La bella addormentata, op. 66

Balletto in un prologo e tre atti

Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Libretto: Marius Petipa e Ivan Aleksandrovich Vsevolozskij da "La belle au bois domant" di Charles Perrault
  1. Introduction - Allegro vivo
Pologo
  1. Marche - Moderato
  2. Scène dansante - Moderato con moto. Tempo di Valse
  3. Pas de six - Adagio. Andante
    1. Var. I. Candide - Allegro moderato
    2. Var. II. Coulante. Fleur de Farine - Allegro
    3. Var. III. Miettes qui tombent - Allegro moderato
    4. Var. IV. Canari qui chante - Moderato
    5. Var. V. Violante - Allegro molto vivace
    6. Var. VI. La Fée des Lilas - Tempo di Valse
    7. Coda - Allegro giusto
  4. Finale - Andante. Allegro vivo
Atto I
  1. Scène - Allegro vivo
  2. Valse - Allegro. Tempo di Valse
  3. Scène - Andante
  4. Pas d'action:
    1. Rose Adagio - Andante. Adagio maestoso
    2. Danse des demoiselles d'honneur et des pages - Allegro moderato
    3. Variation d'Aurore - Allegro moderato
    4. Coda - Allegro giusto
  5. Finale - Allegro giusto
Atto II Scena 1
  1. Entr'acte et Scène - Allegro con spirito
  2. Colin-maillard - Allegro vivo
  3. Scène - Moderato
    1. Danse des duchesses - Moderato con moto. Tempo di Menuetto
    2. Danse des baronesses - Allegro moderato. Tempo di Gavotte
    3. Danse des comtesses - Allegro non troppo
    4. Danse des marquises - Allegro non troppo
  4. Farandole:
    1. Scène - Poco più vivo
    2. Danse - Allegro non troppo. Tempo di Mazurka
  5. Scène - Allegro con spirito
  6. Pas d'action:
    1. Scene d'Aurore et de Désiré - Andante cantabile
    2. Variation d'Aurore - Allegro con moto
    3. Coda - Presto
  7. Scène - Allegro agitato
  8. 17 Panorama - Andantino
Scena 2
  1. Entr'acte - Andante sostenuto
  2. Entr'acte symphonique: Le sommeil - Andante misterioso
    1. Scène - Allegro vivace
  3. No. 20 Finale - Allegro agitato
Atto III
  1. Marche - Allegro non troppo
  2. Polacca - Allegro moderato e brillante
  3. Pas de quatre - Allegro non tanto
    1. Var. I. La Fée-Or - Allegro. Tempo di Valse
    2. Var. II. La Fée-Argent - Allegro giusto
    3. Var. III. La Fée-Saphir - Vivacissimo
    4. Var. IV. La Fée-Diamant - Vivace
    5. Coda - L'istesso tempo
  4. Pas de caractère: Le chat botté et la chatte blanche - Allegro moderato
  5. Pas de quatre - Adagio
    1. Var. I. Cendrillon et le Prince Fortuné - Allegro. Tempo di Valse
    2. Var. II. L'oiseau Bleu et la Princesse Florine - Andantino
    3. Coda - Presto
  6. Pas de caractère:
    1. Chaperon rouge et le Loup - Allegro moderato
    2. Cendrillon et le Prince Fortuné - Allegro agitato
  7. Pas berrichon: Le petit poucet, ses frères et l'Ogre - Allegro vivo
  8. Pas de deux:
    1. Aurore et le Prince Désiré - Allegretto
      1. Entrée - Allegro moderato
      2. Adagio - Andante non troppo
    2. Var. I. Prince Désiré - Vivace
    3. Var. II. Aurora - Andantino
    4. Coda - Allegro vivace
  9. Sarabande - Andante
  10. No. 30 (a) Finale - Allegro brillante. Tempo di Mazurka (b) Apothéose - Andante molto maestoso
Organico: ottavono, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 cornette, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, tamburo, piatti, grancassa, tam-tam, glockenspiel, arpa, pianoforte, archi
Composizione: ottobre 1888 - San Pietroburgo, 1 settembre 1889
Prima rappresentazione: S. Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 16 gennaio 1890
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1889
Dedica: Ivan Aleksandrovich Vsevolozskij
Sinossi

C’era una volta, tanto tempo fa, un vasto regno lontano dove viveva la fata Carabosse. Il giovane re Florestan, desideroso di ampliare il suo regno, volle tutte le sue terre e ne cacciò Carabosse con la forza. Più tardi si sposò e, dopo diversi tentativi, la regina rimase incinta.

Prologo: il battesimo

Il re e la regina organizzano una grande festa per celebrare il battesimo di loro figlia, Aurora. La madrina, la fata dei lillà (fiore simbolo dei primi amori) e tutto il suo seguito sono invitati. Ogni fata (la fata della grazia, la fata del coraggio, la fata della generosità, la fata della bella voce e la fata del temperamento) pone un dono sulla culla della giovane principessa.

All’improvviso risuonano dei fulmini a ciel sereno e Carabosse appare circondata da orribili mostri. Furiosa per non essere stata invitata e per sete di vendetta, getta un sortilegio sulla principessa: il giorno del suo sedicesimo compleanno, Aurora si pungerà il dito con un fuso e morirà. La fata dei lillà scongiura il sortilegio di Carabosse dichiarando che la principessa non soccomberà a questa puntura: cadrà in un sonno profondo che, solo un principe dal cuore puro, risveglierà con un bacio d’amore vero. Carabosse infuriata lascia il palazzo.

Per scongiurare il sortilegio di Carabosse, Florestan fa interdire l’uso del fuso in tutto il regno, pena la morte.

Atto primo: il sortilegio

Dopo questo terribile evento, sedici anni sono passati e Carabosse continua a pensare alla sua vendetta. Alle soglie del castello, nonostante tutte le precauzioni prese, si fermano tre vecchie donne munite di pericolosi ferri da maglia. Il re, ricordandosi della profezia di Carabosse e temendone la vendetta, è sul punto di condannarle a morte, ma la regina lo fa ragionare e le grazia. I giardinieri del Palazzo offrono loro un gioioso divertissement per celebrare il sedicesimo compleanno della principessa.

Per questa occasione, sono venuti dai regni vicini quattro giovani principi, dall’aspetto altero e cavalleresco con lo scopo di sedurre e sposare Aurora. Lei però non è attratta da nessuno di loro. La festa giunge al culmine quando all’improvviso arriva una donna vestita di nero che offre all’innocente principessa un fuso, oggetto che suscita la sua meraviglia non avendone mai visto uno. Gli astanti tentano di togliere dalle mani della giovane fanciulla il pericoloso fuso, ma è troppo tardi: Aurora si punge il dito, vacilla e cade a terra inanimata.

La vecchia altri non è che Carabosse, venuta affinché si realizzasse la sua profezia e per vendicarsi dell’ingratitudine del re Carabosse, nonostante il coraggio dei principi, grazie alla sua arte malefica riesce a fuggire. La fata dei lillà rassicura i presenti, affermando che la principessa non è morta, è soltanto caduta in un sonno profondo come lei stessa aveva predetto. I quattro principi portano Aurora nei suoi appartamenti.

La fata dei lillà, grazie ai suoi poteri magici, fa cadere tutti in un profondo sonno. I cancelli del castello si chiudono.

Atto secondo: la visione

Cento anni sono passati. In una contea lontana, il giovane principe Désiré prende parte a una battuta di caccia. Tutte le dame della corte non hanno occhi che per lui e Désiré sembra intenzionato a sedurre la bella contessa, cosa che il conte vede di malocchio. Ben presto tutto quello che lo circonda lo annoia e preferisce restare solo, lontano dalla mondanità e dai giochi libertini.

Appena solo, è rapito da una musica celestiale che proviene dalla foresta: parte subito alla ricerca della dolce melodia. La fata dei lillà compare innanzi a lui e gli chiede la causa della sua tristezza. Il principe le risponde che la vita non ha alcun senso per lui poiché non ha mai conosciuto il vero amore. Davanti ai suoi occhi increduli la fata fa apparire Aurora, come in un sogno. Désiré se ne innamora immediatamente e supplica la fata di condurlo da lei.

Dopo un lunghissimo viaggio attraverso contee sconosciute, giungono nei pressi del castello addormentato.

La luce crescente e il suono lontano, che indicano l’arrivo della fata dei lillà, mettono in fuga Carabosse e il suo seguito. Sotto l’incantesimo della fata dei lillà, i cancelli si aprono e il principe entra nel castello senza vita. Trova lungo la strada solo persone addormentate e alla fine raggiunge la stanza di Aurora. Affascinato dalla bellezza verginale della principessa, Désiré non può non baciarla, rompendo in questo modo il sortilegio. Carabosse, annientata dalla forza dell’amore, è inghiottita dalle tenebre. Aurora si risveglia, insieme a tutti gli abitanti del castello. In silenzio, affascinati l’uno dall’altra, Désiré chiede al re e alla regina la mano della principessa. E loro acconsentono.

Atto terzo: le nozze

Per celebrare le nozze d’Aurora e Désiré, sono invitati alla festa numerosi personaggi di racconti di fate: l’uccello blu e la principessa Florina, il gatto con gli stivali e la gatta bianca, Cappuccetto rosso e il lupo, Cenerentola e il principe Fortuné…

La fata dei lillà, accompagnata dalla fata diamante (simbolo dell’amore eterno), la fata zaffiro (simbolo della saggezza), la fata oro (simbolo della perfezione) e la fata argento (simbolo della purezza) sono tutte presenti per proteggere l’unione dei due giovani sposi.

Aurora e Désiré partecipano ai festeggiamenti, che si concludono con una solenne celebrazione, dove le fate vegliano sulla felicità della coppia principesca e sulla pace nel regno.


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Al teatro in qualsiasi aspetto creativo - dall'opera lirica alla musica di scena, al balletto - Cajkovskij si sentì irresistibilmente legato in ogni momento della sua esistenza, con una pronunciata attrazione dalla prima giovinezza alla piena maturità. Varie cronache più o meno particolareggiate dell'epoca, reiterati rimandi autobiografici, numerose testimonianze epistolari - accanito grafomane, Cajkovskij ha lasciato oltre cinquemila lettere, e forse altrettante sono andate perdute o disperse, per non parlare della gran quantità di fogli d'album, diari, abbozzi ecc. conservati nella casa-museo di Klin - attestano ancor ora quali emozioni, e, di conseguenza, quali stimoli compositivi il teatro suggerisse e facesse deflagrare nella sensibilità artistica del musicista russo. Alla passione cajkovskijana per tutti gli aspetti del "far musica per il teatro" è riconducibile naturalmente la innovativa linea di tendenza da lui impressa al balletto, come genere artistico primario nel contesto della produzione, del gusto e dello spettacolo dell'800. Nel retroterra culturale di Cajkovskij vi fu, sin dalla primissima giovinezza, l'amore per la favolistica francese. A questa passione vennero ad aggiungersi poi una spiccata propensione per il linguaggio del teatro francese della metà del diciannovesimo secolo e per il balletto, ove regnava incontrastato il tratto aristocratico dell'eleganza, quel le joli che tanto ebbe ad ammirare da una parte nelle opere di Massenet, Gounod e nella Carmen di Bizet, e, dall'altra parte, nel più recente orientamento del balletto romantico francese, quale si era espresso in Giselle, rappresentata in Russia già l'anno successivo alla première parigina del 1841 e che, agli occhi di Cajkovskij dodicenne, costituì uno shock e fu un amore a prima vista. Proprio in Giselle il musicista russo si sentì attratto dall'unione del dramma lirico e dell'elemento fantastico, e non appena gli si presentò l'opportunità, volle giocare le sue carte nel modo che gli pareva più opportuno.

Nel repertorio del balletto in voga in Russia a metà dell'800, accanto agli exploit d'un alto grado di virtuosismo tecnico, c'era una pronunciata banalità di lessico musicale. Compositori ufficiali di balletto erano allora Pugni, Minkus, Gerber ecc., la cui attenzione era esclusivamente rivolta alle esigenze dei maestri di danza che non volevano assolutamente che gli eventuali pregi della partitura potessero costituire una concorrenza alle coreografie spettacolari da loro delineate per la scena. Di tale convenzionalità si trova un preciso riscontro nelle aspre critiche che l'opinione pubblica d'allora mosse alla presentazione del Lago dei cigni nel 1877, ancorché allestito in maniera assai sbrigativa, con tagli assurdi ed una preparazione inadeguata, pur se durata undici mesi. I critici ufficiali bocciarono la partitura cajkovskijana giudicandola "troppo sinfonica", "noiosa e monotona", "poco interessante anche per i musicisti".

In realtà il far sfoggio dello straordinario suo talento d'orchestratore, nonché di tutte le sue qualità d'ispirazione e d'inventiva in questo ambito artistico, diede a Cajkovskij sempre la più grande soddisfazione. E in questo modo il musicista russo riuscì a innalzare il balletto di soggetto fiabesco "occidentale" al più alto livello dell'espressione coreutica "russa", conferendo altresì a queste pagine un'intensità passionale e una tavolozza di colori e di ritmi che hanno siglato un genere creativo e hanno aperto la strada al balletto moderno. Al punto che i veri valori della scrittura strumentale del Lago dei cigni, della Bella addormentata e dello Schiaccianoci risultano percepibili, oltre un secolo dopo, in tutta l'autentica loro bellezza, anche al mero ascolto in sede concertistica, prescindendo quindi dalla scena per la quale furono creati e in cui videro la luce.

Una delle prime decisioni di Ivan Vsevolozskij, dopo la nomina a direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo nel 1881, fu quella di abolire la carica del "compositore di corte" per il settore del balletto. E di rivolgersi a musicisti veri e propri, secondo una lista in testa alla quale c'era il nome di Cajkovskij, al quale nel maggio 1888 fu indirizzato un messaggio con il seguente inciso: "Ho messo insieme un libretto per La bella addormentata sulla fiaba di Perrault. Voglio una mis-en-scène nello stile di Luigi XIV: se l'idea le piace, perché non scrive la musica?". Vsevolozskij era stato diplomatico in carriera, aveva tutte le qualità per convincere la sensibilità d'un artista, ma s'era anche presto fatto la fama di organizzatore di prim'ordine: oltre a riorganizzare l'intero settore del balletto, s'era dato da fare per scritturare all'estero i migliori coreografi e ballerini, stimolava la didattica, promuoveva il lavoro "in équipe" tra compositore, coreografo, librettista e scenografo, e aveva invitato dalla Francia Marius Petipa, il più grande talento della danza.

C'erano, quindi, tutte le premesse perché Cajkovskij entrasse subito nello spirito migliore per lanciarsi in questa nuova avventura creativa. Si dichiarò entusiasta sin dal primo giorno, non vedendo l'ora di gettarsi dietro alle spalle le amarezze della sfortunata impresa del Lago dei cigni. Secondo i suggerimenti di Vsevolozskij, Cajkovskij con la massima alacrità si mise d'accordo con Petipa nello stendere una minuziosa e dettagliata sceneggiatura, con gli episodi d'azione vergati in inchiostro nero e le proposte musicali in inchiostro rosso. Il dialogo con Petipa fu ininterrotto, la composizione febbrile e veloce: entro il 26 maggio (7 giugno) 1889 fu ultimata la prima stesura, d'estate a Frolovskoe si svolse l'orchestrazione che ebbe fine il 19 agosto (1° settembre) dello stesso anno, con un autentico prodigio di fecondità creativa. La prima rappresentazione della Bella addormentata andò in scena il 3 (15) gennaio 1890 al Mariinskij di San Pietroburgo con i seguenti interpreti: Carlotta Brianza (Aurora), Pavel Gerdt (D¬siderio), Enrico Cecchetti (Fata Carabosse - l'Uccello azzurro), Maria Petipa (La Fata dei lillà) nella coreografia di Petipa, con scene di Heinrich Levot, Ivan Andre'ev, Mikh'ail Bocarov, Konstantin Ivanov e Matvej Siskov; costumi di Ivan Vsevolozskij; sul podio Riccardo Drigo. Le reazioni del pubblico e della critica furono, dopo la première, perplesse. L'imperatore, che aveva assistito alla prova generale, non lesinò un suo très charmant e invitò Cajkovskij nel suo palco per complimentarlo. Per lo spettacolo, molto fastoso, non mancarono le lodi ma le prime valutazioni sulla musica furono senz'altro fredde: si parlò "d'una partitura sinfonicamente malinconica". Le repliche, sempre più affollate, furono però la cartina di tornasole dell'interesse crescente del pubblico, al punto che nella successiva stagione si potè festeggiare al Mariinskij la cinquantesima replica.

Dei tre balletti, Cajkovskij provvide ad enucleare una Suite per l'esecuzione concertistica solamente a proposito di Schiaccianoci, che, anzi, vide la luce prima dello spettacolo stesso. Le Suites degli altri due balletti furono promosse dall'editore Jurgenson, forse con il tacito consenso dell'autore.

Il Prologo si apre con una Introduzione in cui vengono esposti due temi antitetici, quello della Fata Carabosse e quello della Fata dei lillà, che si contrappongono tra l'Allegro vivo in 4/4 sulle sonorità violente degli ottoni e il dolcissimo Andantino in 6/8 per legarsi, senza soluzione di continuità, alla Marcia (n. 1) di segno cavalleresco (Moderato), delicato e, al tempo stesso, pomposo in forma di Rondò, con una seconda idea che passa dal tono principale di la maggiore a quello di do diesis minore, per poi, dopo il ritorno al primo tema, trascorrere a una terza idea in fa diesis minore. Sulla scena arrivano gli ospiti del palazzo del re Florestano per il battesimo della Principessa Aurora e sono accompagnati ai loro posti da Calabutte, il gran cerimoniere. All'ingresso del re e della regina si torna, tra fanfare di corni, alla tonalità principale. Arrivano le fate con paggi e ancelle a offrire i loro doni. Segue una Scène dansante (n. 2) in tempo Moderato con moto in 3/4: il tema in fa maggiore, su un gentile movimento di valzer, presenta nella sua armonizzazione, con l'alterazione discendente del settimo e sesto grado, un carattere ricercato quasi sofisticato. Questo simbolismo d'un sogno infantile nel coinvolgimento d'una danza "fatata" vuol rapirci sin dal primo istante e trascinarci nel percorso della vicenda scenica, dove i paggi, con la loro danza, imprimono un incedere sempre più marcato. Dopo il Pas de six (n. 3) e le sue sei Variazioni, il Prologo approda al Finale (n. 4) che è la scena madre, in quanto irrompe Carabosse con il suo seguito di sorci e di nani, in preda all'ira per non essere stata invitata alla festa. In un clima di improvvisa tensione drammatica, nell'Allegro vivo la musica sottolinea il maleficio della perfida Carabosse che getta nella costernazione la corte principesca. Vane sono le suppliche del re, della regina e di Calabutte: Aurora dovrà morire pungendosi con un ago. Dopo la danza beffarda di Carabosse e del suo seguito (Allegro risoluto) le forze del Male si allontanano e riappare il Bene nelle vesti della Fata dei lillà a concludere l'episodio con l'espandersi del suo tema che induce una nota di speranza.

La misura di come il linguaggio sinfonico cajkovskijano sia connaturato con i ritmi, le strutture, le movenze del balletto, è confermata dall'avvio del prim'atto. Sono trascorsi parecchi anni e al palazzo si preparano i festeggiamenti per celebrare la maggiore età di Aurora. La Scène (n. 5) si apre con l'Allegro vivo in 4/4 dell'orchestra che impone i suoi accenti vigorosi e marcati. Nel dar evidenza a situazioni teatrali via via contrastanti, che devono risultar chiare al pubblico del balletto, l'incedere orchestrale nel suo insieme ha un'unità, una consequenzialità che potrebbero essere trasferite di peso, se non in una Sinfonia, in una Suite. Il tema iniziale è, insieme, festoso e trascinante nella rapidità di una frenetica danza russa ma contiene un'aggressività che è sintomatica del malefizio di Carabosse. Questa celerità serve a concentrare l'azione che trascorre dalla danza dei contadini alla scoperta, nel giardino del palazzo, delle donne che lavorano ai ferri, nonostante il divieto del re Florestano. L'entrata dei sovrani, la condanna delle colpevoli, la supplica, il perdono sono sorretti dal procedere narrativo dell'orchestra e finalmente il gesto magnanimo, che si esplicita nella frase del fagotto, porta a conclusione la scena. L'atmosfera drammatica si scioglie nella Valse (n. 6) che è il celebre Valzer dei fiori che segnò uno dei vertici della coreografia di Petipa. Lo stile della maturità cajkovskijana, così sicuro nei complessi accordi alterati di settima e nona, legati all'effusione melodica nel chiaroscuro d'una scrittura strumentale disegnata con tratto infallibile, lascia il posto, in questa pagina, ad una peculiarità della celebre danza che può sembrare prossima a certi moduli viennesi della migliore tradizione straussiana.

Dal second'atto, dopo che il malefizio di Carabosse ha condannato Aurora e la Fata dei lillà ne ha preservato la sopravvivenza, immergendo il tutto in un magico incantesimo, si ascoltano la Coda (n. 15), l'Entracte (n. 18) e la Scène (n. 19) che costituiscono praticamente la conclusione dell'atto. Dopo la Variazione d'Aurora, sottilmente equilibrata tra la nobiltà di tratto della musica e la funzionalità dei ritmi della danza, la Coda (Presto) passa da atteggiamenti mendelssohniani a sonorità accesamente russe in corrispondenza dell'implorazione di Desiderio all'intervento della Fata dei lillà. A scena chiusa, l'Entracte (n. 18) condensa il momento del raggiungimento della felicità. Come in un episodio magico, il compositore impegna tutto il suo prestigio in un "pezzo da concerto" per violino solo e orchestra - dedicato a Leopold Auer, che avrebbe dovuto eseguirlo, ma poi questa eventualità non si verificò - che è intimamente strutturato con la forma del balletto romantico. La danza, che nell'atto terzo giocherà a tutto campo, lascia qui lo spazio alla componente sinfonica. E infatti nella Scène (n. 19) all'Andante misterioso l'azione rimane ancora sospesa e la musica descrive la situazione della bella addormentata con il misterioso suo incanto. Ritornano vari temi, come l'idea cromatica dell'Allegro giusto del n. 9, in cui Aurora si era punta con il fuso, e che viene qui esposta in modo allargato dai legni sul tremolo dei violini in sonorità diffuse. Poi è la volta del tema di Carabosse a riapparire velocemente, quasi a far intendere il rapido trascorrere del tempo. Una tromba con sordina, con sonorità angelica, fa ascoltare l'idea della Fata dei lillà. E tutto questo materiale motivico, oltre a una nuova frase del corno inglese e poi dell'oboe, si mantiene miracolosamente sospeso sul paesaggio di nuvole che avvolge la scena fino all'arrivo del Principe che, ammaliato dalla bellezza della principessa, la bacia rompendo l'incantesimo (Finale n. 20). Aurora e tutta la corte si risvegliano festosi. La Suite si conclude con i delicati arpeggi dell'arpa che ci riportano al particolare momento dell'incantesimo (Pas d'action n. 8). L'ingenuità della fiaba viene miracolosamente rispettata dal candore creativo di Cajkovskij; ma quanta cultura, quanta sensibilità e quanta raffinatezza in questi impasti strumentali! La musica conserva il suo charme e ogni palpito sonoro sembra dileguare in dissolvenza.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La bella addormentata è uno dei capolavori della danza classica, e un vertice di quello stile imperiale russo dell’Ottocento che, per molti, rappresenta l’idea stessa di balletto. Come per altre due opere considerate icone della danza, Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci, il balletto fu coreografato dal francese Marius Petipa su una partitura del compositore russo Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij. Ma mentre gli altri due racconti vengono ormai quasi esclusivamente identificati con il balletto, la fiaba della Bella addormentata è conosciuta da un pubblico molto più vasto. La storia della bella principessa dotata di ogni virtù che viene colpita dalla maledizione di una fata malefica e dopo un sonno durato cent’anni viene salvata dalla sua fata madrina e da un bel principe azzurro fa parte di una collezione seicentesca di fiabe francesi, opera dello scrittore Charles Perrault. Nonostante siano passati più di tre secoli da allora, La bella addormentata è tuttora una fiaba amata e conosciuta dai bambini di tutto il mondo.

La bella addormentata (presentata con il titolo francese, La belle au bois dormant) debuttò il 15 gennaio 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, e anche se l’esito non fu immediatamente trionfale, si affermò progressivamente come la più fortunata produzione di Petipa e la più evidente testimonianza della felice collaborazione tra il compositore e il coreografo. Incoraggiato dal direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo Ivan Vsevoložskij (responsabile sia del libretto che dei costumi della Bella addormentata), Petipa lavorò in stretta collaborazione con Cˇajkovskij prescrivendo tempi e numero di battute di ciascun episodio e dando perfino indicazioni sull’orchestrazione (nella prima variazione di Aurora ci doveva essere un pizzicato di violini e violoncelli; la variazione della fata degli zaffiri doveva essere in 5/4 per rappresentare il taglio pentaedro della pietra; e così via). Famoso l’aneddoto riguardante il ‘panorama’ del secondo atto (quando il principe Désiré viaggia accanto alla fata dei lillà per destare Aurora dal lungo sonno): la musica terminò prima che l’enorme scenario dipinto si srotolasse del tutto e Cˇajkovskij dovette comporre altra musica, letteralmente a metri.

Malgrado, o forse grazie a questi vincoli, il compositore creò quella che è probabilmente la migliore partitura mai scritta per un balletto, pervasa da una grande profondità emotiva e da una ricca drammaticità sinfonica che donano significato allegorico al racconto e vita ai personaggi. Introducendo le melodie che si identificheranno con la buona fata dei lillà e la malefica fata Carabosse, il preludio iniziale suggerisce fin dalle prime battute il tema della lotta tra bene e male che dominerà il balletto, e Cˇajkovskij continua a utilizzare questi temi man mano che il racconto si sviluppa. Anche se Aurora è un’eroina passiva, condizionata dalle circostanze piuttosto che dalle conseguenze delle sue azioni, la partitura di Cˇajkovskij dà corpo e sostanza all’idea di una sua forza interiore, inizialmente suggerita dai celebri balancés dell’Adagio della rosa, e poi confermata dal radiante lirismo del pas de deux nuziale. Il mondo gerarchico e ordinato della Bella addormentata, con l’impiego tradizionale di primi ballerini, solisti e corpo di ballo, rispecchia e rende omaggio alla corte imperiale dello zar russo, di cui i membri della compagnia di ballo erano del resto servitori. La corte reale della Bella addormentata è modellata sulla Versailles di Louis XIV, e Petipa rende omaggio ai balletti francesi del Sei e Settecento nell’uso delle sfilate di corte e nei riferimenti a balli d’epoca. Allo stesso tempo, comunque, riuscì a combinare brillantemente il virtuosismo della scuola italiana (la prima Aurora fu la ballerina italiana Carlotta Brianza) con lo stile francese e russo contemporaneo per creare delle danze tecnicamente complesse che rappresentano vividamente i personaggi e il loro mondo.

La bella addormentata ha ispirato generazioni di coreografi; tra essi George Balanchine (il cui debutto, all’età di dieci anni, fu al Teatro Mariinskij nel Valzer delle ghirlande del primo atto), Frederick Ashton e Kenneth MacMillan, che proclamarono tutti il loro debito nei confronti di Petipa sottolineando l’influenza che quest’opera in particolare aveva avuto su di loro. Ma anche se Sergej Diaghilev aveva portato a Londra la versione integrale del balletto già nel 1921 (mandando quasi in fallimento i suoi Ballets Russes), La bella addormentata non fu interpretata da una compagnia occidentale fino al 1939 quando Nikolaj Sergeev, maître de ballet del Teatro Mariinskij, arrivò al Royal Ballet di Londra portando con sé i suoi quaderni di appunti. L’allestimento di Sergeev, che nel 1946 segnò un trionfo per la compagnia e per la sua prima ballerina Margot Fonteyn, costituì la base per la maggior parte delle versioni successive del balletto, divenuto oggi parte integrante del repertorio classico.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 29 aprile 2006
(2) Testo tratto dal programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia,
Venezia, Teatro La Fenice, 10 maggio 2017

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Ultimo aggiornamento 24 marzo 2020