esordio questo obiettivo sembra raggiunto: dopo la chiusa vulcanica dello Scherzo, pare infatti di essere tornati "in più spirabil aere", col pallore dei violini divisi e la magrezza del tema, tutto a piccole sezioni che corrono rapide, su ritmo aguzzo, rimbalzando dai violini ai violoncelli ai fiati; ma in realtà Bruckner cementa insieme una serie di idee diverse: la seconda ha carattere liturgico, e si adagia su un pizzicato degli archi gravi; poi ecco esplodere un terzo momento, un gigantesco unisono orchestrale con gran concorso di ottoni (corni, trombe, tromboni, tube, basso tuba), quindi si riaffaccia ancora per un attimo quel debole segnale di timpani che aveva introdotto il Trio dello Scherzo. Nell'alternanza di queste idee, troppo estranee fra loro per potersi fondere, sta il carattere di questo Finale, che quando arriva ai punti di non ritorno dà fiato nuovamente alle squille d'apocalisse e immobilizza il discorso in fanfare che contengono qualcosa di disperato e funerario. Ecco perché i momenti che restano più impressi non sono i "pieni", ma i "vuoti", dove di colpo tutto si zittisce ed emerge la voce isolata e smarrita di uno strumento: sbalzi di registro che fanno pensare alla tecnica organistica, certo, ma ancor più alla difficoltà di concludere positivamente le grandi forme sinfoniche negli ultimi anni del XIX secolo: tanto che il linguaggio istintivamente si appiglia alle formule del linguaggio liturgico, in lunghe perorazioni statiche.

Ricezione

Dopo il battesimo di Lipsia, la Settima cominciò il suo viaggio negli altri centri austrotedeschi: a Colonia fu Franz Wüllner a inserirla nel cartellone il 6 gennaio 1886, ma con qualche riserva di gusto che forse ebbe ripercussioni nel successo di misura. Ad Amburgo fu eseguita il 19 febbraio, e se il pubblico restò un po' sconcertato la critica tuttavia mostrò ammirazione: fra l'altro l'anziano maestro di Brahms, Eduard Marxsen, difese la partitura di Bruckner, sdegnato da alcuni fischi che avevano funestato l'Adagio, e giustamente commentò: «Giudicare così è una prova di Ignoranza, si può dire tutt'al più: "non è di mio gusto"».

Il 14 marzo la Settima veniva diretta a Craz dal giovane direttore Karl Muck, che l'aveva curata moltissimo, con quattordici lunghe prove, e fu premiato da un successo finalmente caloroso e incontestato; il che non si potè dire dell'esecuzione a Vienna, che divise gli animi e i recensori (ci fu chi arrivò a dire che Bruckner componeva come un ubriaco), ma che era ormai in qualche modo inevitabile, visto che la Sinfonia stava viaggiando a gonfie vele da Amsterdam a Chicago a Boston.

In Italia la penetrazione bruckneriana fu parecchio lenta e fin troppo guardinga: dopo l'esecuzione pionieristica all'Augusteo di Roma nel 1910, con Michael Balling sul podio, la Settima fece anticamera fino al 1927, quando alla Scala di Milano la diresse quell'Oskar Fried che tre anni prima alla testa dei Berliner Philharmoniker l'aveva persine incisa in disco. Negli anni Trenta ci furono due altre esecuzioni integrali di rilievo, ambedue nella capitale: quella di Otto Klemperer, ancora all'Augusteo, nel 1931; e poi quella di Fernando Previtali alla testa dell'Orchestra Rai nel 1939, ripetuta l'anno seguente. Ma solo dopo la Seconda Guerra Mondiale Bruckner cominciò ad avere libera cittadinanza in tutto il mondo musicale, e la Settima, con la Nona e la Quarta, fece da apripista, in particolare con un'interpretazione strepitosa di Furtwängler al Foro Italico di Roma (1951), che fu trasmessa anche per radio e che spianò la strada ad altre illustri riprese, in un'affermazione critica e pratica finalmente senza ostacoli.

Elisabetta Fava

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La prima esecuzione della Settima Sinfonia in mi maggiore di Bruckner, diretta da Arthur Nikisch al Gewandhaus di Lipsia il 30 dicembre 1884, assunse i caratteri di un evento vero e proprio: ovazioni del pubblico, applausi prolungati, recensioni entusiastiche salutarono il lavoro del compositore austriaco. Un successo ugualmente trionfale accolse, pochi mesi dopo, l'esecuzione di Monaco, dove la Sinfonia fu diretta da Hermann Levi. La Settima contribuì così, più di ogni altro suo lavoro sinfonico, a consolidare la fama di Bruckner, ormai sessantenne, e segnò l'inizio della tardiva celebrità di un musicista che fino ad allora aveva suscitato reazioni nelle quali prevaleva lo sconcerto, se non un'aperta ostilità. Il fatto è che Bruckner, a lungo bersagliato dalla critica viennese (a capo della quale era il temibile Eduard Hanslick), pagava lo scotto - indipendentemente dalla qualità della sua musica - della divisione che a quei tempi caratterizzava la vita musicale della capitale asburgica, dove si fronteggiavano animosamente le due agguerrite fazioni dei wagneriani e dei brahmsiani. Quando Bruckner aveva dedicato a Wagner la sua Terza Sinfonia, in segno di ammirazione, i wagneriani avevano identificato nel musicista austriaco il loro portabandiera, e gli avevano applicato l'etichetta (assai poco fondata) di «sinfonista wagneriano»; era quanto bastava perché Bruckner fosse attaccato, fino a essere messo in ridicolo, dalla fazione avversa, che per molti anni riuscì a ostacolare e persino a impedire l'esecuzione pubblica delle sue opere. Se l'ammirazione di Bruckner per Wagner è cosa indiscussa (ricambiata, tra l'altro, dal compositore tedesco, che rimase vivamente impressionato dalle sinfonie di Bruckner ed espresse, negli ultimi anni di vita, lusinghieri apprezzamenti nei suoi confronti), ciò non basta tuttavia a inquadrare come «wagneriana» la sua musica; allusioni esplicite all'autore del Tristano sono certamente rintracciabili nelle sinfonie bruckneriane (nel caso della Settima l'impiego delle tube, il cromatismo dei temi, i percorsi armonici elaborati), ma resta il fatto che l'atteggiamento e la tecnica compositiva di Bruckner sono in gran parte incompatibili coi modi di un epigono wagneriano.

L'importanza della Settima Sinfonia non risiede solo nel fatto che il lavoro permise finalmente a Bruckner di imporre il suo nome fra quelli dei maggiori compositori dell'epoca, almeno in terra tedesca se non ancora fra i suoi diffidenti concittadini; la grandiosa composizione sinfonica ha anche un ruolo centrale nella produzione artistica bruckneriana: nella Settima, come non mai, giungono a un felice incontro ispirazione e maestria tecnica. Colpiscono, da una parte, l'abbondante effusione melodica, il lirismo pacato che pervadono la Sinfonia immergendola in un'atmosfera di distensione spirituale (lo slancio e la profondità delle melodie, come la propensione all'espansività «ingenua», riflettono caratteri profondi della personalità di Bruckner, che lo apparentano a Schubert e ne rivelano l'appartenenza alla terra austriaca); d'altra parte la coerenza organica, l'equilibrio formale, la perizia nell'elaborazione motivica sono aspetti altrettanto significativi di un lavoro sinfonico che ancor oggi è riconosciuto come una delle creazioni più felici del compositore.

L'impianto formale, nella Settima come in tutte le sinfonie bruckneriane, è mediato - sia nella successione dei movimenti, sia nella loro organizzazione interna - dalla tradizione classico-romantica. Modello del primo e dell'ultimo movimento è la forma sonata, con l'Esposizione che ingloba tre gruppi tematici anziché due (come nella Nona di Schubert), lo Sviluppo, la Ripresa che accoglie al suo interno ulteriori episodi elaborativi (come in Haydn), la Coda conclusiva. Nelle sue sinfonie Bruckner mette in pratica diligentemente lo schema formale che aveva studiato a scuola; ma a ben guardare i princìpi formali della sonata classica sono da lui applicati in modo tutt'altro che ortodosso. Il vero motore del linguaggio sonatistico (e di quello beethoveniano in particolare), infatti, è il principio dialettico dell'opposizione fra aree armoniche e temi contrastanti, opposizione grazie alla quale la musica acquista un senso di direzionalità, diviene cioè un flusso che tende a una meta.

Ma è proprio questo l'elemento decisivo che manca al linguagg sinfonico bruckneriano. La tendenza all'espansione e all'accumulazione, l'accostamento - anziché il confronto dialettico - di episodi contrastanti sono incompatibili con la concezione «drammatica» che presiede al sonatismo classico. Bruckner conduce il discorso con fluidità e pacatezza, trapassando da un tema all'altro senza scosse e servendosi di processi di derivazione contrappuntistica; la sua musica avanza più per l'intrecciarsi continuo di combinazioni tematiche e timbriche, che per contrapposizione brusca di atteggiamenti spirituali o affettivi contrastanti. E quest'assenza dell'elemento drammatico vero e proprio che ha spinto molti a far riferimento, a proposito di Bruckner, alla categoria del misticismo: la sua musica sinfonica è stata a volte paragonata a una cattedrale medioevale, la cui grandezza è al di fuori del tempo, e i cui pregi particolari sfuggono a un'osservazione affrettata. Il medesimo carattere estetico può anche spiegare l'enorme dilatazione delle proporzioni delle sinfonie bruckneriane, anch'essa antitetica rispetto alla concisione richiesta dal principio sonatistico classico. Tipica poi è la costruzione, all'interno di ogni movimento, di un grande crescendo, un grande climax dinamico ed emotivo, strutturato per ondate di suono d'intensità progressiva che portano a grandiose «eruzioni» tematiche.

Altri elementi estranei alla tradizione del sinfonismo classico-romantico, nelle sinfonie di Bruckner, sono l'impiego pervasivo del contrappunto (i temi si ripresentano anche per moto contrario o retrogrado, variamente combinati fra di loro, in stretto), lo stile corale di certi episodi che si inseriscono nel discorso sinfonico, la complessità del piano armonico-tonale, la ricerca di nuove sonorità orchestrali. Bruckner, in altri termini, assume il modello sinfonico tradizionale come punto di partenza, ma lo sviluppa e lo modifica in piena libertà. È questo, senza dubbio, uno dei motivi per i quali all'epoca le sinfonie bruckneriane tardarono a essere comprese, suscitando polemiche e un atteggiamento quasi sempre ostile da parte della critica musicale.

Non meno originale è l'aspetto della strumentazione. Bruckner ricerca sonorità di tipo «organistico», ricerca cioè successioni di impasti timbrici che si avvicendano come i diversi registri di un organo. Ne deriva una struttura «a blocchi» della composizione, dove le censure sono nette e il discorso procede per mutamenti repentini del colore orchestrale: un tratto personale, quanto estraneo anch'esso alla tradizione sinfonica classico-romantica tedesca.

Retaggio dell'età classica sono invece la regolarità fraseologica e la simmetria che governano i lunghi temi bruckneriani. In due idee complementari ed equilibrate, ad esempio, si articola il primo tema dell'Allegro moderato della Settima Sinfonia: d'una luminosità aurorale la prima idea, cui il lento arpeggio ascendente presta un senso di regale solennità, più tesa e ansiosa la seconda. Tutto il tema, nel suo complesso, esprime una profonda tensione emotiva, depurata però da qualsiasi atteggiamento enfatico. La stessa emozione contenuta traspare dal secondo tema, una melodia ascendente e cantabile presentata dai fiati; anch'esso è diviso a metà da una cesura, che separa una prima idea da una seconda, di natura ritmica, sviluppata più tardi da Bruckner in episodi dal carattere più marziale. Una transizione, costituita dal secondo tema enunciato per moto contrario (è questo uno dei mezzi prediletti dal compositore per creare un senso di continuità, per non spezzare il flusso del discorso musicale), conduce al terzo tema, col quale appare per la prima volta un'idea veramente contrastante. Si tratta, più che di un arco melodico vero e proprio, dell'iterazione di una breve formula, che nella sua insistenza dà origine a una trama leggera e vivace; si sviluppa fino ad assumere accenti di gaiezza rustica, e culmina in una fanfara d'ottoni dal sapore vagamente bandistico. Esposti per moto retto o contrario, o modificati nel loro carattere, i temi dell'Esposizione vengono elaborati nello Sviluppo, dove prevalgono i processi contrappuntistici. A partire dal primo episodio, intensamente cromatico e rarefatto, il discorso conosce una progressiva intensificazione: la scrittura contrappuntistica diviene sempre più serrata, gli accenti si fanno drammatici, la dinamica cresce poderosamente e digrada infine, approdando con dolcezza alla Ripresa. Ognuno dei tre temi principali, ora, è ripresentato e al tempo stesso elaborato nuovamente, fino al climax grandioso che segue la ripresa del terzo tema. La grande ondata dinamica e tensiva si calma, per dare inizio alla sezione della Coda conclusiva: su un pedale ininterrotto dei timpani gli archi espongono l'ansiosa seconda parte del primo tema, fino a spegnerla nel pianissimo; parte allora un ultimo crescendo, che enunciando la prima parte del tema principale riporta all'atmosfera luminosa e alla serenità solenne con la quale il movimento si era aperto. La Coda, dunque, ripropone in ordine inverso le due idee costitutive del primo tema, e così facendo chiude a specchio il primo movimento della sinfonia, sottolineando quella concezione simmetrica dal significato simbolico che Bruckner ribadirà, ancor più enfaticamente, nel Finale.

L'altissima concentrazione espressiva, l'intensità estrema dell'Adagio fanno di questa pagina uno dei vertici assoluti dell'arte bruckneriana.

Il movimento è aperto da un tema diviso anch'esso in due parti, che sottolineano aspetti diversi e complementari di uno stesso stato emozionale: il corale cupo e solenne delle tube wagneriane costituisce la prima parte, il canto energico e vibrante degli archi che suonano nel registro centrale la seconda. D'intensità straordinaria è il secondo tema, una lunga melodia struggente, intima e nostalgica, nella quale vibrano accenti d'una luminosità ultraterrena. Nella Ripresa (il movimento è in forma sonata priva di Sviluppo) Bruckner non si limita a riproporre il materiale tematico dell'Esposizione: ne sviluppa le potenzialità più minute e spinge a fondo i processi dell'elaborazione contrappuntistica, rivelandosi degno erede di quella tradizione germanica che aveva avuto il capostipite in Bach.

L'elaborazione culmina in un climax possente e impressionante, la cui atmosfera radiosa contrasta nel modo più vivo con la Coda che lo segue immediatamente. Quest'ultima sezione consiste in un corale delle tube, nel quale risuonano echi della wagneriana marcia funebre per la morte di Sigfrido. La notizia della morte di Wagner era giunta a Vienna nel febbraio del 1883, proprio mentre Bruckner stava ultimando l'Adagio: profondamente impressionato, il compositore volle aggiungere al movimento quella che definì «una marcia funebre in memoria dell'immortale, amatissimo maestro». Dopo il volo metafisico dell'Adagio, lo Scherzo rappresenta la liberazione dell'energia terrena. Il movimento, informato allo spirito del Ländler austriaco, è caratterizzato da uno slancio vigoroso e un po' rude, da una ritmicità ben definita che gli dà un sapore rustico e ne esalta al tempo stesso la pulsazione vitalistica. Su un inquieto ed energico ostinato degli archi, la tromba espone un tema conciso, essenziale fino alla schematicità, completato da un altro breve inciso; sulla variazione timbrica, l'iterazione e l'espansione di queste brevi formule è fondato tutto Scherzo.

Il Trio interrompe questo moto inesorabile con la morbidezza ritmica delle sue inflessioni. Il tema semplice, melodico ed espansivo, l'andamento cullante e disteso instaurano un'atmosfera idilliaca, vivamente contrastante con quella dello Scherzo; vi si coglie l'eco di quella cordialità colloquiale, tipicamente austriaca, che riporta alla mente la musica di Schubert.

Il Finale adotta lo schema della forma sonata e sfrutta il principio della contrapposizione decisa dei due temi principali. Sostenuto da tremoli in pianissimo degli archi, il primo tema costituisce un richiamo assolutamente evidente al tema con cui esordiva il primo movimento; ma il carattere, ora, è diverso: la decisione energica, lo scatto di questo sono lontanissimi dalla solenne pacatezza di quello. Rispetto alla vitalità irruente del primo, il secondo tema del Finale costituisce un'oasi più tranquilla: è un riflessivo corale a quattro voci degli archi, cui l'instabilità armonica dà una tinta di mistero. Nell'Esposizione v'è ancora spazio per un terzo tema, dal carattere eroico, enunciato come una fanfara dall'intera orchestra: ma più che di un tema autonomo si tratta, in realtà, di una semplice variante del tema principale, dalla ritmicità ancor più accentuata. Anche in questo movimento la Ripresa non coincide con la semplice ripresentazione del materiale tematico: ognuno dei temi è accompagnato da ampi episodi d'elaborazione contrappuntistica. Il fatto che i tre temi dell'Esposizione si ripresentino in ordine inverso è altamente significativo e riflette un intento simbolico.

Il finale, nelle sinfonie bruckneriane, ha il valore di una meta cui tendono i precedenti movimenti; è precisamente questo che spiega la simmetria speculare del movimento conclusivo, oltre che il legame del primo tema col tema principale del primo movimento. In questo modo il Finale approda al suo stesso inizio, che è al tempo medesimo l'inizio della Sinfonia. La compiutezza del percorso, allora, è ulteriormente sottolineata dal grandioso e trionfale ritorno, al culmine del grande crescendo avviato dalla Coda, del tema solenne col quale la Sinfonia si apriva.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

In preda a quella «genuina febbre della Sinfonia» che perfino il suo grande rivale Brahms non esitava a riconoscergli, Anton Bruckner pose mano a quella che sarebbe divenuta la sua Settima sinfonia (in realtà la nona, se si contano le due giovanili rimaste nel cassetto) il 23 settembre 1881, a soli venti giorni di distanza dal completamento della Sesta. La composizione del primo tempo (del cui primo tema, disse, aveva avuto in sogno l'ispirazione, sotto l'aspetto di un assolo di viola) si intersecò con quella di altri lavori di minore importanza; poi Bruckner si interruppe, avviando il 14 luglio 1882 la stesura dello Scherzo, per terminarla il 16 ottobre: durante l'estate, a Bayreuth, aveva assistito alla prima rappresentazione del Parsifal (il cui assunto mistico andò del tutto perduto per il pur piissimo Bruckner, che badò soltanto alla musica). Tornò quindi al primo tempo, che fu pronto il 29 dicembre. Dal 22 gennaio al 21 aprile 1883 lavorò all'Adagio: il 13 febbraio, quando già Bruckner aveva composto 180 delle 219 misure di cui esso consta oggi, moriva a Venezia Richard Wagner; e Bruckner, che più tardi avrebbe dichiarato di aver composto tutto l'Adagio quasi presago della scomparsa del grande musicista da lui venerato, terminò il movimento con una Coda stupenda, la trenodia intonata dalle quattro tube wagneriane. In meno di un mese, dal 10 agosto al 5 settembre 1883, nasceva il Finale. La partitura sarebbe stata pubblicata nell'85, con la dedica al re Luigi II di Baviera.

Si trattava ora di far eseguire la nuova Sinfonia: fu, ancora una volta, un calvario, con tutto che Bruckner, dopo il grande successo riportato nel febbraio '81 dalla Romantica, proprio in quella Vienna che tanto gli era ostile perché dominata dai circoli antiwagneriani raccolti nel nome di Brahms intorno al critico della «Neue freie Presse» Eduard Hanslick, gli avesse aperto le vie della celebrità e almeno di un certo rispetto da parte degli avversari. Prima ancora che Bruckner avesse terminato l'adagio, nel febbraio '83, c'era stata alla Bösendorfer-Saal di Vienna un'esecuzione del primo tempo della riduzione per due pianoforti, a opera del fedele Josef Schalk e di Franz Zottmann. Un anno dopo, il 27 febbraio 1884, Schalk e Ferdinand Löwe eseguivano nella stessa sala tutta la Sinfonia, sempre nella riduzione per due pianoforti; versione nella quale la Settima venne presentata altre volte, sempre destando grandissimo interesse. Finalmente il già celebre Artur Nikisch, che era stato allievo di Bruckner, si disse disposto a dirigerla: dopo molti tentennamenti si fissò la data del 27 giugno 1884, ma continuarono a insorgere difficoltà; solo il 30 dicembre la Sinfonia ebbe la prima esecuzione allo Stadt Theater di Lipsia, con grande successo di pubblico e quasi unanime consenso della critica. La riprese a Monaco Hermann Levi nel marzo dell'85; in maggio Felix Motti ne eseguiva l'Adagio a Karlsruhe alla presenza di Liszt. A Vienna fu possibile darla solo il 21 marzo 1886, con Hans Richter sul podio della Filarmonica: il grande successo (Johann Strauss, il re del Valzer, dichiarò in un telegramma essere stata quella la più grande impressione della sua vita) ripagò Bruckner del furibodo boicottaggio messo in opera da Hanslick; che era giunto a protestare pubblicamente contro l'esecuzione delle Sinfonie di lui ed era riuscito a far sì che il concerto avesse luogo di domenica, a mezzogiorno e mezzo, in modo da scoraggiare l'affluenza del pubblico, e che dopo riempì la sua recensione alla Sinfonia di insulti grossolani. Poi la Settima andò sempre più affermandosi come la più fortunata composizione dì Bruckner, insediandosi nel repertorio dei maggiori direttori di tutto il mondo: da noi fece capolino già il 20 dicembre 1896, quando il ventinovenne Arturo Toscanini ne diresse a Torino l'Adagio; e dovè essere la prima volta che in Italia risuonasse la musica di Bruckner, scomparso da poco più di due mesi.

La Settima è dunque la più nota fra le nove Sinfonie bruckneriane, ed è probabilmente il suo capolavoro in senso assoluto. In essa trovano espressione quanto mai compiuta, equilibrata e alta tutte le istanze, anche contraddittorie, che informano il complesso della sua opera sinfonica: misticismo, sensualità del suono, candore, dottrina, fede e nostalgie; il tutto come in una «estrema, maturata spiritualizzazione dell'esperienza romantica» (Rognoni), assunta nello spirito dell'ascesi, dilatata in trasumananti immagini della fantasia, in strutture compositive beatamente sterminate, quasi sospendendo il tempo nella contemplazione di una composita armonia naturale e universale. Nella Settima tutto ciò si traduce in musica sotto il segno di una fluida e distesa discorsività. Si è parlato a questo proposito, ma a sproposito, di un tentativo di emulare Brahms, con il suo fraseggio parentetico, la sua eloquenza maestosamente effusiva: in realtà la chiarezza spirituale che regola anche i momenti più grandiosamente complessi della Settima, ove non mancano quelle apocalissi sonore che in altre composizioni del nostro possono apparire perfino retoriche o smoderate, è da ricondursi a una interna maturazione del mondo espressivo di Bruckner, riprodotta sul piano esterno da un più sicuro intuito formale; maturazione certamente consumata in un'opera in tante cose disuguale e traballante come la Sesta, come s'è visto nata immediatamente prima. I ripiegamenti interiori e segreti che formano il fascino della Sesta (Sinfonia «intima e teologale, fantastica e solare», come ben la identifica Gianandrea Gavazzeni) sono appunto la fase di preparazione delle solenni e purificate meditazioni della Settima, dove nostalgia e cordoglio convivono con un pacificato vitalismo (quasi un ossimoro: ma del resto tutto Bruckner è fatto di contraddizioni, proprio per quella dimensione ecclesiastica, più che non puramente religiosa, della spiritualità di lui, trascendente e mondana al tempo stesso, non meno sinceramente raccolta che esteriorizzata). Non per caso, Sesta e Settima furono le uniche Sinfonie compiute che Bruckner non tormentasse di rifacimenti e revisioni: l'una, probabilmente, proprio perché «superata» dal capolavoro che la seguì; e questa perché nulla v'era da mutare o migliorare. Un soio problema filologico sussiste, per la Settima, quel colpo di piatti e triangolo che marca il culmine dell'Adagio, al termine del grande crescendo che prelude alla Coda in memoria di Wagner: i due strumenti non figurano in nessun altro luogo della partitura, ed è certo che Bruckner li aggiunse a cose fatte, dietro insistenza di Schalk, che voleva evidentemente sottolineare il carattere dirompente del grandioso cataclisma che corona la monumentale ascesa armonica e dinamica di questa perorazione. Accolto nelle edizioni critiche, questo tocco di strumentazione è però soppresso da molti direttori.

Armoniosamente la Settima fonde in sé i mondi più disparati: dalle torturanti locuzioni armoniche di Wagner alla «divina lunghezza» del sinfonismo di Schubert, costruito sulla cosmica ingenuità delle iterazioni, dalla religiosità domestica di espressioni musicali che sanno di parrocchia di campagna alla grandeur sonora di maestose liturgie controriformistiche e imperiali, dai semplici abbandoni lirici al possente anelito all'infinito; cucendo insieme tutte queste suggestioni in un disegno formale che non è meno solido e logico per esser dilatato fino al limite di guardia, profeticamente. Un passo oltre, e sarebbe stato il principio della fine: i tempi di Bruckner erano già maturi per il caos che solo Mahler avrebbe avuto il coraggio di rappresentare, obbligando la Sinfonia a farsi metafora dell'abisso. Qui, invece, la grande avventura dello spirito si appoggia ancora a incrollabili certezze; donde la solennità che nella Settima sembra avvolgere anche gli slanci più arditi. Solenne è infatti l'avvio del primo movimento, con il primo tema che sale quasi parsifalianamente, contro la fascia luminosa del tremolo che con tipico stilema bruckneriano apre la Sinfonia; completano l'impalcatura tematica del movimento altri due motivi, organistico l'uno, esposto dai fiati, balzante e incisivo l'altro. Il tempo si dipana con distesa continuità, attraverso massicce elaborazioni contrappuntistiche ed elastiche alternanze di tensione e distensione, fino alla luminosa magniloquenza della conclusione. Tutto concentrazione il lungo Adagio, con due soggetti, gonfio di commossa espressività il primo, l'altro tenero e sereno: oscillando fra questi due poli emotivi il brano esplora le zone più riposte della meditazione, toccando l'innocenza più candida come la più profonda riflessività. Poi il lunghissimo e faticoso crescendo, avvolto dalle tormentate spire del contrappunto degli archi, fino all'esplosione, al punto di rottura (che resta tale con o senza la sciabolata dei piatti): una folgorazione che introduce l'epica luttuosa dell'omaggio funebre a Wagner, nei timbri unici di quelle quattro tube che Bruckner mutuò dalle partiture dell'autore della Tetralogia. La semplicità costruttiva dello Scherzo giustifica il rimando a Beethoven che è d'obbligo per questo come per tanti altri Scherzi bruckneriani; e beethoveniano, degno dell'Eroica, è l'afflato epico che ne informa lo scalpitante impulso ritmico, determinando un momento di olimpica positività, attestata sul movimento di poderose masse sonore, e aperta a oasi pastorali nel Trio. Nel Finale l'unità tematica della Sinfonia appare in evidenza, particolarmente nei richiami al primo movimento: secondo la prassi consueta di Bruckner, questo tempo si svolge secondo un ininterrotto crescendo di tensioni, verso un'ultima vigorosa affermazione, privilegiando sempre di più, nell'ampio panorama emotivo, la dimensione eroica, fusa con l'anelito mistico sotto il segno di uno slancio a tratti perfino irruento, che culmina in granitico adensarsi di sonorità.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 maggio 2009
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 71 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentinio,
Firenze, Teatro Comunale, 19 novembre 1980

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 9 novembre 2017