Liturgia di San Giovanni Crisostomo, op. 41

per coro a cappella

Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Testo: liturgico
  1. Kyrie eleison
  2. Gloria Patri
  3. Venite adoremus
  4. Alleluia
  5. Gloria tibi
  6. Inno dei cherubini
  7. Kyrie eleison
  8. Credo
  9. Praefatio e Sanctus
  10. Inno di Santa Cena
  11. Vere dignum
  12. Pater noster
  13. Communio
  14. Postcommunio
Organico: coro misto senza accompagnamento
Composizione: Brailovo, 16 maggio - 5 agosto 1878
Prima esecuzione: Kiev, Chiesa dell'Università, giugno 1879
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1879
Guida all'ascolto (nota 1)

Alla composizione delle musiche per la Liturgia di San Giovanni Crisostomo Ciaikovski si dedicò concretamente nel maggio del 1878, da lui trascorso in Ucraina fra Kamenka, la residenza di campagna della sorella Alexandra sposata Davidov, e Brailov, la fastosa tenuta della protettrice di lui, Nadezda von Meck. Il progetto di quella che sarebbe stata la prima delle sue rare composizioni sacre risaliva però a qualche mese prima; probabilmente all'autunno del 1877, quando proprio rispondendo alla signora von Meck, che gli aveva chiesto quali fossero le sue opinioni in materia di religione, Ciaikovski al termine di una lunga confessione aveva fatto alcune allusioni significative.

«La tragedia dell'uomo che si abbandona allo scetticismo consiste nel fatto che egli ha perduto i legami con la fede che ha ricevuto, e che cercandone un surrogato si butta ora su questa ora su quella dottrina filosofica nella speranza di conquistare così, nella lotta per la vita, quel supremo distacco che dà tanta forza a coloro che credono... Malgrado quel che Ella ne possa dire, credere resta la più grande di tutte le fortune, ma credere non per abitudine o per difetto d'intelletto, bensì consapevolmente, dopo esser riusciti a metter a tacere tutte le contraddizioni e tutti i dubbi mossi dalla ragione critica. Un uomo intelligente e credente al tempo stesso è, per così dire, protetto da una corazza contro la quale battono senza ferire tutti gli innumerevoli colpi del destino... E sa che cosa Le voglio dire? Mi sembra che Ella provi una tale attrazione per la mia musica proprio perché anch'io come Lei sono continuamente assillato dalla nostalgia dell'ideale. Le nostre sofferenze sono le stesse; i Suoi dubbi altrettanto forti dei miei. Entrambi nuotiamo sul mare sconfinato dello scetticismo, senza trovare il porto della salvezza [...]. Nei confronti della Chiesa ho però un atteggiamento radicalmente opposto al Suo. Per me la Chiesa ha conservato molto del suo incanto poetico. Vado molto spesso a messa. La liturgia di San Giovanni Crisostomo mi sembra un'opera d'arte fra le più belle. Se si segue attentamente la liturgia del servizio divino secondo il rito greco-ortodosso e si cerca di penetrare il significato di ogni gesto, si resta profondamente commossi. Mi piacciono molto anche le funzioni dei Vespri. Entrare il sabato sera in una vecchia chiesa, sostare nella penombra, avvolti nel profumo dell'incenso, calare profondamente in se stessi, e cercare risposte agli eterni problemi: perché? quando? dove? a qual fine?; poi risvegliarsi dalla propria meditazione mentre il coro comincia a cantare; lasciarsi andare interamente alla suggestione della musica, essere compresi da un'estasi arcana, quando la porta d'oro del tabernacolo si spalanca e si innalza il Te Deum... Oh come amo tutto ciò! È uno dei piaceri più grandi che possa provare! Vede dunque che sono ancora legato alla Chiesa da forti vincoli, ma d'altra parte ho, come Lei, perso da gran tempo ogni fiducia nei dogmi... In me c'è dunque una grande contraddizione, e ci sarebbe da perdere la ragione se non esistesse la musica, questa preziosa consolatrice [...]. Forse non c'è musica in cielo. Viviamo dunque sulla terra, finché ci è concesso».

Mentre riaffermava il suo scetticismo nei confronti della religione, Ciaikovski peraltro si dichiarava dunque disarmato rispetto al fascino estetico dei riti ortodossi: ed è certo tutt'altro che casuale che parole così colme di nostalgia e di dolente spiritualismo gli siano venute sulla penna proprio in quel preciso momento: Ciaikovski era infatti reduce dal naufragio del suo brevissimo e strampalato matrimonio con Antonina Miliukova, il cui fallimento (inevitabile, anche date le tendenze omosessuali del compositore) lo aveva portato sull'orlo del suicidio nel settembre precedente. Ora Ciaikovski si riposava a Clarens, in Svizzera; un soggiorno che contribuì, insieme all'offerta generosa della signora von Meck. che proprio in quel torno di tempo si impegnò a provvedere alle esigenze finanziarie del musicista, fermo restando il patto che i due non si sarebbero mai dovuti incontrare di persona, a rimettere provvisoriamente in sesto i nervi sconvolti di lui. Logico dunque che in tale situazione le cose della religione, quale che fosse l'orientamento di Ciaikovski al riguardo, raddoppiassero ai suoi occhi una suggestione già viva. Ma che non soltanto di un'occasionale debolezza si trattasse, bensì anche di un serio interesse estetico, è dimostrato dal fatto che l'ammirazione per il testo della «Liturgia di San Giovanni Crisostomo» continuò a essere per Ciaikovski una tentazione piuttosto forte, tant'è vero che nel febbraio dell'anno successivo, da Firenze dove si era trasferito Ciaikovski scriveva al suo editore moscovita, Jürgenson, formulando una proposta abbastanza precisa: «Le tornerebbe utile della musica sacra? Se sì, mi dica quali testi. Sarebbe per Lei vantaggioso pubblicare un'intera Liturgia di mia composizione? È un lavoro che mi sarebbe estremamente gradito! Può Lei pubblicare musica sacra e trovare un mercato per essa? Mi piacerebbe molto farlo».

Poco tempo più tardi, Ciaikovski era al lavoro. Non inconsapevole, certo, dei problemi particolari che l'impresa, per lui nuova, di comporre musica sacra relativa al culto ortodosso, presentava. La tradizione musicale della chiesa russa aveva avuto una sua sistemazione nel Sinodo convocato a Mosca nel 1551 dallo zar Ivan IV il Terribile. Nei secoli seguenti, sul ceppo dell'antico patrimonio musicale sacro d'Oriente si erano, con maggiore o minore fortuna, innestate influenze d'origine europea, e soprattutto italiana. Fatto questo, che contribuiva a creare traduzioni musicali dei testi liturgici in molti sensi ibride; non ultimo perché il culto ortodosso bandiva rigorosamente l'impiego degli strumenti, limitando i mezzi a disposizione del compositore a una coralità «a cappella» che non sempre poteva conciliarsi con influenze stilistiche quali, mettiamo, quelle del melodramma italiano del Sette-Ottocento: per tacere della difficoltà di conciliare le parti musicate ex-novo, ossia quelle del coro, rappresentante l'assemblea dei fedeli, con le «lezioni» dei celebranti e dei diaconi, di necessità mantenute invariate rispetto alla tradizione liturgica. Di ciò Ciaikovski rendeva conto in una lettera alla von Meck, in aprile: «Se saprò serbare il giusto atteggiamento mentale, riuscirò a fare qualcosa per la musica da chiesa. In questa direzione per il compositore si apre un campo vasto e quasi inesplorato. Ammetto che c'è qualcosa di buono in Bortnianski, Berezovski [due compositori fra i più importanti nel campo della musica sacra russa, vissuti fra il 1745 e il 1777 il secondo, fra il 1751 e il 1825 l'altro], e così via. Ma quanto poco la loro musica si armonizza con lo stile bizantino nell'architettura e nell'iconografia, e con tutta la struttura del rito ortodosso!». C'era anche un problema pratico: la musica sacra era monopolio della cappella di corte, che aveva facoltà di proibire la stampa e l'esecuzione di nuove composizioni su testi liturgici. E difatti, non appena Jürgenson ebbe pubblicato la Liturgia di Ciaikovski, il direttore della cappella di corte, Nikolai Bakmetiev (che dal canto suo aveva introdotto nel repertorio sacro notevoli influssi stilistici di origine tedesca con le sue numerose composizioni liturgiche), si affrettò a riaffermare il suo monopolio appellandosi al capo della polizia di Mosca, generale Kozlov. Ne nacque un'inchiesta, che si risolse in favore di Jürgenson, ma nonostante ciò Kozlov tenne sotto sequestro ben 143 copie della partitura: ci volle l'intervento della Corte suprema per respingere definitivamente l'azione di Bakmetiev, e la causa si trascinò fino al maggio del 1881.

Nel frattempo Ciaikovski aveva fatto eseguire la Liturgia a Kiev, nella chiesa dell'Università, nel giugno del '79: il 30 dicembre dell'80 se ne dava un'esecuzione a Mosca, nel corso di una speciale sessione della Società musicale russa, sotto la direzione di Piotr Sacharov. «C'era un pubblico molto vasto», scrisse Ciaikovski al fratello Modest, «e sebbene fossero stati proibiti gli applausi vi fu una fortissima e inattesa ovazione». L'opera aveva incontrato ampi consensi; fra i quali risonò come una nota stonata il violento attacco che sul diffuso giornale «Rus» fu scagliato da un anonimo celato dietro la firma di «un vecchio ministro del culto moscovita», in realtà il vescovo di Mosca, Ambrogio, che accusava Ciaikovski di aver trasformato il testo della Liturgia di San Giovanni Crisostomo nel libretto di un dramma sacro, e condannava le sconvenienti manifestazioni di plauso. Nell'elegante conclusione del suo articolo, Ambrogio aveva però almeno qualche parola di benevolenza per il lavoro di Ciaikovski: «Credenti, potete dirvi fortunati, perché stavolta la Liturgia è capitata nella mani di un musicista di talento, ed è stata accolta con unanime consenso. Infatti l'idea di musicare un tal testo sarebbe potuta venire anche a un musicista di minor levatura: forse la prossima volta avremo una messa sacra di un qualche signor Rosenthal o Rosenblum, e ci capiterà di vederla accogliere con zittii e fischi».

In sostanza, al vescovo era dispiaciuta la profanazione del testo liturgico, fatto pretesto di un concerto pubblico. Meno comprensibili ci appaiono le critiche al significato dell'opera di Ciaikovski, accusata, al di là del riconoscimento del valore musicale, di teatralizzare il testo sacro. È indubbio che Ciaikovski, coerentemente alle impressioni confidate alla von Meck nella lettera su scetticismo e religione, abbia avvertito il fascino anche esteriore, spettacolare, del rito ortodosso. Il testo della Liturgia di San Giovanni Crisostomo, che è il rito eucaristico in uso presso la chiesa ortodossa nella maggior parte dei giorni dell'anno, ben si prestava a suggestioni di questo genere. L'elaborato rituale, ricco di simboli, lo sfondo scenografico della chiesa ortodossa, con la sua suddivisione fra il Santuario (immagine del cielo) e il nartece, il corpo principale dell'edificio, separati fra di loro dall'iconostasi, al centro della quale si aprono le Porte reali, l'articolazione responsoriale della lettura dei testi, con le dossologie, le benedizioni e il Vangelo, intonate dal sacerdote e le litanie del diacono in continua alternanza con il canto dell'assemblea, tutto ciò ovviamente colpiva in profondo la fantasia del compositore. Ma che nei quindici numeri in cui Ciaikovski articolò la sua partitura vi siano notevoli forzature teatralizzanti sarebbe difficile dire. Ciaikovski anzi si mostrò qui straordinariamente composto e contenuto: limitando il suo intervento alla creazione di un linguaggio corale prevalentemente mosso per blocchi accordali (con rare escursioni nel dominio di una più elaborata polifonia, per esempio all'«Alleluia» che conclude l'inno «Lodate Dio» al n. 14); dove indubbiamente si riscontra una fisionomia stilistica alquanto ibrida, derivante dalla fusione di un impianto melodico notevolmente legato alle melodie modali della tradizione ecclesiastica, e dunque veicolo di una certa ricerca arcaicizzante, e una concezione armonica sovente nutrita di umori tipicamente ottocenteschi. Qualche volta, indubbiamente, il dialogo fra le voci del celebrante o del diacono e le risposte corali assume un'evidenza drammatica e una dinamicità poco convenienti a un'idea statica e solennemente decorosa del rito: ma si tratta di un fenomeno analogo a quelli ricorrenti nella musica sacra - o su testi sacri - un po' in tutto l'occidente europeo nel corso del diciannovesimo secolo, e comunque meno vistoso rispetto ai modi in cui si svolge un'opera come il Requiem di Verdi, poco lontano nel tempo rispetto alla Liturgia di Ciaikovski. Il quale qui, comunque, dettò non solo un'opera preziosa e di intenti assai raffinati; ma dimostrò, contrariamente al cliché che allora come oggi troppo spesso si sovrappone alla sua immagine di musicista, quello dell'«occidentalizzato», del cosmopolita estraneo all'indagine nazionale di un Mussorgski, di saper cercare anche nelle radici culturali e spirituali della musica russa, con caratteri genuinamente riferiti a un humus antichissimo e puro da influssi esterni.

Dopo l'invocazione «Benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo...», il primo numero della partitura di Ciaikovski accoglie la cosiddetta «Grande litania»: una lunga serie di preghiere intonate dal diacono, cui risponde il «Signore, pietà» dell'assemblea, rappresentata dal coro. Al termine, la dossologia del celebrante. Il n. 2 corrisponde alla «Piccola litania», che si svolge nei medesimi modi, interrotta però ad accogliere la dossologia corale «Gloria al Padre». L'inizio del terzo numero corrisponde al cosiddetto «Piccolo ingresso»: il celebrante o i celebranti, uscendo dal santuario, recano il Vangelo; si cantano l'orazione del giorno o quella della festa titolare della chiesa. Il Trishaghion che conclude il terzo numero viene cantato prima dell'intonazione dell'Epistola. N. 4: dopo la lettura dell'Epistola il celebrante introduce quella del Vangelo, affidata al diacono sul pulpito. N. 5: un'invocazione precede la «Litania ampliata», che comprende la «Litania dei catecumeni», ossia di coloro che si preparano al battesimo; non potendo prendere parte all'Eucarestia, questi sono poi fatti allontanare dalla chiesa, e si ha la «Liturgia dei credenti» (i cristiani battezzati). Con il n. 6, si giunge all'equivalente dell'Offertorio nel rito romano. Il coro canta l'inno dei Cherubini: è, musicalmente, il momento più importante nella liturgia, e accompagna il cosiddetto «Grande ingresso», che vede celebranti e diaconi recare in processione il pane sulla patena e il vino nel calice della tavola del Santuario (Protesi) all'altare. Al settimo numero della partitura di Ciaikovski corrisponde la «Litania della Protesi», in cui si ha la solenne preparazione del pane e del vino eucaristici: alle parole «Pace a tutti voi» un sacerdote benedice l'assemblea dalle Porte reali. Al n. 8, sacerdoti e diaconi si scambiano il bacio di pace; si aprono le tende che celano la Porta santa che immette al Santuario, mentre si sbarrano gli ingressi della chiesa per impedire l'accesso dei non battezzati; viene recitato il Credo di Nicea. Con il n. 9 siamo all'«Anafora» (nel rito cattolico il Canone e il Communio): dopo il canto del «Sanctus» il celebrante ripete le parole di Cristo istitutive del Sacramento. Il n. 10 corrisponde al momento più solenne della liturgia: durante il canto «A te inneggiamo» il celebrante invoca l'opera dello Spirito Santo per la trasformazione del pane e del vino nella carne e nel sangue del Salvatore. N. 11: una serie di preghiere inudibili del celebrante e del diacono culmina, a voce alta, nelle parole «in modo particolare... » cui il coro risponde con l'inno «È veramente giusto», in lode della Madre di Dio, cui segue la preghiera per il Patriarca e per tutti gli uomini e le donne. Al n. 12, dopo un'altra preghiera, un «Amen» corale conclude l'Anafora. Il sacerdote benedice i fedeli, e le preghiere continuano. Il n. 13 vede il canto corale del «Padre nostro» con dossologia finale del celebrante, quindi una preghiera e l'Elevazione. Il coro «Lodate Dio nei cieli», che costituisce il quattordicesimo numero della partitura, accompagna l'inizio della Comunione: al vino contenuto nel calice viene aggiunta acqua calda, simbolo del fuoco dello Spirito Santo; quindi i sacerdoti assumono separatamente ambedue le specie dell'Eucarestia. L'ultimo numero segue invece la distribuzione dell'Eucarestia ai fedeli: il sacerdote imbeve il pane nel vino, quindi porge la Comunione ai fedeli dal calice, servendosi di un cucchiaio. Poi benedice l'assemblea: il calice viene ricondotto alla Protesi, mentre prosegue il canto degli inni da parte dei fedeli; ciò che resta del grande pane benedetto dal quale è stata tagliata la parte che è servita all'Eucarestia viene distribuito fra tutti i presenti, abbiano o meno preso parte alla Comunione (è l'antidoron, il «dono in luogo di un altro dono»). Il canto delle ultime benedizioni conclude lo svolgimento del rito.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 maggio 1982

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Ultimo aggiornamento 7 aprile 2017