Quartetto per archi n. 2 in fa maggiore, op. 22


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Adagio (fa maggiore). Moderato assai
  2. Scherzo. Allegro giusto (re bemolle maggiore)
  3. Andante ma non tanto (fa minore)
  4. Finale. Allegro con moto (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: dicembre 1873 - Mosca 31 gennaio 1874
Prima esecuzione: Mosca, Bolscioj Sal Konservatorii, 22 marzo 1874
Edizione: Jurgenson, San Pietroburgo, 1876
Dedica: granduca Konstantin Nikolaevic Romanov
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Trasferitosi al Conservatorio di Mosca da Pietroburgo su invito di Nicola] Rubinstein nel 1866, Cajkovskij iniziò un periodo della sua vita apparentemente sereno e ricco di soddisfazioni, per la sua arte e nella vita mondana. Qualche anno dopo, nel 1877, la generosa ammirazione della ricca signora Nadezda von Meck (che, come è noto, egli non incontrò mai, parlandole solo per lettera) permise a Cajkovskij di congedarsi dal Conservatorio e di viaggiare per il mondo solo seguendo il suo genio creatore. Ma egli, angustiato da un'ansia psichica invincibile, da sospetti, rancori, scontento di sé e della sua difficile disposizione all'amore, non fu mai felice. Sì che il carattere della sua musica grande sta nell'esasperata intensità della sua malinconia e della sua tenerezza.

I tre Quartetti nacquero in quel periodo di eccezionale fervore creativo (1871-76), incoraggiato da riconoscimenti pubblici di ogni genere e perfino dalla dichiarata ammirazione, almeno per qualche anno, dei musicisti nazionalisti del gruppo detto dei Cinque (o «l'invincibile banda», Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Borodin, Balakirev, Cui, che con Cajkovskij fu particolarmente cordiale). Non per questo Cajkovskij rinunciò mai agli elementi di gusto europeo che caratterizzano la sua musica, neppure nelle sue pagine più esplicitamente 'nazionali'.

Ma quello che nella sua arte è inimitabile, che non è né russo né parigino, è la passione della sua fantasia emotiva sempre controllata dall'aristocratica eleganza dei modi e dell'eloquio. Per cui si comprende che la libera e compiuta espressione di un genio così fatto stia nel poema teatrale lirico (l'Onegin, soprattutto, ma non solo) e nel fiabesco (i balletti al completo), e non nelle 'regole' dei generi strumentali tradizionali: o almeno, si comprende che in essi l'arte di Cajkovskij si adatti in qualche momento alle convenzioni formali e agli effetti espressivi (caratteri assenti del tutto nei capolavori di teatro). E questo accade anche nei tre Quartetti.

Dopo il grande successo di pubblico del primo Quartetto (28 marzo 1871), tre anni dopo Cajkovskij tornò alla musica da camera con l'ottimistico slancio tipico della sua connaturata trepidazione. Della sua fatica fu poi particolarmente soddisfatto («È la cosa migliore che ho scritto») e lo dedicò al granduca Costantino. Ma il nuovo lavoro, più ampio e complesso del primo, più meditato anche, privo però dell'ingenua freschezza inventiva che l'altro aveva, pur con pagine altissime (tutto il terzo movimento!) è disuguale e a momenti artificialmente ambizioso e drammatico, per qualche eccesso di confessione emotiva. L'architettura generale, tuttavia, è originale, decisa, significativa: due tempi molto estesi, il primo e il terzo, di severo patetismo, seguiti ognuno da un movimento breve (nei due casi la durata è identica ed è quasi esattamente la metà del tempo precedente), agile e irrequieto.

L'Adagio, con cui il Quartetto si inizia, serve da 'introduzione' oscuramente inquieta, tormentata, linguisticamente ardita (per la fitta elaborazione cromatica in molti passi è addirittura indeciso l'impianto tonale). Il Moderato assai alterna una melodia agitata e sospesa con un canto disteso e rustico. L'elaborazione del materiale tematico è poi ricchissima.

Nello Scherzo l'irregolarità ritmica (sempre due battute in 6/8 seguite da una in 9/8) frena a sussulto, ogni tre battute, lo slancio del tema, fino a trasformare l'apparente serenità iniziale in ossessione. Il Trio, inserito nello Scherzo, è uno di quei temi a valzer, di cui Cajkovskij possedeva il segreto.

L'Andante ma non tanto, in fa minore (l'unico impianto in minore del Quartetto), è la pagina veramente sublime del lavoro, anzi è uno dei momenti eccelsi di tutta la musica di Cajkovskij. Su un tema a singhiozzo di invincibile tristezza si espande un grande poema sinfonico, in cui non sappiamo se ammirare di più la poesia in sé del dolore o il controllo formale (le 'variazioni' del tema nel centro, poi l'ultima esposizione del tema ridotto in frammenti!) di un materiale sentimentale così ardente.

Il Finale, nell'esigente forma di Sonata a Rondò, è sapientemente accademico, di ricercatezza un po' manierata.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1866, dopo quello di Pietroburgo, fu aperto il conservatorio di Mosca, e il suo primo direttore, Nicolaj Rubinstein, chiamò il giovane Ciaikovski alla cattedra di teoria musicale. Fino ad allora la professione di musicista non si era appoggiata in Russia ad istituzioni ufficiali, pertanto i titolari di cattedra si ritennero obbligati a produrre in aderenza alle forme consacrate dell'arte occidentale. I primi saggi sinfonici e quartettistici di Ciaikovski, e così anche la sua prima opera lirica, videro la luce durante i suoi anni di professore a Mosca. Il secondo quartetto fu composto durante le vacanze natalizie del 1873. Ciaikovski lo scrisse di getto, con una facilità che la sua natura nevrotica conobbe raramente. Ed in particolare il compositore osservò che il primo tempo: «era quanto di più sentito ed intimo egli avesse mai scritto».

Questo primo tempo è introdotto da un Adagio, dove il cromatismo tristaniano è trasferito nel sospiro sentimentale proprio del Nostro, e il primo tempo vero e proprio è condotto secondo il principio tipicamente ciaikovskiano dell'idea fissa. Difatti il secondo tema è piuttosto una amplificazione retorica dei primo che l'elemento antagonista prescritto dalla prassi dialettica della forma sonata. Nello Scherzo è specialmente notevole l'irregolarità metrica delle figure, ed esse sospingono il ritmo di danza alla leggerezza del pianismo salottiero. L'Andante è riservato alla espansione melodica, ed il Finale in forma di Rondò cela dietro l'apparenza discorsiva elaborati passi contrappuntistici.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 novembre 2007
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 gennaio 1975

I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 23 settembre 2015