Francesca da Rimini, op. 32

Fantasia sinfonica in mi minore dal V Canto dell'Inferno di Dante

Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 cornette, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, piatti, grancassa, tam-tam, arpa e archi
Composizione: Mosca, 7 ottobre - 17 novembre 1876
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 9 marzo 1877
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1878
Dedica: Sergej Ivanovic' Taneev
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Accanto alle sei Sinfonie, Cajkovskij si applicò numerose volte alla steesura di pagine orchestrali in sé compiute, quasi sempre legate all'idea della musica a programma. Nascono così, nel volgere di quasi trent'anni, l'Ouverture La bufera (1864), il Poema sinfonico Destino (1868), le due Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta (1869) e Amleto (1888), le Fantasie La tempesta (1873) e Francesca da Rimini (1876), la Sinfonia Manfred (1885) e la Ballata sinfonica Il Voivoda (1891). Non sfuggono i molti riferimenti letterari di questi brani, e neanche la loro ispirazione tragica, nel segno di un pessimismo esistenziale nel quale il compositore si rifletteva profondamente. Accanto a Shakespeare e Byron, è certo Dante Alighieri, con la Divina Commedia, la fonte letteraria più illustre a cui Cajkovskij ha attinto.

La prima idea di una composizione ispirata al celebre episodio del quinto canto dell'Inferno, che ha come protagonista Francesca da Rimini, risale all'inizio del 1876; fu allora che il critico musicale Henry Laroche suggerì all'autore di scrivere un'intera opera teatrale sull'episodio di Paolo e Francesca, indicandogli come librettista il collega critico Konstantin Zvantsjev. In un primo momento Cajkovskij si mostrò molto interessato al progetto; cambiò orientamento però quando Zvantsjev gli sottopose la sua idea di ispirare l'opera al modello del dramma wagneriano, verso il quale il compositore non mostrò mai propensione.

Fu il fratello di Cajkovskij, Modest, letterato e a sua volta librettista, che suggerì di basare sull'episodio dantesco non già un'opera ma un poema sinfonico. Nel corso di un viaggio in treno dal sud della Francia a Bayreuth - dove avrebbe assistito nell'agosto 1876 alla prima del Ring di Wagner - Cajkovskij rilesse il quinto canto dell'Inferno, e si convinse del progetto. Poche settimane più tardi ebbe inizio la stesura della partitura, che impegnò l'autore per sole sei settimane. Il 26 ottobre Cajkovskij poteva scrivere a Modest: "Ho finito il mio nuovo lavoro, una fantasia su Francesca da Rimini. L'ho scritto con amore e penso che l'aspetto dell'amore venga fuori abbastanza bene". La prima esecuzione, avvenuta il 9 marzo 1877 a Mosca, per i concerti della Società Musicale Russa sotto la direzione di Nicolai Rubinstein, venne accolta con entusiasmo.

Non stupisce che Cajkovskij fosse fortemente attratto dall'episodio di Francesca da Rimini, uno dei più celebri di tutto il poema dantesco. Esso prende spunto da una vicenda reale, il doppio assassinio compiuto da Gianciotto Malatesta nei confronti della moglie Francesca da Rimini e del suo stesso fratello Paolo Malatesta, per vendicare l'adulterio che aveva legato i due giovani; una vendetta che viene narrata da Dante con dovizia di dettagli appresi probabilmente nel corso dei suoi ultimi anni, trascorsi presso il signore di Ravenna, nipote di Francesca (il poeta aveva invece probabilmente conosciuto in gioventù Paolo Malatesta, quando costui era capitano del popolo a Firenze, nel 1282). Dante colloca i due infelici amanti nel secondo cerchio dell'Inferno, fra coloro che furono lascivi, consentendo al desiderio di vincere la ragione. La loro punizione consiste nell'essere preda di un vento tempestoso che li percuote incessantemente nella notte infernale; i due amanti sono i primi personaggi con cui Dante ha un contatto diretto; Francesca racconta al poeta la sua triste vicenda, di come la lettura degli amori di Lancillotto e Ginevra fosse galeotta per il primo bacio.

Il riferimento al canto di Dante è imprescindibile per comprendere il contenuto del poema sinfonico; lo stesso Cajkovskij premise alla partitura una breve spiegazione della situazione narrata dal poeta, nonché tutti i versi del racconto di Francesca. Il poema sinfonico si richiama dunque direttamente al contenuto del canto dantesco articolandosi in tre sezioni, secondo lo schema ABA: una prima sezione che evoca l'inferno e la tormenta infernale; una seconda sezione (Andante cantabile non troppo) dedicata al racconto di Francesca; e una terza sezione che vede il ritorno della tormenta. Nel rivestire di musica questo schema Cajkovskij creò una delle sue partiture più perfette sotto il profilo della costruzione e dell'orchestrazione, anche se forse non del tutto pari in quanto a originalità. Occorre riflettere che le visioni infernali e demoniache erano state il pane quotidiano di tutta quella corrente che nel corso del romanticismo aveva sostenuto la necessità di basare la composizione musicale su un programma letterario, filosofico, descrittivo e comunque extramusicale; basta riflettere sui finali della Symphonie fantastique (1830) di Berlioz o della leggenda drammatica La damnation de Faust (1846) o ancora sulle numerose partiture di Liszt, come le Sinfonie Dante (1857) e Faust (1857), o i vari Mephisto-Valzer. Ma forse più di tutti questi lavori servì come punto di riferimento per Cajkovskij una pagina pianistica del compositore ungherese, il settimo e ultimo brano della Deuxième Année dalle Années de Pèlerinage: Après une lecture de Dante (Fantasia quasi Sonata) (1856). È infatti in questa pagina che Liszt mette a fuoco, per descrivere gli abissi infernali, una serie di stilemi che verranno puntualmente ripresi, vent'anni dopo, da Cajkovskij: uso del cromatismo, intervallo di quarta aumentata, accordo di settima diminuita, progressioni armoniche.

Troviamo così nella Francesca da Rimini le tracce evidenti di questa influenza lisztiana, nella prima e ultima sezione della partitura, aperta da un Adagio lugubre, un'introduzione in cui si stagliano i minacciosi richiami degli ottoni, e che con una progressiva accelerazione si trasforma in Allegro vivo; colpiscono qui lo stile di strumentazione che alterna archi e fiati in modo incalzante, e il grande tema discendente a piena orchestra. È però nella sezione centrale che Cajkovskij si mostra soprattutto padrone dei suoi personalissimi mezzi espressivi; il racconto di Francesca ha inizio con il clarinetto solo, che da un recitativo passa a una nuda melodia, sostenuta dai pizzicati degli archi; diversamente strumentata, sempre con soluzioni di straordinaria inventiva e finezza, questa melodia ritornerà più volte, fino a trovare una intensa perorazione da parte degli archi; è la melodia dell'amore, e non è difficile vederne l'affinità concettuale con molte altre partiture dell'autore, come l'ouverture-fantasia Romeo e Giulietta e il secondo atto del balletto Il lago dei cigni. Una studiatissima dissolvenza conduce alla riepilogazione della sezione iniziale - a cui non sono mancate critiche di una certa pletoricità - e alla coda trascinante, che chiude la partitura allineando per nove volte un accordo dissonante prima di quello conclusivo, con una enfasi adeguata alle alte tensioni della partitura.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel febbraio del 1876 Ciaikovski si lasciò affascinare dall'idea di comporre un'opera (se l'avesse scritta sarebbe stata la sua quinta) tratta dall'episodio di Paolo e Francesca nel Canto V dell'Inferno dantesco. Il progetto non fu mai realizzato, ma com'era già successo sette anni prima con un altro soggetto di nobilissima ispirazione letteraria, quello di Romeo e Giulietta, si trasformò in quello di una composizione sinfonica «a programma», pare dietro un suggerimento di Modest Ciaikovski, il fratello del musicista, minore d'anni ma consigliere assai ascoltato e più tardi suo biografo. Già in luglio Ciaikovski attendeva al nuovo lavoro; poi gli capitò un'occasione unica, quella di recarsi a Bayreuth, come inviato della rivista moscovita «Notizie russe», per assistere alla prima rappresentazione della Tetralogia di Wagner al Festspielhaus, dalla quale com'è ovvio riportò profonda impressione, con tutto che l'arte di Wagner gli fosse sostanzialmente estranea. Al ritorno, sia pure spossato e depresso (un periodo di crisi che sarebbe durato a lungo, e al quale avrebbe trovato una medicina disastrosa, l'assurdo matrimonio che l'avrebbe portato di li a un anno sull'orlo del suicidio), potè dedicarsi di buona lena alla composizione della Francesca da Rimini: «Ho lavorato alla Francesca con grande amore, tanto da sperare che la rappresentazione dell'amore mi sia ben riuscita», scrisse poi in una lettera. Fra ottobre e novembre la Francesca da Rimini fu compiuta; la prima esecuzione si ebbe a Mosca il 9 marzo 1877. Nel frattempo Ciaikovski aveva cominciato a stringere con la ricca signora Nadezda von Meck quel curioso legame epistolare che per tredici anni gli sarebbe valso un sostegno morale e finanziario determinante per lo svolgimento della sua carriera; piena d'entusiasmo, l'invisibile protettrice salutava così la nuova composizione del suo musicista: «Com'è bella la Sua Francesca da Rimini! Esiste un altro che sia in grado di rendere meglio l'orrore dell'inferno e l'incanto dell'amore?»

Con la Francesca da Rimini Ciaikovski era giunto alla vigilia di quel biennio 1877-78 che fu per lui tanto fecondo di composizioni importanti quanto esistenzialmente infausto e tormentoso. Aveva già al suo attivo, fra le altre cose, tre Sinfonie, e fra poco avrebbe inaugurato con la Quarta (1877) il «corpo maggiore» della sua attività di sinfonista; stava per dare con l'Eugenio Onieghin (che non per caso presenta qua e là qualche affinità di vocabolario con la Francesca) il primo dei suoi capolavori operistici; sempre rimanendo in campo teatrale, era alle porte, con Il lago dei cigni, l'inizio della fortunatissima serie dei balletti ciaikovskiani. A trentasei anni Ciaikovski stava dunque aprendo il primo capitolo della sua maturità di compositore (quella umana, se mai in cinquantatre anni di vita sarebbe riuscito a conseguirla, gli sarebbe costata non poche e non lievi sofferenze): e proprio nella Francesca, si può dire, ci troviamo dinanzi la sua prima composizione di grande rilievo (sempreché non si voglia attribuire questo ruolo alla prima versione di Romeo e Giulietta, destinato a essere rimaneggiato nell'80, o al popolarissimo ma un po' scombinato Primo concerto per pianoforte); né è privo di significato, dal punto di vista della definizione della personalità e della poetica di Ciaikovski, il fatto che questo primo risultato importante sia giunto proprio con un pezzo di musica a programma. Per tutta la vita Ciaikovski amò dichiarare una sua fede in quella che altri avrebbero chiamato «musica assoluta», e una predilezione massima per Mozart. Questo ideale era forse più che altro una nostalgia; fatto sta che esso fu regolarmente contraddetto dalle stesse Sinfonie di Ciaikovski, tutte più o meno apertamente a programma, per quanto a grandi linee rispettose delle regole della grande forma, e soprattutto dalla non indifferente mole delle composizioni orchestrali esplicitamente programmatiche: dal giovanile poema sinfonico Il fato (1868) alla «ballata sinfonica» Il Voivoda (1891), passando per Romeo e Giulietta, Manfred e altre pagine oggi quasi dimenticate. Nel che è da vedere non solo un'adesione a un gusto imperante per tutto l'Ottocento con poderose propaggini anche nel nostro secolo, quanto il riflesso di un'invincibile vocazione rappresentativa, quella stessa che è alla base della fecondità di Ciakovski operista, e più ancora di una sorta di incapacità a trattenersi dal riversare nel fatto compositivo una piena di moti della fantasia di natura sovente extramusicale se non addirittura autobiografici.

La corrispondenza di Ciaikovski mostra, come s'è visto, quanto nella creazione della Francesca da Rimini fosse pesato questo tipo di suggestioni: che erano emotive prima ancora che letterarie (è evidente che a Ciaikovski non interessava tanto Dante quanto l'amore infelice e tragicamente concluso di Paolo e Francesca), e non prive anche di un aggancio visivo; tant'è vero che il 14 ottobre del '76, scrivendo a Modest, Ciaikovski indicava una precisa fonte d'ispirazione nella raffigurazione della «bufera infernal» compiuta da Gustave Dorè nella serie di illustrazioni per la Divina Commedia realizzata fra il 1861 e il 1868, e presto divenuta celeberrima. Ragion per cui nel seguire lo svolgimento del pezzo (che non a caso s'intitola «fantasia» e non «poema sinfonico»), non si deve tanto tentare di ricostruire un programma letterario, magari rifacendosi ai versi danteschi, quanto cercar di cogliere il senso poetico di un quadro fantastico. Quanto al linguaggio della Francesca, troviamo in esso un Ciakovski turgido, come molte altre volte privo di un sicuro controllo stilistico, ma certo estremamente originale e inconfondibile. Tant'è vero che è ben difficile ravvisare il senso delle parole che Ciaikovski stesso scriveva al suo allievo Taneiev poco dopo aver terminato la composizione della fantasia: «L'osservazione di Cui secondo la quale io avrei scritto la mia Francesca sotto l'impressione dei Nibelunghi di Wagner è assolutamente giusta. L'ho notato io stesso mentre lavoravo. Se non m'inganno, ciò è evidente soprattutto nell'introduzione. Non è strano che io subisca l'influenza di un'opera d'arte per la quale provo repulsione?». L'introduzione cui Ciaikovski si riferisce in questa curiosa autorecensione è quell'Andante lugubre - indubbiamente assai suggestivo - che precede senza interruzione un edificio formale abbastanza solido, articolato nella successione A-B-A'; con due episodi in tempo Allegro vivo dedicati prevalentemente a raffigurare la «bufera», ossia il turbine di vento che trascina senza posa i dannati del secondo girone («i peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento») a incorniciare l'ampio Andante cantabile ma non troppo nel quale si traduce in musica il racconto di Francesca. La musica della «bufera», con tutta la sua ricchezza di colori orchestrali e la sua tesa drammaticità, denuncia un po' troppo la sua parentela, specie in alcune formule ritmiche come il ricorrente scalpitare di trochei, con tutto l'arsenale delle raffigurazioni musicali di sabba, scene diaboliche eccetera largamente in uso nell'Ottocento da Berlioz in poi. Ma la parte centrale, a sua volta tripartita, resta fra le più belle e sentite creazioni di Ciakovski, in particolare per lo stupendo tema d'amore che ne sintetizza l'essenza lirica.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 13 gennaio 2007
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 aprile 1981

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Ultimo aggiornamento 23 novembre 2017