Prima Sonata in do maggiore per violino e pianoforte op. 29, KV 234


Musica: Ferruccio Busoni (1866 - 1924)
  1. Allegro deciso
  2. Molto sostenuto
  3. Allegro molto e deciso
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1889
Edizione: Rahter, Amburgo, 1891
Dedica: Adolf Brodsky
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Sin dalla più tenera infanzia ho suonato musica di Bach e mi sono esercitato nel contrappunto, tanto è vero che in ognuna delle mie opere giovanili si trova almeno un fugato, che ho sempre considerato l'elemento fondamentale per costruire un buon edificio tecnico». E ancora: «Per rialzare la natura della trascrizione a dignità d'arte nella considerazione del lettore con un colpo decisivo basta fare il nome di Bach. Egli fu uno dei trascrittori più fecondi di lavori suoi e altrui, e precisamente nella sua qualità di organista. Da lui ho appreso a riconoscere la verità che una musica buona, grande, "universale", resta la stessa qualunque sia il mezzo attraverso cui si faccia sentire. Ma anche una seconda verità: che mezzi diversi hanno un linguaggio diverso, e a loro peculiare, col quale comunicano questa musica in una interpretazione sempre nuova». Questi sono due pensieri di Ferruccio Busoni, ricavati dai suoi scritti sulla musica, necessari per capire meglio il pensiero e la filosofia estetica del compositore empolese. Da tali osservazioni, ma se ne potrebbero citare anche altre, si ricava nettamente l'impressione che Bach è stato il musicista al quale Busoni si è sentito maggiormente legato in tutto il periodo della sua intensa attività artistica, così da offrirne eloquente testimonianza non solo nelle numerose e superbe trascrizioni clavicembalistiche e organistiche, ma anche nelle sue musiche originali, specie pianistiche.

È vero che la formazione e l'educazione musicale di Busoni risentirono profondamente anche di Mozart e dei romantici tedeschi, a cominciare da Liszt, ma non si può negare come il rapporto Bach-Busoni vada inteso secondo una vera e propria affinità elettiva per quel senso architettonico del discorso sonoro che era così vivo in tutti e due i musicisti. Non a caso Busoni, nel formulare la sua estetica del cosiddetto "nuovo classicismo" (junge Klassizität), parla dell'opera d'arte creata nello spirito del nostro tempo senza escludere l'esperienza bachiana, perché - egli dice - la fuga di Bach non è superata, né per il suo contenuto interiore né per i suoi caratteri formali. Il che significa che Busoni, pur contribuendo all'affermazione della poetica espressionistica (e il suo saggio su «una nuova estetica della musica» con le osservazioni sui terzi e i sesti di tono ce lo conferma), non ha mai dimenticato l'insegnamento della lezione di Bach, il quale, si sa, volle erigere un monumento alla forma musicale, intesa come equilibrio e simbiosi fra tecnica e intelligenza creatrice.

Un esempio abbastanza indicativo della formazione musicale di Busoni e dell'influenza che su di lui e sulla sua attività di compositore esercitarono per sempre Bach e Mozart si può avvertire nella Prima Sonata per violino e pianoforte op. 29. Essa fu scritta nel 1890 e dedicata ad Adolf Brodsky; nello stesso anno Busoni la presentò al concorso di Mosca dedicato al pianista e compositore Anton Rubinstein e riuscì vincitore. In verità questo brano accoglie in una brillante sintesi i richiami e gli insegnamenti classici ai quali era stato educato il creatore della Turandot sin da ragazzo, soprattutto dalla madre Anna Weiss, intelligente e apprezzata concertista di pianoforte. Non mancano quindi i temi di gusto bachiano e mozartiano, ma nemmeno slanci melodici e cantabili che fanno pensare a Gounod e a Liszt e offrono la possibilità ai due strumenti di intrecciare un dialogo improntato ad uno stile di nobile forza espressiva.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata op. 29 in mi minore venne scritta da Busoni a ventiquattro anni, nel 1890, e dedicata al violinista russo Adolf Brodsky. Opera giovanile, poco conosciuta e anche poco eseguita, merita senz'altro un ascolto attento: al di là del giudizio negativo dello stesso autore, non soddisfatto in toto dalle prime opere del suo catalogo, la pagina, pur senza brillare per originalità, è apprezzabile nella fattura dei temi, nel piglio tardoromantico (leggi brahmsiano) che li anima e nella solida fattura costruttiva. In essa sono inoltre presenti due elementi che troveremo nel Busoni della maturità: la scrittura imitativo-contrappuntistica e la predilezione per il cromatismo melodico.

Il primo movimento si apre con un tema appassionato e quasi eroico, che sorge dai brumosi arpeggi del pianoforte e viene esposto dal violino: note lunghe accentate si alternano a decise terzine di crome discendenti. Una transizione dialogata fra i due strumenti calma il discorso e prepara il secondo tema, sognante e disteso, quasi sinuoso nei cromatismi del violino sorretto dagli immobili accordi del pianoforte. Dopo questa breve oasi lirica, il discorso musicale riparte deciso, riprendendo il piglio eroico dell'inizio; al ritmo di marcia scandito dal pianoforte si unisce presto la ripetizione del secondo tema al violino in un episodio sempre più incalzante e appassionato (di chiara marca brahmsiana) che sfocia nel Vivace in si maggiore, intenso "sfogo" lirico del violino, sostenuto da un vortice ininterrotto di crome del pianoforte, che conclude l'esposizione riprendendo elementi motivici del primo tema. La sezione di sviluppo si apre con l'elaborazione del primo tema, che parte in do maggiore ma modula con grande libertà in un episodio denso di cromatismi; nella seconda parte dello sviluppo emerge invece la scrittura imitativo contrappuntistica così cara a Busoni: sopra delicate quartine di crome del violino si stacca deciso un inizio di fuga al pianoforte, col soggetto tratto dall'incipit del primo tema. La ripresa vede l'alternarsi del primo tema seguito dalla transizione e dal secondo tema. Dopo la ripresa del Vivace, ora in mi maggiore, il discorso musicale si placa improvvisamente: misteriosi accordi del pianoforte (Poco sostenuto), riconducono alla tonalità di mi minore e preparano la coda conclusiva, nella quale udiamo ancora frammenti motivici del primo tema.

Il secondo movimento comincia con un episodio (Molto sostenuto) caratterizzato da un motivo cromatico a note lunghe del pianoforte sul quale il violino interviene con misteriose semicrome nel registro grave. Una semplice cadenza conduce al tema principale (Più lento. Andante sostenuto), una sorta di raccolto corale in do maggiore che nella seconda parte si "apre" rinforzandosi poco a poco. Curiosa e suggestiva è la citazione del secondo tema del primo movimento fatta dal violino nel registro grave sopra gli accordi in pianissimo del pianoforte. La seconda parte del movimento riprende il Molto sostenuto iniziale al quale segue un episodio intenso ed emotivamente travagliato. La ripresa del motivo principale, che ora si espande liricamente sfruttando il registro acuto del violino, e una nuova citazione del secondo tema del primo movimento concludono la pagina.

L'Allegro molto e deciso si apre con un tema in mi minore dal piglio eroico che richiama il clima emotivo del primo movimento: i due strumenti qui sembrano quasi battagliare a colpi di terzine ben scandite. Una delicata transizione, che utilizza un motivo ascendente in ritmo puntato udito nel primo tema, stempera i toni accesi dell'inizio e conduce al secondo tema in si maggiore, più calmo e sereno, introdotto dai distesi accordi del pianoforte. Il discorso si anima gradualmente (tempo animato) e porta alla perorazione enfatica del motivo ascendente in ritmo puntato (impetuosi accordi a due mani del pianoforte). La coda dell'esposizione presenta un terzo tema in si maggiore affidato al violino sopra un cullante moto ondulatorio in crome del pianoforte. La sezione di sviluppo si apre con la ripetizione del primo tema seguita da un episodio in imitazione fra i due strumenti che utilizza il motivo ascendente in ritmo puntato; un'ultima sezione di sviluppo, più animata e intensa, porta poi alla ripresa del tema principale in mi minore seguito dal secondo in mi maggiore e dal terzo, anch'esso in mi maggiore. Un'impetuosa coda conclude di slancio la sonata.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 marzo 1987
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 274 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 14 febbraio 2014