Concerto per pianoforte n. 1 in si bemolle minore, op. 23


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Allegro non troppo e molto maestoso (re bemolle maggiore). Allegro con spirito (si bemolle minore)
  2. Andantino semplice (re bemolle maggiore)
  3. Allegro con fuoco (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: novembre 1874 - Mosca, 21 febbraio 1875
Prima esecuzione: Boston, Music Hall, 25 ottobre 1875
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1879
Dedica: Hans von Bülow
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Un'opera di Cajkovskij è sempre un'emozione intensa: si rimane avviluppati nelle trame di un tessuto fatto di sensazioni tenere e drammatiche, di gesti e dinieghi che innalzano l'anima per poi sprofondarla nella cupa drammaticità dell'abisso. La crisi dei sentimenti, il dolore del confronto di un'anima con il mondo è in Cajkovskij motore di ogni azione; la crisi è poi fuga, o da se stesso, dalla propria diversità, o dalla Russia, alla ricerca di un altro mondo, probabilmente di un'Europa dostoevskianamente concepita. La semiblerie cajkovskiana, frutto ed al contempo effetto del sentimento della crisi, ha poi dato vita a quella comunemente diffusa interpretazione delle opere del compositore russo secondo cui la sua opera si caratterizza per l'invenzione melodica «abbondante [...] a volta a volta felice oppure volgare», per la strumentazione «brillante», per la forma «solida sotto apparenze rapsodiche», per la capacità di emozionare il pubblico grazie ad un «senso infallibile dell'effetto» ed un «lirismo destinato a commuovere facilmente le masse popolari e piccolo-borghesi, effusione quindi di natura non molto elevata».

Le parole fra virgolette sono di Alfredo Casella, e definiscono in generale l'opera e lo stile di Cajkovskij parlando in particolare proprio del Concerto n. 1 in si bemolle minore per pianoforte e orchestra op. 23.

Scritto tra la fine del 1874 e gli inizi del 1875, il Concerto n. 1 op. 23 è senz'altro, insieme alla Sesta Sinfonia, "Patetica", ed al balletto Lo schiaccianoci, la più nota delle composizioni di Pètr Il'ic Cajkovskij; per alcuni aspetti ha poi assunto nell'immaginario popolare i tratti del "tipico" concerto romantico, divenendo emblema di uno stile caratterizzato da forte espressività legata a melodie di grande impatto emotivo, e da un virtuosismo strumentale a volte brillante, a volte drammatico o malinconico, erede delle conquiste del pianismo lisztiano. L'andamento rapsodico dei tre movimenti che lo compongono, così come scriveva Casella, dà l'impressione all'ascoltatore che il brano sia scaturito di getto dalla penna dell'autore sull'onda di un'irruenta ispirazione; questo senso di facilità comunicativa lo rende estremamente vicino a colui che vi si accosta anche senza conoscere la musica, la sua storia, gli stili ed i periodi. Seppur frutto d'ispirazione, Cajkovskij ritornò su questo concerto per perfezionarlo facendone in tutto tre versioni, di cui l'ultima, nel 1889, fu quella definitiva ed attuale; il lavoro di lima e trasformazione ovviamente riequilibrò l'immediatezza della prima giovanile stesura, allo stesso tempo aggraziata e barbarica, che proprio per la sua struttura a blocchi e per le particolari soluzioni virtuosistiche della tastiera, fece dichiarare a Nikolaj Rubinstein che il concerto era ineseguibile.

Nikolaj Rubinstein, valente pianista e fratello di Anton con il quale Cajkovskij aveva studiato a Pietroburgo, aveva chiamato Pétr Il'ic a Mosca nel 1865 per insegnare armonia alla Società Musicale Russa da lui diretta e che nel 1866 si trasformò in Conservatorio; l'attività di Cajkovskij al fianco di Nikolaj Rubinstein durò per ben 11 anni, e fu proprio quest'ultimo ad incitarlo nel 1866 a scrivere la sua Prima Sinfonia, l'opera 13, "Sogni d'inverno". Fatto sta però, che quando Cajkovskij nel 1875 presentò a Rubinstein il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra in cerca d'approvazione e consiglio, la risposta del musicista fu di inesorabile condanna, e neanche l'aver letto che il Concerto gli era stato dedicato riuscì a stemperare le critiche verso il giovane compositore. Cajkovskij ritirò ovviamente la dedica a Rubinstein, e girò il concerto ad Hans von Bülow che, lusingato, lo inserì con piacere nel suo repertorio facendolo esordire a New York nello stesso 1875. Essendo difficile ritenere che Rubinstein potesse avere dell'ostilità nei confronti di Cajkovskij, il suo atteggiamento dovette essere senz'altro motivato dalla carica innovativa della composizione che evidentemente si scontrava con gli schemi e le abitudini del pianismo tradizionale della metà dell'800 al quale egli si era formato. Esponenti di una cultura di tradizione tedesca, Anton e Nikolaj Rubinstein studiarono composizione a Berlino con Siegfried Dehn, e furono interpreti di un pianismo di derivazione beethoveniana, con gli influssi più salottieri dello stile chopiniano, e quelli virtuosistici del primo Liszt; fu dunque loro estranea la tendenza verso la formazione di uno stile essenzialmente "russo" caratterizzantesi nell'uso di soggetti storici da narrare, e nell'inserimento di melodie di origine popolare nel discorso tematico e ritmico, stile che invece si stava delineando nelle opere del pietroburghese Gruppo dei Cinque.

Sebbene tra i due fratelli Rubinstein, Nikolaj passasse per il più aperto e progressista, il lavoro operato da Cajkovskij nel suo Concerto sul pianoforte, sia nelle parti solistiche che in quelle di dialogo con l'orchestra, dovette suonare come una sfida troppo forte al comune gusto del pubblico moscovita per essere accettata; i famosissimi accordi con cui Cajkovskij introduce il pianoforte nel tema del primo movimento affidato agli archi, erano uno schiaffo alla tradizione ed inspiegabili secondo le consuetudini compositive accettate da Rubinstein, prese ad esempio nel Conservatorio da lui diretto. Altro punto incomprensibile a Rubinstein fu senza dubbio l'uso di un tema popolare ucraino, La canzone dei ciechi, adoperato nella seconda parte del primo movimento, l'Allegro con spirito, in cui la brillante figura ritmica deriva proprio dalla vivace melodia popolare a cui Cajkovskij si era ispirato.

Nell'Andantino semplice del secondo movimento il compositore dà massimo spazio al gioco orchestrale dei timbri fra archi e fiati in una scena di sognante lirismo, preludendo alla seconda parte del tempo, il Prestissimo, in cui il compositore ravviva il discorso melodico e ritmico grazie a brillantissimi scambi fra pianoforte ed orchestra su di una reminiscenza dalla melodia popolare, questa volta francese, Il faut s'amuser (brano non casuale, bensì legato al repertorio della cantante belga Désirée Artot della quale Cajkovskij si era invaghito nel 1868 nel corso di una sua tournée in Russia), e conduce l'ascoltatore al travolgente rondò del terzo movimento, Allegro con fuoco. Costruito con estrema cura per dare salda struttura ad un discorso apparentemente rapsodico, l'Allegro si presenta come una tipica danse à la russe, caratterizzata da slancio ritmico, limpida inventiva melodica e brillante colorismo orchestrale, in cui il tema passa dal solista all'orchestra intrecciandosi in proposte e rimandi che lo rendono veemente anche grazie ad un policromo virtuosismo pianistico.

Il Concerto n. 1 op. 23 per pianoforte e orchestra segnò lo spartiacque fra un primo periodo cajkovskiano, ricco di fermenti ed influenze, e quella seconda età delle grandi opere universalmente note, in cui la raggiunta maturità espressiva però non rinnegherà il "percorso russo", ma anzi ne darà realizzazioni di grande respiro e profondità, quali le due opere su testo di Puskin, Evgenij Onegin del 1878, e La dama di picche del 1890.

Giancarlo Moretti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nonostante Ciaikovski fosse un ottimo pianista, il pianoforte non fu mai al centro della sua attività compositiva. I piccoli pezzi salottieri di derivazione schumanniana e una ambiziosa quanto discontinua Sonata in sol maggiore, per limitarsi alle opere più conosciute, non possono certo essere annoverate tra le creazioni emblematiche del mondo ciaikovskiano. Una fortunata eccezione è costituita dal Concerto in si bemolle minore op. 23, il primo e il più popolare dei tre lavori dedicati da Ciaikovski al genere del Concerto per pianoforte e orchestra (il secondo, op. 44, di gran lunga inferiore, è raramente eseguito e il terzo, op. 75, rimase incompiuto). Il Concerto in si bemolle minore resta dunque a buon diritto l'unico lavoro pianistico entrato a far parte dei capolavori del musicista russo e può essere indicato come una tra le opere più importanti e originali del genere nell'epoca del tardo romanticismo.

Ciaikovski intendeva dedicarlo a Nicolai Rubinstein, direttore del Conservatorio di Mosca, dove insegnava, e celebre pianista. Così ne scriveva al fratello Anatol in una lettera del 3 settembre 1874: «Ora sono assorbito dalla composizione di un Concerto per pianoforte e orchestra. Sono ansioso che Rubinstein lo esegua. Il lavoro progredisce lentamente e non riesce bene. Comunque mi attengo alle mie intenzioni e martello al pianoforte quei passaggi che mi escono dalla mente: il risultato è una eccessiva irritabilità... ». Terminata la partitura tra continui dubbi e ripensamenti, fu organizzata una audizione privata al Conservatorio durante la quale Rubinstein avrebbe potuto conoscere e giudicare il lavoro che gli era stato dedicato. Ma la serata ebbe un esito disastroso. Rubinstein, prima perplesso poi addirittura infuriato, diede un verdetto negativo e Ciaikovski, profondamente offeso, decise di cancellare la dedica. Pubblicato con nuova dedica a Hans von Bülow il Concerto fu da questi eseguito durante una tournée americana a Boston il 25 ottobre 1875. Il successo fu immediato e travolgente e uguale esito ebbe, pochi giorni dopo, la prima a Pietroburgo affidata al pianista Gustav Kross. La rivincita era completa. Lo stesso Rubinstein qualche anno più tardi ebbe modo di ricredersi e inserì il Concerto stabilmente nel suo repertorio di concertista. D'altra parte Ciaikovski nel 1889 pubblicò una nuova definitiva versione profondamente modificata che è quella oggi normalmente eseguita.

Le critiche di Rubinstein si erano incentrate soprattutto sulla scrittura pianistica giudicata addirittura ineseguibile e anche nella stesura definitiva il Concerto in si bemolle minore conserva difficoltà tecniche impressionanti. Tra i modelli presenti a Ciaikovski accanto ai Concerti di Liszt deve essere ricordato il Primo concerto di Brahms, dove il rapporto tra solista e orchestra sembra risolto più in opposizione che in dialogo secondo una concezione squisitamente romantica accolta senza riserve dal compositore russo. Lo stesso Ciaikovski così si era espresso riguardo allo stile concertante in una lettera a Nadezda von Meck: «I rapporti del piano e dell'orchestra sono del tutto differenti. Qui i colori dell'uno non si saprebbero mescolare con quelli dell'altra perché i suoni percussivi del pianoforte suonano sempre indipendentemente da ogni altra combinazione sonora. Tuttavia, il conflitto scoppia fra due avversari di forze uguali perché alla potenza dell'orchestra e alla sua infinita varietà di colori tiene testa questo avversario minuscolo, inverosimile ma risoluto, il quale riuscirà vittorioso se il pianista è dotato. In questa lotta risiedono dei tesori di poesia e molte possibilità esaltanti per un compositore».

Centro gravitazionale del Concerto è il primo movimento esteso per una durata che supera la metà di tutto il lavoro. Si apre con una introduzione (Allegro non troppo e molto maestoso), nel modo maggiore, lunga oltre cento battute e dominata da un tema ampio e perentorio che resta tra le invenzioni melodiche più geniali e popolari di tutta la musica ciaikovskiana. L'enfasi retorica irresistibile di questa idea introduttiva, che peraltro non si farà più sentire durante tutto il Concerto, sembra depauperare l'evidenza del vero primo tema nel seguente Allegro con spirito: una melodia scherzosa di carattere popolaresco che Ciaikovski, stando agli scritti del fratello Modest, avrebbe ascoltato al mercato di Kamenka. Comunque questa melodia appare di natura squisitamente strumentale e virtuosistica elaborata in un fitto dialogo con l'orchestra. La seconda sezione tematica (Poco meno mosso) si presenta con due diverse configurazioni melodiche in un'atmosfera più intima e sognante. Su questi elementi è incentrato il lungo sviluppo dove al virtuosismo spettacolare del pianoforte si contrappongono gli interventi coloristici di un'orchestra forse ancora trattata con mano un po' pesante ma ricca di saporite invenzioni strumentali. Al termine della ripresa con la tradizionale cadenza del solista una coda elabora le figurazioni del secondo tema arricchite da fitti arabeschi pianistici fino a chiudersi con una cascata di ottave.

Nel secondo movimento sembrano concentrate le caratteristiche proprie al tempo lento e allo Scherzo di una Sinfonia. Vi si alternano un Andantino semplice con carattere di raffinata Berceuse e un fantastico Prestissimo con rapide e leggere volatine del pianoforte. Sono queste le pagine emblematiche dell'originalità compositiva ciaikovskiana, della sua instabilità nevrotica, del suo decadentismo malato e affascinante.

Il finale Allegro con fuoco è un Rondò costruito su due temi: il primo, una danza paesana ucraina arricchita da interessanti sfasature ritmiche, il secondo, più aperto e cantabile, al quale Ciaikovski affida la conclusione trionfante del Concerto. Uno sguardo complessivo al materiale tematico del Concerto in si bemolle minore e al suo impianto formale può sollevare accuse di scarso controllo stilistico, di eccessiva enfasi retorica, di esteriore sentimentalismo, ma sono proprio questi evidenti squilibri, lasciati da parte i paraocchi devianti di un improponibile rigore classico, a rivelare gli aspetti caratteristici del mondo di Ciaikovski: una smodata sincerità espressiva in bilico tra affermazioni perentorie e ripiegamenti pessimistici, col senso finale della contemplazione narcisistica delle proprie debolezze. E forse proprio qui deve essere cercato il suo messaggio più autentico e moderno.

Giuseppe Rossi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Scritto con incredibile celerità fra l'ottobre e il dicembre del 1874, questo primo Concerto per pianoforte e orchestra venne successivamente revisionato dall'autore ben due volte e la versione definitiva — quella più nota e comunemente diffusa — fu pubblicata solo nel 1890.

Desideroso di conoscere il parere autorevole dell'amico Nicolas Rubinstein, già suo generoso e dispotico ospite, nonché illustre pianista, nel dicembre del 1874 Ciaikovski organizzò in un'aula del Conservatorio di Mosca un'audizione privata alla presenza di Rubinstein e del collega Huber.

L'esito — non dei più lieti — ci viene raccontato tre anni dopo dallo stesso compositore, con dovizia di particolari e straordinaria «verve», in una lettera all'amica Nadjeshda von Meck. «Gli suonai il primo tempo. Non una parola, non un'osservazione! [...] Tuttavia mi armai di pazienza e suonai il Concerto sino alla fine. Il silenzio continuava. Mi alzai e dissi: "Allora, cosa ne pensa?". Ma ecco che dalle labbra di Nicolas Grigorievic cominciò a sgorgare un profluvio di parole, dapprima in mormorio sommesso, quindi in tono fragoroso come il tuono di Giove. "Il suo Concerto non vale assolutamente nulla, non è possibile suonarlo, i passaggi sono volgari, goffi, e cosi mal scritti che non si vede neppure un modo per correggerli. La forma è cattiva banale"». Offeso Ciaikovski lasciò la stanza. Raggiunto da Rubinstein che con fare ora meno aggressivo gli consigliava di apportare alcune modifiche rispose con una perentorietà successivamente smentita dai fatti: «non cambierò neppure una nota e lascerò il pezzo nella sua forma attuale».

Il Concerto verrà dedicato al celebre Hans von Bülow il quale formulò parole di grande ammirazione nei confronti dell'opera e ne fu il primo interprete assoluto a Boston (Music Hall) il 25 ottobre 1875 sotto la direzione di Benjamin Johnson Lang. Diciannove giorni dopo, la prima esecuzione in Russia venne affidata al pianista Gustav Kross e al direttore Napravnik. Di vero successo la stampa russa cominciò a parlare solo in seguito con le brillanti prove solistiche di Taneev e, nel 1878, dell'ormai riconciliato estimatore Rubinstein.

L'«Allegro non troppo e molto maestoso» è contrassegnato da un'idea melodica magniloquente e ampia: esposta dai corni e fatta propria dal pianoforte, rimbalza — vera e propria «idée fixe» nel senso berlioziano — fra i vari settori dell'organico sortendo esiti timbrici assai variegati. Sempre nel primo movimento («Allegro con spirito») Ciaikovski si serve di una canzone popolare ucraina ascoltata a Kamenka, adattandola a una vivace varietà ritmica e di accenti. Lo sviluppo, in senso ancora più lato la «forma» di questo e di molti altri movimenti è — come rileva il noto musicologo russo Assafiev — di natura essenzialmente melodica: l'esaltazione dell'impulso canoro avviene per via immediata e diretta, senza ombra di freni inibitori. Ancora più interessante è osservare come fa D'Amico che in questo celebrare l'idea musicale incisiva per se stessa «prima che sviluppi tematici o l'insieme del discorso l'abbiano magnificata», si vengono a scoprire non pochi legami di parentela fra Ciaikovski e Stravinsky.

Non si spiegherebbe altrimenti la venerazione incondizionata che Stravinsky dimostrò per il campione della cosiddetta musica edulcorata. Nelle «Chroniques de ma vie» si legge: «A partire da quella data [1893, quando undicenne vide Ciaikovski nel ridotto del Teatro Imperiale di Pietroburgo] io credo di poter situare l'inizio della mia vita cosciente di artista e di musicista». Né occorre ricordare l'opera comica «Mavra» dedicata «alla memoria di Puschkin, Glinka, Ciaikovski», oppure «Baiser de la fée» che altro non è se non un pastiche su musiche dello stesso Piotr.

Nel secondo movimento del Concerto un posto a parte occupa il «Prestissimo» che — stando alla biografia del fratello Modest — si basa su una «chansonette» francese («Il faut s'amuser, danser et rire») che Ciaikovski era solito cantare con Anatol. Questo può valere come esempio di quel «lessico familiare» fatto appunto di canzoni, romanze da camera, «morceaux de salon» nelle quali si riflettono le emozioni più semplici, i sentimenti più intimi e patetici del milieu sociale da cui il compositore trasse non pochi stimoli e sollecitazioni artistiche.

Gisèle Brelet a questo proposito — ampliando le osservazioni di Assafiev — rileva l'ampiezza sintetica dell'esperienza temporale di Ciaikovski nella sua inconfondibile fusione fra tempo vissuto e durata musicale. Per il musicista infatti il processo creativo deve essere assai rapido se si vuole che la durata musicale non rimanga estranea a quella interiore e progredisca indivisibile, utilizzando lo stesso «élan». L'imperfezione per converso è attribuita da Ciaikovski alle interruzioni che spezzano la continuità temporale nel processo creativo: «Che tormento, che insopportabile tormento, codeste interruzioni» — esclamerà in una lettera alla von Meck, definendo la natura dell'ispirazione.

Nell'assolutizzazione dell'istante o del passato, vissuto e goduto come una seconda vita, oltre che riconoscere gli aspetti più tipici della società russa «colta» si coglie la cifra più autentica del musicista, racchiusa fra l'orizzonte dello «spleen» e della disillusione.

Il Concerto termina con l'«Allegro con fuoco» il cui primo tema è anch'esso desunto da una canzone ucraina che l'artista trovò nella raccolta di Rubet pubblicata a Pietroburgo nel 1872.

Fiamma Nicolodi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 27 marzo 1993
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Vecchio, 13 settembre 1983
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 8 novembre 1975

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Ultimo aggiornamento 12 aprile 2019