Sinfonia n. 9 in re minore


Musica: Anton Bruckner (1824 - 1896)
  1. Feierlich (Solenne), Misterioso
  2. Scherzo: Bewegt, Lebhaft, Trio, Schnell (Mosso, vivace, Trio, presto)
  3. Adagio, Sehr langsam, feierlich (Molto lento, solenne)
  4. Finale: Bewegt, doch nicth schnell (Mosso, ma non veloce)
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi, 3 clarinetti, 3 fagotti (3 anche controfagotto), 8 corni (5 - 8 anche tuba wagneriana), 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: 1891 - 1896
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 11 febbraio 1903
Edizione: Doblinger, Vienna, 1903
Dedica: «dem lieben Gott»

La sinfonia è rimasta incompiuta, il Finale è stato ricostruito da N. Samale e G. Mazzucca sulla base degli schizzi lasciati da Bruckner
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Nona è l'ultima Sinfonia composta da Anton Bruckner: neppure a lui, che per tutta la vita scrisse quasi soltanto Sinfonie, fu consentito di oltrepassare la soglia fatale del numero nove, la colonna d'Ercole fissata dal titano Beethoven. Essa rimase per di più incompiuta, mancante cioè del quarto movimento, sicché di un vero e proprio torso si tratta: un torso non meno che sublimemente monumentale, ma privo appunto di una conclusione che ne certifichi la compiutezza. La questione è stata ampiamente dibattuta, e lo è tuttora. L'opera non venne portata a termine per una circostanza accidentale, ossia la sopravvenuta morte dell'autore, o rimase incompiuta perché dopo il terzo tempo, sorta di struggente congedo dal mondo, questa Sinfonia non poteva essere compiuta o era addirittura, similmente a un'altra celebre Incompiuta (la Sinfonia in si minore di Franz Schubert), già segretamente compiuta in questa forma? Neppure la cronologia ci aiuta a districare il mistero. Bruckner compose i primi tre tempi della Nona tra il 1891 e il 1894, su abbozzi risalenti al 1887. Abbozzi per il Finale, la cui consistenza è largamente lacunosa se non approssimativa, sono databili dal 1894 al 1896, anno della morte. Teoricamente, anche considerando la lentezza con cui Bruckner componeva, non sarebbe mancato il tempo per dare una conclusione alla Sinfonia, ed è certo che l'autore vi pensasse. Di fatto, non lo fece, o non visse abbastanza a lungo per farlo.

Non è l'unico mistero che aleggia su questa partitura di uno spirito tanto apparentemente limpido quanto non avaro di enigmi. Per esempio la dedica, insieme candida e fervida, che l'accompagna, "Dem lieben Gott", "Al buon Dio", che segue dappresso quella dell'Ottava Sinfonia all'imperatore Francesco Giuseppe, suo ottimo protettore in vita. Forse che Bruckner pensava di consegnare questo frutto maturo della sua arte, soprattutto se sentito come estremo, al protettore celeste, da lui credente venerato, nel segno di una trascendenza ultraterrena? È la tesi sostenuta dal nostro maggiore studioso bruckneriano Sergio Martinotti, il quale, rilevando nell'opera lo statuto di grandezza - un'altezza di pensiero non meno che di tono - afferma che Bruckner "avvertì che la Nona Sinfonia sarebbe stata la sua ultima: perciò, nel segno dei modelli di Beethoven e di Schubert, la volle grande, a coronamento di tutta la sua carriera musicale, ove la lentezza compositiva, accentuata dal declino fisico, e la dedizione esclusiva a questo lavoro, riflettono chiaramente quella volontà determinata": come se il "buon Dio" fosse diventato ora l'unico, vero interlocutore a cui rivolgersi. Nell'altezza di pensiero si riconosce l'orgoglio di un musicista passato attraverso le vicende della vita con innocente ottimismo, quasi indifferente alla storia e al tempo, e con una forte componente di libertà. Su questa scia, ma da una prospettiva più laica, un altro studioso del nostro, Quirino Principe, rileva nell'atemporalità che si manifesta sempre più nella musica bruckneriana il tratto principale e luminoso della Nona Sinfonia: ma forse, egli aggiunge, "il senso di attesa, assolutamente ininterrotto dalla prima all'ultima nota di questo monumento sinfonico, non è soltanto il mondano elemento di una sorta di romanzo o di poema in musica, con i suoi profumi notturni, i suoi slanci quasi erotici ancorché di candidissimo erotismo; è anche l'attesa dell'altrove e quindi (per Bruckner non c'era dubbio) dell'aldilà, sicché l'ascesa della Nona, nei suoi colori e nelle sue linee verticali, verso l'azzurro cupo di un ciclo notturno, è un'ascesa inumidita di rugiada mistico-romantica, molto affine ai distillati di Wackenroder, Tieck e Novalis. [...] Al di sopra di tutto, un senso di calmo e vellutato ordine, di liscia tranquillità che fluisce in grandi superfici cerulee". Anche questa ipotesi, assai affascinante, anela a una certezza, ma non la possiede.

Certo è invece che l'arco sotteso alla Sinfonia è anche concettualmente di massime proporzioni e ambizioni, nonché basato su un materiale tematico omogeneo. Partendo da questo tutto viene dilatato fino all'estenuazione, in una dimensione quasi illimitata, sì da creare un flusso ininterrotto, incalzante e travolgente, attraversato da lampi metafisici nei passaggi di raccordo tra terna e tema. Alcuni stilemi tipici del sinfonismo bruckneriano, nell'armonia, nei rapporti intervallari, nelle figurazioni ritmiche, sono immessi in un contesto come poche altre volte arioso e aerato: accordi in posizione lata, con prevalenza ora di pedali ora di armonie "vuote", intervalli amplissimi a connotare i motivi di testa dei vari temi, costrutti ora plastici ora fluttuanti di moduli binari e ternari alternati con incisi ritmici pregnanti, sfondi di archi in tremolo a suggerire un'ambientazione atmosferica d'attesa, pittorica e chiaroscurale. Proprio nascendo dallo sfondo del misterioso tremolo degli archi, vera cifra d'autore, il primo tema sembra farsi strada e costruirsi pazientemente per progressiva espansione, tra segnali minacciosi ma radiosi (lo squillo dei quattro corni che sale e scende per ampi intervalli), lunghi effetti di pedale armonico, improvvise impennate di dinamica potente, quasi tellurica. Il secondo tema cantabile degli archi si dipana tranquillo e sereno, sale in alto sino a convergere in arabeschi dei legni e del corno, riapparire nel conseguente innervato di sapienza contrappuntistica e di energia strumentale, per poi spegnersi e ritrovare forza nel prosieguo del movimento toccando l'apice nell'epifania dei corali (legni soli, ottoni soli) cui il discorso periodicamente insieme tende e da cui si distacca. Il primo tempo si sviluppa così senza fretta attraverso ardite avventure armoniche, con forti contrasti di atmosfere tonali e colpi di scena, tra ascese e cadute, pause generali, ondate tempestose, parentesi delicate, culmini interrotti e subito riavviati da capo, elaborando il dissimile fino a farlo diventare identità, e perorare nella coda in crescendo un'apoteosi.

Questo primo movimento è in re minore, tonalità non solo della Nona di Beethoven ma anche delle ultime opere di Bach e di Mozart, congiunte in un crisma di sacralità e di eternità: "Solenne", oltre che "Misterioso", sono infatti le indicazioni che l'accompagnano. Il secondo tempo, lo Scherzo vivace, si apre anch'esso con impianto di chiave in re minore, ma si sviluppa in modo sorprendente in fa diesis maggiore (la forma è elementare: Scherzo A-B-A; Trio di segno contrastante, leggero; Scherzo da Capo). Questo scarto tra tonalità - quasi un abisso separa il sarcastico "attacco" di oboi e clarinetti e l'estinguersi sinistro degli accordi ribattuti in ritmo ternario dagli archi - è basato sulle figure saltellanti in pizzicato degli archi e sui ritmi martellanti a piena orchestra del tema dello Scherzo, sorta di tragico Ländler demoniaco. Essi non sono vanificati, ma semplicemente trasfigurati, dal carattere danzante del Trio (in tempo "Schnell", "Presto", più veloce anziché più lento come nella tradizione), che costituisce un ponte di immagini fantasmagoriche sospeso verso il rude, massiccio spessore della figurazione iniziale scandita in crescendo, contornata da fruscianti disegni rotatori dei violini e da cupi squilli di ottoni. In un contesto di musica celestiale, questo secondo movimento rappresenta la descrizione o suggestione o evocazione, al limite del grottesco, dell'elemento infernale, che Bruckner sembra voler affrontare e contrastare nel momento stesso in cui lo rappresenta, come in un macabro esorcismo: il diavolo si manifesta qui come l'altra faccia del "buon Dio".

Del tutto attesa, ma al tempo stesso trascesa, è la struttura del terzo movimento, un solenne Adagio ("Feierlich") in mi maggiore che, per lunghezza e intensità, ha tutti i tratti di un commiato dalla vita in lenta dissolvenza. Esso si apre con un grandioso, marcato gesto affidato ai primi violini dell'orchestra, costruito su un ampio intervallo di nona minore ascendente: Principe vi ravvisa analogie con l'incipit del preludio del Tristano di Wagner e un'anticipazione di quello dell'Adagio finale di un'altra Nona Sinfonia, quella di Gustav Mahler, dove l'intervallo ascendente è però di un'ottava. Al di là di questi riferimenti, ciò che conta è il senso di ascesa - un vero e proprio salto di livello svettante verso l'alto - che questo ampio gesto comunica, introducendo il panorama ascetico e purificato in cui l'intero movimento si snoda. L'elemento paesaggistico, di un paesaggio celeste nel quale le cose terrene scompaiono alla vista, si intreccia con la disposizione d'animo di un monologo interiore, dilatato a dismisura tra insistite progressioni ma disposto concentricamente attorno al pensiero della morte. In questo viaggio solitario alla ricerca di una catarsi si alternano raggi di luce splendente (il tema in la bemolle maggiore che segue alla lentissima introduzione, intonato da primi e secondi violini all'unisono sul controcanto delle viole), momenti di rarefatto silenzio cosmico su radi timbri isolati, grandi sonorità organistiche, scoppi tellurici di visioni apocalittiche rese da armonie fortemente dissonanti e incarnate da gloriose e quasi deliranti fanfare di ottoni: simboli cui i Corali di sole tube conferiscono, con il loro carattere innodico, il significato di un appello inesorabile. Poi tutto si avvia pacatamente e struggentemente alla fine, riecheggiando molteplici memorie tematiche, dal conclusivo disegno dei violini che richiama il tema del Graal parsifaliano ai corni che da ultimo citano il tema iniziale in arpeggio della Settima Sinfonia.

La Nona non si sottrasse al destino di altre Sinfonie di Bruckner. Scomparso l'autore, l'amico Ferdinand Löwe rimaneggiò profondamente e molto arbitrariamente la partitura dei tre tempi e presentò la Nona nella propria versione a Vienna l'11 febbraio 1903. Dovevano passare quasi trent'anni prima che la versione originale della Nona fosse conosciuta al pubblico. Il 2 aprile 1932 Siegmund von Hausegger eseguì a Monaco contemporaneamente le due versioni, quella discutibilissima di Löwe e quella originale di Bruckner, affinchè il pubblico ne rilevasse le differenze e giudicasse. Da quando l'attività della Internationale Bruckner-Gesellschaft costituitasi a Vienna ha fornito la nuova edizione critica degli opera omnia di Bruckner, nessun ostacolo si frappone più alla restituzione, ormai ovviamente consolidata nelle esecuzioni, della lezione originale, approntata per la Nona da Leopold Nowak nel 1951. Resta aperto il problema del Finale, per il quale la tradizione vuole che Anton Bruckner prima di morire raccomandasse che dovesse essere rimpiazzato dall'esecuzione del suo Te Deum in calce ai tre movimenti compiuti. In tempi più recenti musicologi e studiosi hanno provato a venire a capo di questo problema cercando di ricostruire integralmente il Finale sulla base degli schizzi rimasti. Il più accreditato di questi tentativi si deve a due italiani, Nicola Samale e Giuseppe Mazzuca, che nel 1986 presentarono in prima mondiale il loro lavoro, incontrando un certo favore, ma non tale da farlo entrare stabilmente nel repertorio. Si tratta, come si è detto, di una questione irrisolvibile. Ha dunque ragione Nikolaus Harnoncourt quando afferma che ciò che possiamo al massimo ottenere è di far conoscere al pubblico il Finale nella sua reale lacunosità di documento, com'egli stesso ha fatto dirigendo i Wiener Philharmoniker prima in una lezione-concerto a Salisburgo nel 2002 e poi in una recentissima, pregevolissima incisione discografica, senza pretendere di completarlo: ciò che manca non va semplicemente eseguito. È forse questo il destino ultimo di una Sinfonia che reca in sé enigmaticamente il carattere di un sublime torso e di un'opera in sé compiuta: la sua indecifrabilità è segno augusto, eterno della sua forza.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo averne steso le prime bozze nell'estate del 1887, Anton Bruckner diede forma compiuta alla sua Nona Sinfonia solo diversi anni dopo, attraverso una gestazione piuttosto frammentata, spesso interrotta da modifiche e revisioni che egli volle apportate ad alcune sue sinfonie precedenti. Nove anni non furono tuttavia sufficienti a Bruckner per completare il suo testamento sinfonico: le cattive condizioni di salute che precedettero la sua morte (1896) non gli permisero infatti di concludere il quarto movimento su cui stava già lavorando, tanto che Bruckner stesso accettò il suggerimento di utilizzare come finale il Te Deum da lui composto precedentemente. Per la «prima» dovettero tuttavia passare ben sette anni dalla scomparsa dell'autore (Vienna 1903), sotto la direzione di quel Ferdinand Löwe che ne volle anche revisionare in maniera considerevole la partitura. Fu così che dopo quasi trent'anni, nel 1932, quando Sigmund von Hausegger propose il confronto tra la versione di Löwe e la stesura originale, per molti fu quasi una rivelazione: si scoprì il Bruckner autentico, tanto che molti giudizi sull'opera, che due anni dopo venne peraltro ripubblicata nella sua versione integrale, mutarono profondamente.

Anche nella sua incompiutezza, la Nona Sinfonia è comunque emblematica della scrittura orchestrale di Bruckner, il quale, pur appartenendo a un periodo ricchissimo di innovazioni, sembra vivere in una propria dimensione, quasi fuori dal tempo. Nonostante i tributi resi alla grandiosità del sinfonismo beethoveniano e all'influenza dell'armonia cromatica di Wagner, egli sviluppa infatti una propria tecnica compositiva fatta di blocchi giustapposti, di grandi sezioni complesse ma ben delimitate, spesso divise da episodi interlocutori di demarcazione, se non addirittura da brevi momenti di silenzio. Più volte in polemica con Brahms, per il quale la costruzione dei gruppi tematici resta ancora legata all'evoluzione melodico-armonica e allo sviluppo motivico della grande tradizione classica, Bruckner tende spesso a costruire i suoi temi come tessuti, con piccoli disegni più volte ripetuti in lenta metamorfosi, con i quali egli compone delle grandi arcate, spesso tendenti a un punto culminante. Ecco dunque che il crescendo e la reiterazione ostinata divengono gli strumenti principali con cui dare forma plastica alla materia musicale. In questo assemblaggio di parti manca tuttavia la contrapposizione tra diverse aree tonali tipica del sonatismo classico: manca, insomma, una vera e propria drammaticità, una dialettica di tipo teatrale. Non a caso per le opere di Bruckner si è spesso usata la metafora delle cattedrali, non solo in relazione al profondo senso religioso che animava il loro autore, ma anche per analogia tra l'ascolto della sua musica e la contemplazione delle strutture portanti di una grande costruzione architettonica.

Pur essendo profondamente distante dalla concezione classica di sinfonia, Bruckner utilizza ugualmente lo schema di forma-sonata come intelaiatura su cui svolgere il primo movimento, Misterioso. Il primo dei tre ampi gruppi tematici che compongono l'Esposizione si sviluppa in orizzontale, come una lenta e graduale ascesa verso un punto culminante. La sinfonia si apre dunque con un sommesso e vibrante pedale di re, una sorta dì introduzione «misteriosa» che sembra nascere dal nulla, nella quale il materiale tematico è ancora indistinto, solo echi lontani di frammenti melodici che prendono forma quando si giunge sul rotondo disegno cadenzale degli ottoni. Inizia ora la lenta salita dell'orchestra, formata da brevi cellule tematiche che, con ostinate reiterazioni e una serie di crescendo, porta al perentorio fortissimo con cui viene declamata all'unisono la frase conclusiva del primo tema. Un breve frammento di due note, che riecheggia tra i legni sopra un tappeto di archi pizzicati, porta invece a un gruppo tematico più lirico ed espressivo. Ecco dunque il motivo dei violini primi intrecciato a un controcanto dalla trama più fitta dei violini secondi, seguito da un secondo soggetto tematico e da un ritorno variato al tema iniziale. Anche il secondo gruppo tematico giunge a un punto culminante, che non ha la forza drammatica espressa nel fortissimo del primo tema, bensì l'intensità emotiva di un canto commovente e appassionato dei violini, con i violoncelli che fanno da robusta controparte e gli ottoni che danno spazialità al tessuto sonoro. A conclusione del secondo blocco tematico torna il motivo iniziale che si dilata, progredendo verso un forte, per poi dissolvere rapidamente la propria intensità espressiva. Uno statico episodio interlocutorio con echi dei fiati sopra i tremoli degli archi è invece il sottile elemento di raccordo che porta al terzo gruppo tematico, nella tonalità principale, il cui austero motivo principale nasce dall'insistente reiterazione di una singola cellula ritmico-melodica; privo del carattere itinerante, «in divenire», dei due temi precedenti, il terzo tema ha contorni più squadrati in un chiaro schema A B A, nel quale B è una melodia più espressiva e cantabile che ammorbidisce il ruvido carattere del motivo iniziale, prima del suo ritorno nella solenne declamazione conclusiva. L'atmosfera ora si acquieta con echi delicati del secondo motivo.

Termina così l'Esposizione e inizia lo Sviluppo nel quale si susseguono rielaborazioni e riproposizioni trasportate dei vari soggetti dei primi due gruppi tematici. Dopo una rilettura degli episodi iniziali del movimento ecco dunque le rielaborazioni del primo episodio di collegamento e del soggetto principale del secondo tema, alle quali si aggiunge un nuovo motivo. Inaspettatamente Bruckner ripropone la parte conclusiva del primo tema (ultima progressione e successivo fortissimo) nella tonalità originale, innestando così la Ripresa nello Sviluppo senza soluzione di continuità. La perentoria declamazione della frase sul climax del primo tema viene però dilatata, generando da un suo frammento melodico (cellula terzinata) due ulteriori nuovi episodi: una marcia potente e risoluta di tutta l'orchestra e una breve parentesi isolata all'interno del movimento, formata da un cullante e delicato gioco imitativo degli archi basato sulla suddetta cellula terzinata. Si torna così al secondo gruppo tematico che, con alcune varianti, viene trasportato una quarta sopra secondo i canoni tradizionali. Il terzo gruppo tematico, che non era stato utilizzato nello Sviluppo, viene invece rielaborato ora, in sede di Ripresa, fino a quando uno stacco dei corni porta a un breve corale di legni e ottoni e all'ampia sezione conclusiva.

Lo Scherzo, utilizzato come secondo movimento, stempera la densità e l'imponenza dei due movimenti esterni con toni più leggeri e spensierati. Anche in questo caso Bruckner non entra di getto sul tema, ma vi si accosta gradualmente con un delizioso preambolo iniziale; il motivo principale viene così suggerito dai violini pizzicati, che si muovono con circospezione sopra un tappeto armonico di legni e violini secondi, mentre un ostinato crescendo porta al tema dello Scherzo nella sua forma compiuta, ovvero scandito con forza da violini e legni, sopra un martellante accompagnamento degli ottoni. La trama musicale viene improvvisamente alleggerita da una nuova cellula tematica dal fraseggio legato, che contrasta con gli staccati di tutta l'orchestra, mentre un ostinato crescendo culmina su un pesante incedere accordale seguito da una sferzante coda cadenzale. Nella zona centrale dello Scherzo troviamo un piccolo intermezzo, una breve oasi spensierata, nella quale si susseguono un grazioso motivo dei legni e un'ondulata alternanza tra violini e violoncelli. Torna quindi a pulsare il tema iniziale dello Scherzo, con alcune modifiche e l'ampliamento della coda conclusiva. Il primo dei due temi che concorrono a formare il Trio nasce invece da un agile profilo dei violini che, con un tempo sensibilmente più veloce rispetto allo Scherzo, scorre sopra il tambureggiante accompagnamento degli archi. Si arresta quindi la precedente pulsione ritmica e i violini si abbandonano al languido disegno melodico del secondo tema. Dopo una sommessa rievocazione del tema iniziale torna il secondo tema in un registro più grave e pastoso (violini e violoncelli), seguito da un'ulteriore citazione del primo tema che conclude il Trio. La ripresa dello Scherzo da capo completa infine il secondo movimento.

Costruito sull'assemblaggio di una imponente quantità di episodi diversi, il monumentale Adagio conclusivo può essere riassunto in tre grandi complessi tematici (A B C) con l'aggiunta di una sezione conclusiva. Asse portante di tutto il movimento, tanto da essere ripreso più volte, è il primo gruppo tematico, il quale, analogamente alla sezione iniziale del primo tempo, evolve con una lenta genesi della trama musicale che si espande gradualmente fino a un punto culminante. Abbiamo così un lento profilo melodico dei violini sostenuto da una tortuosa successione armonica che si apre a un radioso accordo di re maggiore, mentre su un cupo mormorio dei bassi si innesta un breve cellula tematica degli oboi, da cui si sviluppa il crescendo di tutta l'orchestra verso il fortissimo. Il climax così raggiunto non presenta però un tema, un motivo vero e proprio, ma è pura espansione del suono: abbiamo infatti un unico grande accordo dilatato, seguito da un ulteriore impasto accordale, questa volta in pianissimo, che prolunga per forza d'inerzia la sua ostinata scansione ritmica, anche quando corni e tromboni intonano un mesto corale seguito dalla lenta dissoluzione del tessuto musicale.

La seconda sezione (B) propone un canto melanconico dei violini, intercalato dagli interventi dei fiati, che si abbandona a una sua libera evoluzione con i violini primi intersecati dai disegni dei violini secondi. Il motivo iniziale viene quindi ripreso dai violoncelli, dai violini, e infine dai corni, che lo riportano nella tonalità iniziale sopra i pizzicati degli archi. Un brevissimo spunto del flauto sopra un accordo dei tromboni riconduce alla sezione A, riproposta con rielaborazioni del tema iniziale e nuovi episodi seguiti dal ritorno del grande accordo dilatato. La terza sezione (C) è quella che lascia maggior spazio alla cantabilità, con un tema di pertinenza quasi esclusiva degli archi, generato da un raffinato gioco contrappuntistico tra le due sezioni dei violini. Un breve stacco di oboi e corni e una sferzante cellula melodica dei violini dà quindi vita a un episodio con graduale ma insistente direzione «ascendente» che, dopo un breve collegamento dei fiati, viene controbilanciato da un breve corale degli archi con indirizzo «discendente», mentre un insistente pedale di note ribattute degli oboi conclude la terza parte. Il movimento presenta ora una rielaborazione del secondo tema (sezione B), con il tessuto orchestrale che diviene più denso, mentre emergono i solenni accordi degli ottoni articolati in un lungo e drammatico crescendo. Con una cesura improvvisa Bruckner ripropone il tema degli oboi, che si era ascoltato solo nell'esposizione iniziale della prima sezione (A), anch'esso destinato a dilatarsi in crescendo. L'episodio che completa il movimento viene costruito su un lungo pedale di tonica, il cui carattere estatico viene interrotto momentaneamente da una breve increspatura, prima del lento incedere finale verso la conclusione.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Bruckner iniziò la stesura della sua ultima sinfonia già a partire dal 1887 e vi attese fino alla morte, riuscendo a completare il terzo movimento e a schizzare il quarto. Gli appunti del finale furono poi pubblicati in un grosso volume dall'Orel e indicano l'intenzione di coronare la sinfonia con un grande corale.

Nonostante che sia rimasta «incompiuta», la Sinfonia restituisce puntualmente tutti i caratteri distintivi del singolare stile compositivo bruckneriano, solo che qui essi appaiono come turbati da un senso dialettico portato alle sue estreme conseguenze. La relatività dei temi bruckneriani, cioè quella loro qualità che li rende intrinsecamente duttili e così partecipi di ogni metamorfosi in virtù della propria natura non assoluta ma reversibile, si piega qui ad un tormento che sembra anticipare l'irrequietezza di un secolo che sta per concludersi. In altre parole, la dialettica bruckneriana qui più che altrove, trascende i limiti operativi del tardo Ottocento e si colloca su un piano deciso di apertura. Già nel primo movimento, dove il tema sbuca su un pedale di «tremolo» configurandosi come una lenta meteora che segna il passaggio da uno stato di quiete a uno stato di moto, si colgono tensioni irrisolte. Il discorso musicale oscilla continuamente, trovando rari momenti di appagamento.

Se lo «Scherzo» propone una parentesi, fungendo da raccordo tra i due movimenti estremi, l'atmosfera che lo permea non è più quella distensiva, affidata, come nelle altre sinfonie, ad agresti movenze di «Laendler». Anche qui serpeggia una inquietudine contrappuntata da ritmi monolitici e ossessivi, né il «Trio» sorprendentemente mahleriano, si offre più alla contemplazione rasserenante, a quel giuoco di ombre e luci tipico delle precedenti sinfonie. Il clima è già espressionistico.

L'«Adagio» segna l'«Addio alla vita», una conquista raggiunta solo dopo la frantumazione del materiale tematico. I temi si spezzano in tronconi e vengono proiettati in un limbo confuso; smembrati come sono, non riescono più a ricongiungersi; un accordo dissonante di cinque note diverse sembra cancellare perentoriamente i precedenti tormenti e arrestare il flusso musicale. Ma ecco sbucare sommessamente sbalordite proposte degli strumentini che sembrano mendicare ancora un po' di attenzione al rispettabile pubblico, ma si tratta di un breve discorso. L'«Addio alla vita» (così Bruckner ha scritto di suo pugno in corrispondenza delle battute 219-222), enunciato dai corni in un clima rarefatto ma finalmente rasserenato, richiama remote reminiscenze. Cullato in questa specie di nenia, Bruckner si addormenta nella sua morte. È il tema del «Miserere» della «Messa in re minore», già citato nella «Terza Sinfonia» (Primo movimento, battute 227-230) e ora, per l'ultima volta, nella «Nona»; un «memento mori» che verrà integralmente ricuperato in un'altra grande opera: il «Wozzeck» di Berg. Il musicista che fra tutti gli esponenti della Scuola di Vienna era stato il più attento a Bruckner, lo inserì nella prima scena del terzo atto, come il tema delle sette variazioni (Scena della Bibbia). È interessante notare come questo recupero abbia, in tutte le opere citate, un valore di presagio oltre che di reminiscenza, conscia o inconscia che sia. Per quanto riguarda Bruckner, comunque, si tratta di un doppio presagio: quello della morte sua e quello della morte di tutto un secolo musicale che si dissolve su un rassegnato accordo di «Mi maggiore».

Edward Neill


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 24 gennaio 2004
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 152 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 23 novembre 1974

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 31 ottobre 2019