Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Andante sostenuto - Moderato con anima
  2. Andantino in modo di canzona
  3. Scherzo. Pizzicato ostinato - Allegro
  4. Finale. Allegro con fuoco
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, piatti, grancassa, triangolo, archi
Composizione: dicembre 1876 - Clarens, 7 gennaio 1878
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 22 febbraio 1878
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1880
Dedica: «al mio migliore amico» (Nadezda Filaretovna von Meck)
Guida all'ascolto 1

Tra il dicembre 1876 e gennaio 1878 Petr Ilic Cajkovskij compone la sua Quarta sinfonia in fa minore, op. 36. Questo periodo denso di avvenimenti che hanno esiti contrastanti sul suo labile sistema nervoso lo inducono alla stesura di una composizione in cui dare libero sfogo ai suoi sentimenti.

Verso la fine del 1876 ottiene tramite il direttore Nikolaj Rubinstein, la commissione per la composizione di alcune pagine per violino e pianoforte destinate a Nadejda von Meck.

Questa è la vedova di un ingegnere arricchitosi con le costruzioni ferroviarie, che le aveva lasciato un'immensa fortuna. Saggia amministratrice delle proprie sostanze e grande appassionata di musica diviene una mecenate della vita musicale russa sostenendo tra gli altri il direttore Rubinstein ed avendo ospite per un paio d'anni il giovane Debussy in qualità di lettore di musiche al pianoforte.

Il rapporto tra la Meck e Cajkovskij ha inizio con una lettera da parte della ricca vedova datata 30 Dicembre 1876 e dura immutato fino al 1890 quando si interrompe bruscamente senza che i due, per tacito accordo, si siano mai conosciuti di persona.

L'evento traumatico per Petr Ilic Cajkovskij è invece il suo matrimonio con la sua allieva Antonina Ivanovna Milukova celebrato il 18 luglio 1877. Il compositore è ossessionato dai risvolti sociali della sua omosessualità (ricordiamo che era omosessuale anche il fratello Modest) e cerca una sistemazione che possa in qualche modo coprire questa sua tendenza. La soluzione gli sembra venire dalla dichiarazione d'affetto contenuta in una lettera della sua allieva. Il matrimonio si rivela per Cajkovskij, una tragedia fin dal primo giorno. Dopo tre settimane fugge da Mosca e dopo aver riparato nella tenuta della sorella Sasa, ottiene un insperato aiuto economico dalla baronessa von Meck che gli permette di intraprendere un lungo viaggio in Europa.

L'aiuto per il viaggio si trasforma poi in un appannaggio annuo di 6.000 rubli che unitamente al sostegno costante della von Meck consentono a Cajkovskij di dedicarsi a tempo pieno alla composizione mentre nella sua fuga di città in città, conclude l'opera Evgenij Onegin e la Sinfonia n. 4 in fa minore che aveva iniziato prima dello sciagurato matrimonio.

Tutta la corrispondenza di quel periodo tra Cajkovskij e la von Meck è densa di riferimenti alla sinfonia che viene spesso citata come "la nostra sinfonia".

La Quarta sinfonia in fa minore viene presentata a Mosca il 10 febbraio 1878 sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein con un tiepido riscontro da parte del pubblico. La baronessa von Meck che ha assistito all'esecuzione, chiede a Cajkovskij una spiegazione sui contenuti della composizione e questi in una lettera del 17 febbraio gli fornisce un'interpretazione programmatica che costituisce un documento utile anche se non decisivo, per la comprensione della Sinfonia.

Egli premette: «Mi chiedete se la musica ha un programma definito. In generale, se mi rivolgono questa domanda riguardo a una composizione sinfonica, rispondo di no. E in verità non è una domanda cui sia facile rispondere. Come è mai possibile esprimere quelle sensazioni che proviamo allorché scriviamo un'opera strumentale che non ha in sé alcun soggetto definito? E' un processo puramente lirico, una confessione musicale dell'anima, ove pullulano tante cose e che secondo la propria essenza si riversa in suoni, appunto come il poeta lirico si effonde in versi». Poi, però, aggiunge: «La nostra Sinfonia ha un programma abbastanza definito perché si possa esprimere a parole; a voi sola desidero - e posso - dire il significato dell'opera nell'insieme e nelle singole parti. Voi capirete che tenterò di farlo soltanto per sommi capi. L'introduzione è il germe dell'intera Sinfonia, l'idea principale dalla quale dipende tutto il resto. Il tema di apertura è il Fatum, la forza inesorabile che impedisce alle nostre speranze di felicità di avverarsi; che sta in agguato, gelosamente, per impedire che il nostro benessere e la nostra pace possano diventare piene e senza nubi: una forza che, come la spada di Damocle, pende perpetuamente sul nostro capo e di continuo ci avvelena l'anima. Questa forza è ineluttabile e invincibile. Con il Moderato con anima la disperazione e la tristezza diventano più forti, più cocenti. Non sarebbe più saggio distogliersi dalla realtà e immergersi nel sogno? Oh, gioia! Alfine appare un dolce e tenero sogno. Una fulgida, soave immagine umana aleggia dinanzi a me, mi chiama. Come bello e remoto, ora, appare il primo ineluttabile tema dell'Allegro! A poco a poco il sogno avvolge l'anima. Obliata è la tristezza, la disperazione. Ecco la felicità! Ma no, era .solo un sogno e il Fato ci ridesta. Così la vita è un costante alternarsi di aspra realtà, di sogni evanescenti, di fuggevoli visioni di felicità. Non vi è alcun porto. Si naviga su quel mare finché esso vi sommerge e vi fa affondare nella sua profondità. Questo, approssimativamente, è il programma del primo tempo. Il secondo tempo esprime un'altra fase di sofferenza. E' la malinconia che ci invade a sera, allorché siamo soli, stanchi del lavoro, e cerchiamo di leggere, ma il libro ci sfugge di mano. I ricordi si affollano in noi. Come sono dolci quelle memorie di giovinezza, ma come è triste che tante cose siano state e siano trascorse per sempre! Si rimpiange il passato, eppure non si vorrebbe ricominciare daccapo la vita, ci si sente troppo stanchi. E' più piacevole riposare e rivolgere lo sguardo all'indietro, ricordando tante cose. C'erano momenti felici, quando il giovane sangue scorreva caldo e la vita esaudiva ogni nostro desiderio. C'erano anche momenti difficili, perdite irreparabili, ma sono ormai lontani. E' triste e pur dolce tuffarsi così nel passato. Il terzo tempo non esprime sensazioni definite, è piuttosto una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia quando si è bevuto del vino e si avvertono i primi segni dell'ebbrezza. L'anima non è ne gaia ne triste. Non si pensa a nulla: l'immaginazione ha libero corso e comincia, non si sa perché, a tracciare strani disegni. D'improvviso si presenta allo spirito la visione di contadini un po' brilli, una breve canzone di strada risuona. Lontano, passa un corteo militare. Le immagini sono assolutamente sconnesse, come quelle che fluttuano nella mente allorché ci si addormenta. Non hanno nulla a che fare con la realtà, sono strane, selvagge, confuse. Il quarto tempo: se veramente non trovi motivo di gioia in te stesso, guardi gli altri. Va' in mezzo al popolo, vedi come esso sa abbandonarsi alla gioia. Una festa rustica è descritta. Non appena però hai dimenticato te stesso in questa visione della gioia altrui, ecco che il Fato inesorabile riappare a ricordarti di te stesso. Ma gli altri sono indifferenti verso di te; non volgono neppure il capo, non ti guardano neppure, non si accorgono che tu sei solo e triste. Ah, come si divertono! E come sono fortunati di essere governati da sentimenti così semplici e immediati! Dà la colpa a te stesso e non dire che tutto il mondo è triste; esistono gioie semplici e pur forti. Allegrati nella felicità altrui e la vita sarà sopportabile. Questo, cara amica, è tutto ciò che posso dirvi della Sinfonia. Certo, quello che ho detto non è ne chiaro ne compiuto. Ciò deriva dalla intrinseca natura della musica strumentale, che non si presta all'analisi particolareggiata. Dove le parole cessano, là comincia la music; come diceva Heine». Un post scriptum chiude la lettera: «Proprio ora, mettendo in busta la lettera, l'ho riletta e ho inorridito dinanzi al programma confuso e inesatto che vi mando. E' la prima volta nella mia vita che ho tentato di trasportare idee e immagini musicali in parole, e non ci sono certo riuscito. Tutto l'inverno passato ho sofferto di una terribile ipocondria: la Sinfonia è un'eco veritiera di quello che provavo. Ma non è più di un'eco. Come riuscire a tradurre ciò in parole chiare e definite? Già ho dimenticato molte cose di quel periodo, ho solamente un ricordo dell'orrore e dell'intensità di ciò che provavo».

La Quarta sinfonia in fa minore, op. 36 si apre, Andante sostenuto, con un'Introduzione affidata ad una fanfara di fiati in cui si presenta immediatamente, il tema del Fato esposto tragicamente (quasi uno squillo di trombe del giudizio). Il tema esposto inizialmente da corni e fagotti si estende a tutti i fiati fino a spegnersi sull'indugiare di clarinetti e fagotti. Compare il primo tema, Moderato con anima (il ritmo passa da 3/4 a 9/8 in movimento di Valse). Ha un carattere incerto e inquieto che riflette lo scoramento derivante dalla tirannia del Fato con un'articolazione ritmica piena di sincopi e contrattempi e una linea melodica discendente, intrisa di sapido cromatismo. Un inciso dei legni dilata l'ultima frase del tema con un'efficace progressione in crescendo. La frase del tema passa poi agli archi sostenuti dagli ottoni rinforzati dai timpani, quindi si chiude questa parte con una discesa melodica che sposta il tema nel registro più grave. Ora la frase è trattata come in uno Sviluppo anticipato finché con una progressione, ritorna in fortissimo ai violini che la ripetono tre volte. Il discorso si arricchisce col contrappunto dei fiati che poi riprendono il tema, drammaticamente dilatato in progressione, per poi passarlo nuovamente ai violini facendolo girare disperatamente a vuoto su se stesso. L'atmosfera si fa più serena e la prima cellula del tema scorre tra clarinetti e fagotti finché dopo questo passaggio ponte, appare il secondo gruppo tematico. Il clarinetto in piano, espone una melodia piena di fascino, Moderato assai quasi Andante, intensamente malinconica (simbolo del sogno in cui sfuggire dalla realtà), contrappuntata dagli archi e con l'eco di flauti e fagotti. Nei violoncelli entra un controcanto di grande bellezza, che si espande senza interrompere il tema. I gruppi strumentali si scambiano con leggerezza questi due temi finché ai violini completati dai legni, si presenta una nuova idea di un terzo tema che in una continua progressione circola tra i vari gruppi di strumenti (i sogni sembrano avverarsi). Il successivo Moderato con anima, è la Codetta. Una breve elaborazione del terzo tema che, con un crescendo di grande effetto, termina su un poderoso ostinato carico di tensione, e sfocia nella terribile ripresa del tema del Fato che dà inizio allo Sviluppo. Ora il terzo tema, stenta ad espandersi creando un'aspettativa che si appaga solo con la sua elaborazione. Nei violini entra un tema che, pur partendo come controcanto, assume ben presto le redini del discorso. Questa frase cantabile è simile ma non uguale al secondo tema ed è trattata con una progressione travolgente e appassionata che accentua ad arte la tensione. Quando la progressione in un continuo crescendo, raggiunge il suo acme torna con grandissimo effetto, l'ineluttabile tema del Fato. Questo è il punto di massima densità contrappuntistica dello Sviluppo, dove il conflitto tematico si fa più intenso. Il tema del Fato è ribadito con ostinazione, in modo drammatico, sull'addensarsi tempestoso dell'orchestra gonfia di linee ascendenti e discendenti, fino al ritorno in fortissimo del primo tema dilatato ritmicamente su un tesissimo controcanto dei tromboni: è la Ripresa. Rispetto alla sua Esposizione iniziale, qui il primo tema è molto più compresso e senza Sviluppo alcuno. La Ripresa del secondo tema, del successivo terzo tema e della Codetta rispecchiano invece fedelmente la loro esposizione. L'ostinato degli archi gravi prepara con l'inevitabile ritorno del tema del Fato, l'inizio della Coda. Al calare della tensione appare nei legni una nuova serena frase cantabile che funge da controcanto al ritmo ostinato degli archi che si scambiano cellule del terzo tema. Nel successivo Molto più mosso, che viene ripetuto due volte, il terzo tema è combinato col tema del Fato in un crescendo parossistico. Il crescendo prosegue portando ad un'ultima citazione del primo tema (in fortissimo nei violini) ed alla chiusura del primo movimento in tempo Più mosso. Allegro vivo.

Il secondo movimento (Andantino in modo di canzona) si apre con un tema dal carattere vagamente melanconico che ci introduce in un'atmosfera espressiva tipicamente slava: nel «sentimento di malinconia che ci prende alla sera». La melodia esposta dall'oboe sul pizzicato degli archi, passa ai violoncelli sul controcanto dei legni, e poi agli archi con una breve frase che viene ripetuta in progressione, arricchendosi sempre più. Dopo la ripetizione del primo tema ora esposto dal fagotto, nasce un nuovo tema dal carattere un po' più vivace, Più mosso, affidato ai legni. Dilatato in modo grandioso dai violini esso si spegne discendendo a poco a poco. Un breve passaggio cromatico dei violoncelli ci riporta al tono iniziale. I violini riespongono il primo tema e poi lo passano ai legni e agli archi che amplificano la sua frase conclusiva. Il fagotto che espone nuovamente il primo tema ci avvia verso la conclusione del movimento in un clima di dolce mestizia.

Il tema del Fato

Il tema del Fato nelle prime sei battute della sinfonia

Lo Scherzo: Allegro. Pizzicato ostinato, costituisce il terzo movimento della Sinfonia. Ha la forma classica dello Scherzo con Trio con l'aggiunta di una sostanziosa Coda, ed è tutto basato sull'originale scelta timbrica di affidare le vivaci idee melodiche (o meglio ritmiche) al pizzicato degli archi. Cajkovskij ha scritto nella già citata lettera alla Meck: «una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia». Il movimento inizia con un guizzante disegno, pieno di sincopi e contrattempi eseguito in pizzicato dagli archi. Sono due frasi veloci che si ripetono a due a due passando con rapidità dagli archi acuti ai gravi in un costante impulso ritmico. La linea melodica passa poi agli archi gravi per tornare con un crescendo, alle parti acute con la ripresa della seconda frase. Torna quindi la frase di apertura che ci porta direttamente al Trio. In tempo Meno mosso, (da notare l'assenza degli archi per tutta la durata del Trio) l'oboe attacca con una lunga nota fissa prima di iniziare il tema, che è una sorta di melodia di sapore clownesco, prima dilatata in progressione tra gli altri legni e poi riproposta da flauti e ottavino. In Tempo I, timpani e ottoni, su aguzze note staccate, propongono un nuovo tema sul quale si intromette, scanzonato, il clarinetto riaffermando la melodia del primo tema del Trio seguito dagli altri legni finché riappaiono gli archi. Essi ripropongono sempre in pizzicato, tutta la prima parte dello scherzo. Tornano i legni per imitare in progressione gli incisi degli archi, poi per inserire frammenti del Trio ripetuti ostinatamente fino a ricostruirne il tema iniziale. Gli ottoni ripropongo il loro tema del Trio portandoci alla conclusione dello Scherzo.

Siamo al Finale: Allegro con fuoco. Cajkovskij ci trasporta in un'atmosfera di gioiosa festa popolare: «se non trovi motivo di gioia in te stesso, guarda agli altri. Vai tra la gente...». La forma di questo movimento è un rondò al cui interno un tema è variato e sviluppato. Un paio di note lunghe, seguite da un turbinio di rapide scalette discendenti suonate a piena orchestra, aprono in modo scintillante il Finale: è la parte A del rondò. Su un lungo pedale dei corni, i legni intonano su note ribattute e interrotti dalle scalette degli archi, il tema B (quello che verrà variato e sviluppato). Il compositore usa qui un noto canto popolare russo: “Una betulla stava in un campo”. La cellula conclusiva del tema è ripetuta in progressione e dilatata, fino alla ricomparsa del tema A (variato però nella sua parte conclusiva). Entra una nuova festosa idea melodica (il tema C del rondò) che, dopo la ripetizione, sull'onda dell'espansione dell'ultima cellula della frase viene proseguita da una serie di scale discendenti affidate ai tromboni che sfociano in una frase in fortissimo dei violini. Sembra portare chissà dove le nostre aspettative, mentre invece ha un carattere conclusivo. Torna il tema B con l'inizio del suo primo Sviluppo in cui è trattato come una sorta di tema con variazioni. Viene esposto dai legni prima su un semplice pizzicato degli archi, poi su rapide scalette degli stessi. Passa poi ai corni sul turbinio degli archi che aumenta quando passa a tromboni e tuba. Un frammento di questo tema affidato ai legni ha ora un accattivante sviluppo contrappuntistico. Seguono una serie di vorticose scale discendenti, trattate in progressione tra archi e legni, che preparano la Ripresa del tema A. Ritornano il tema C e la sua frase di completamento. Ricompare, sereno, il tema B e dopo la sua quarta ripetizione inizia un suo secondo Sviluppo. La cellula iniziale è trattata in imitazione e in progressione, poi subisce una prima diminuzione ritmica e, continuando la progressione, con imitazioni tra parti gravi e acute, viene ulteriormente diminuita. Tromboni e tuba da una parte, trombe e corni dall'altra, in due gruppi di eguale forza sonora si contrappongono con un gesto sonoro di grande effetto drammatico. Si giunge a una tensione parossistica che esplode col ritorno, terribile e tragico, del tema del Fato. Sul suo lento spegnersi, modulando, si prepara l'inizio della Coda. Crescendo a poco a poco ritorna il tema C, quello della canzone. Sembra con questo che l'autore voglia dire: «Vai tra la gente ... esiste una gioia semplice ma profonda ... La vita merita ancora di essere vissuta» e riportarci nella festosa atmosfera con cui si era aperto il movimento. La melodia si forma a poco a poco, correndo tra le varie sezioni dell'orchestra fino a sfociare in una serie di scale discendenti che, trattate, al solito, con una vivace progressione, portano al gioioso ritorno del tema A. Torna il tema C completo della sua seconda parte Si giunge così alla ripetizione in progressione dell'inciso iniziale del tema B ed alla parte finale della Sinfonia che si chiude con una veloce e travolgente conclusione, un po' chiassosa ma senz'altro efficace.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Lo spazio di tempo che abbraccia la genesi della Quarta Sinfonia (dicembre 1876 - gennaio 1878; prima esecuzione a Mosca il 10 febbraio 1878, direttore Nikolaj Rubinštejn) coincise per Čajkovskij con un periodo di acuta crisi esistenziale. Temendo che la propria omosessualità divenisse causa di emarginazione sociale, Čajkovskij decise di accogliere le insistenti richieste di matrimonio di un'ex-allieva, Antonina Ivanovna Miljukova, e la sposò nel luglio del 1877. L'esito dell'unione fu catastrofico: dopo sole tre settimane Čajkovskij, sconvolto, abbandonò la moglie a Mosca per rifugiarsi nella tenuta di Kamenka, residenza dell'amata sorella Saga. Impegni autunnali presso il conservatorio di Mosca lo costrinsero a tornare in città, con il risultato di provocare in lui un tracollo psichico che sfociò in un tentativo di suicidio compiuto scendendo nelle gelide acque della Moskova. Sfuggito alla morte e ottenuto il congedo di un anno dal conservatorio, Čajkovskij intraprese un lungo viaggio nell'Europa occidentale che lo portò a soggiornare anche in varie città d'Italia, mentre in patria il fratello si occupava delle pratiche per la separazione.

Unico raggio di luce in quei mesi di tenebra fu l'avvio del carteggio con una fervente ammiratrice, la baronessa Nadezda von Meck, ricca vedova e mecenate che per ben quattordici anni - senza mai conoscerlo di persona - corrisponderà in forma epistolare con il compositore. Costei gli elargí un non indifferente appannaggio per il periodo del viaggio, poco dopo trasformato in una pensione annua affinché potesse dedicarsi esclusivamente alla composizione; fornendogli in quel frangente anche un sostegno spirituale che consenti a Čajkovskij, nella sua fuga di città in città, di riprendere il lavoro a due composizioni iniziate prima del matrimonio: l'opera Evgenij Onegin e appunto la Quarta Sinfonia in fa minore.

Le lettere alla von Meck, alla quale quella che vi viene definita «la nostra Sinfonia» fu dedicata con vivissima riconoscenza ancorché non con esplicita menzione (sul frontespizio del lavoro si legge, per volontà espressa dalla dedicataria, senza cenno alcuno al nome, «Al mio migliore amico»), sono ricche di riferimenti alla partitura della Quarta. Una in particolare merita attenzione: scritta il 17 febbraio 1875 (cioè una settimana dopo la prima esecuzione, a cui la signora von Meck era stata presente, mentre l'autore si trovava a Sanremo), questa lettera contiene su richiesta dell'amica epistolare stessa una interpretazione programmatica della sinfonia che dovette far molto colpo sulla generosa mecenate e che costituisce per noi un documento utile (non decisivo) per la sua comprensione.

«Nella nostra Sinfonia il programma c'è, esiste cioè la possibilità di tradurre in parole ciò che essa tenta di comunicare, e a Voi, solamente a Voi, posso e voglio mostrare il significato sia dell'insieme sia dei singoli movimenti. Naturalmente posso farlo solo nelle linee generali. L'introduzione è il germe di tutta la Sinfonia, indubbiamente l'idea principale [segue nella lettera l'esempio musicale delle prime sei misure dell'«Andante sostenuto», con il motto della fanfara degli ottoni]: questo è il Fato, forza nefasta che impedisce al nostro slancio verso la felicità di raggiungere il suo scopo, che veglia gelosamente affinché il benessere e la tranquillità non siano mai totali e scevri da impedimenti, che, come una spada di Damocle, pende sulla testa e avvelena l'animo in modo infallibile e perenne. E' invincibile, non lo domini mai. Non resta che rassegnarsi e soffrire inutilmente [primo tema del «Moderato con anima», violini primi e violoncelli in ottava]. Il sentimento di disperazione e di sconforto si fa più forte e più cocente. Non sarebbe meglio voltare le spalle alle realtà e immergersi nei sogni? [secondo tema, «Moderato assai, quasi Andante»: clarinetto solo con arabeschi dei flauti, poi fagotto]. Oh, gioia! Almeno il sogno si è rivelato dolce e tenero! Una forma umana luminosa e benefica, balenando, sospinge chissà dove [melodia dei violoncelli, successivamente dei flauti, esposta come controsoggetto al secondo tema, poi sviluppata come terzo tema]. Che bello! Come suona remoto e importuno adesso il primo tema dell'Allegro [evidentemente Cajkovskij intende il tema-motto dell'introduzione, allorché si ripresenta per collegare la fine dell'esposizione con l'inizio dello sviluppo]. Ma i sogni a poco a poco avvolgono interamente l'anima.Tutto ciò che è cupo e mesto viene dimenticato [sezione dello sviluppo, che combina i due temi principali del primo movimento]. Eccola, eccola la felicità! No! Erano sogni e il destino ci riscuote [riapparizione della fanfara al culmine dello sviluppo e poi, dopo la ripresa, all'inizio della coda che conduce alla stretta finale]. Cosi tutta la vita è un'alternanza ininterrotta di pesante realtà, sogni fugaci e fantasie di felicità... Non c'è approdo. Vaga per questo mare, finché esso non ti avvolge e ti inghiotte nelle sue profondità. Ecco, all'incirca, il programma del primo movimento. Il secondo esprime un'altra fase della sofferenza: il sentimento di malinconia che si presenta la sera, quando siedi solo, stanco del lavoro, prendi un libro, ma ti cade dalle mani. I ricordi si affastellano. E' triste che tante cose siano già state e siano passate; è piacevole ricordare la giovinezza. Ti duole che il tempo sia trascorso e non desideri ricominciare una nuova vita. La vita ti ha stancato. E' piacevole riposarsi e guardarsi intorno. Quanti ricordi! Ci sono stati momenti di gioia, quando il sangue pulsava giovane e la vita appagava. Ci sono stati momenti difficili, perdite insostituibili. Ma tutto questo svanisce lontano. Ed è triste, ed è dolce sprofondarsi nel passato. Il terzo movimento non esprime sentimenti definiti. Sono arabeschi capricciosi, visioni sfuggenti che attraversano l'immaginazione, come quando hai bevuto un po' di vino e senti l'effetto della prima fase dell'ubriachezza. Lo spirito non è allegro, ma neanche triste. Non pensi a niente: dai spazio all'immaginazione, che si mette a disegnare strani ghirigori... Tra questi, improvvisamente, ti ricordi un'immagine di contadini che gozzovigliano e una canzonetta di strada... Poi, in lontananza, una parata militare che passa. Sono quelle immagini incoerenti che ti vengono in niente quando prendi sonno. Non hanno alcun rapporto con la realtà: sono strane, assurde e sconnesse... Quarto movimento. Se non trovi in te stesso motivi di gioia, guardati intorno. Cammina tra la gente. Guarda come questa riesce a rallegrarsi, abbandonandosi completamente alle sensazioni di gioia. Quadro di una celebrazione popolare in un giorno di festa. Non appena sei arrivato a dimenticarti di te stesso e ti sei entusiasmato per lo spettacolo di tanta allegria, ecco che il destino instancabile torna di nuovo a ricordarti che esiste [motivo del Fato]. Ma gli altri non si occupano di te. Non si sono nemmeno voltati, non hanno gettato neanche uno sguardo su di te e non si sono accorti che sei solo e triste. Oh, come sono allegri! Come sono fortunati a possedere soltanto sentimenti semplici e diretti! Rimprovera te stesso e non dire che tutto al mondo è triste. Esistono gioie semplici, ma potenti. Rallegrati dell'allegria altrui. Malgrado tutto, si può vivere. Ecco, mia cara amica, tutto ciò che posso spiegarVi della Sinfonia».

Queste parole, anche pensando alla data in cui furono scritte, hanno tutta l'aria di essere una traduzione in immagini verbali di un fatto musicale già compiuto e autosufficiente (non per nulla l'autore aggiungeva in calce alla lettera: «Naturalmente le mie parole sono, sotto certi aspetti, oscure e non esaurienti. La caratteristica propria della musica strumentale è quella di non poter essere facilmente spiegata a parole. Dove queste vengono meno, bisogna lasciar parlare la musica»). Non si può però non rilevare nella tessitura della Quarta Sinfonia la presenza di un contenuto tragico e appassionato di chiara origine autobiografica. Appare evidente che il motto iniziale della fanfara, che ritorna a intervalli regolari nel primo movimento e poi ancora nell'epilogo dell'ultimo, sia il sigillo dell'intero lavoro: un vero e proprio segnale di morte. Attorno a questo si dispongono, con caratteri contrastanti, le tre figure tematiche dell'esposizione del primo movimento, che danno vita tonalmente a tre sezioni distinte. Ciò comporta un percorso tonale del tutto inconsueto, insieme innovativo e simmetrico. Ogni tema viene esposto una terza minore sopra al precedente, vale a dire: fa per il primo, la bemolle per il secondo, do bemolle per il terzo. Ma do bemolle enarmonicamente equivale a si, e quindi la catena delle terze prosegue fatalmente passando da si a re nello sviluppo, per tornare in perfetta circolarità da re a fa nella ripresa. Il fatto che l'esposizione sia riassunta in forma abbreviata nella ripresa comporta una nuova funzione alla coda, di cui Čajkovskij rovescia completamente il senso facendone un episodio che, anziché suggellare un'arcata formale già completamente definita, ne rappresenta invece un nodo nuovo e cruciale. L'irrompere del tema del Fato al termine della ripresa è il brusco avviso che il movimento non sta giungendo a una conclusione rapida.

Dopo un primo tempo di tale audacia formale e di cosí forte intensità emotiva, i movimenti centrali alleggeriscono la tensione e costituiscono una fase di respiro. Entrambi hanno struttura ternaria. L'«Andantino in modo di canzona» è un intermezzo lirico: aperto da una cantilena dell'oboe ripresa dai violoncelli, ha una parte centrale basata su brevi iterazioni di incisi elementari di due misure continuamente riarmonizzati e si conclude con la ricapitolazione (questa volta ai violini, poi al fagotto) della sezione principale. Lo Scherzo è un saggio virtuosistico di colore orchestrale, del cui «nuovo effetto strumentale» Čajkovskij andava particolarmente fiero. La prima parte è suonata dai soli archi, sempre pizzicato; nel Trio entrano prima i legni da soli, poi gli ottoni sempre da soli: dopo la ripresa del pizzicato ostinato, una coda fonde i due principi tematici e strumentali, di modo che i tre gruppi si rispondono l'un l'altro con brevi frasi coronate dalle evoluzioni dell'ottavino. La raffigurazione di un'allegra festa popolare del finale («Allegro con fuoco») propone di nuovo una pagina formalmente impegnata, dove la distribuzione dei temi, che si ispira alla forma del rondò, è in evidente contrasto con la complessità della strategia tonale. Čajkovskij impiega qui, come sorta di secondo tema, un famoso canto popolare russo, Stava una betulla in un campo, sottoponendolo a una serie di variazioni che si intersecano con la vivace compattezza spettacolare del tema d'esordio. Prima dell'ultima apparizione di questo si ripresenta, con tutta la sua forza fatale («ecco che il destino instancabile torna di nuovo a ricordarti che esiste»), il motto della fanfara, che conduce al tumultuoso epilogo in fa maggiore. Esso annuncia ora un altro mondo, come un'eco del destino di morte che ridiventi vita.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

Nella seconda metà dell'Ottocento scrivere sinfonie era diventato problematico per molti compositori, intimoriti da una parte dai nove capolavori beethoveniani, che incutevano rispetto e soggezione enormi, e dall'altra sconsigliati dalle nuove concezioni estetiche della "musica dell'avvenire", che proclamavano la sinfonia classica superata dalla musica a programma e dal poema sinfonico. Sono emblematiche di questa difficoltà le lunghe e tormentose esitazioni che precedettero e accompagnarono la composizione della prima sinfonia di Brahms. Invece Pètr ll'ic" Cajkovskij non ebbe affatto un rapporto sofferto con la sinfonia e a soli ventisei anni, nel 1866, mise in cantiere la prima, che fu eseguita in pubblico nel 1868. Nel decennio successivo il suo interesse per questo genere musicale fu costante: nel 1873 presentò la sua Seconda Sinfonia, nel 1874 la versione ampiamente rivista della Prima e nel 1875 la Terza. All'inizio del 1877 - o forse già alla fine del 1876 - cominciò a comporre la Quarta, completandola negli ultimi giorni di dicembre: la prima esecuzione ebbe luogo il 22 (il 10 secondo il calendario ortodosso) febbraio 1878 alla Società Musicale Russa di Mosca, sotto la prestigiosa direzione di Nikolaj Rubinstein, che aveva già voluto essere il primo a presentare al pubblico le tre precedenti sinfonie dell'amico.

La Quarta Sinfonia occupò dunque Cajkovskij durante l'intero 1877 ed è intimamente collegata a due donne, entrambe infatuate, seppure in modi diversi, del giovane compositore in ascesa, che fecero la loro apparizone nella sua vita in quei mesi e lasciarono una profonda traccia nella sua psiche. Nel dicembre 1876 una ricca vedova di quarantasei anni, Nadezda von Meck, gli scrisse per manifestargli tutta la sua ammirazione: in breve divenne la sua amica, la sua confidente e soprattutto la sua mecenate, ma i loro rapporti, durati quattordici anni, furono soltanto epistolari e i due non s'incontrarono mai di persona, perché questa era la condizione da lei posta. Nel marzo 1877 Cajkovskij ricevette una lettera da un'altra donna, Antonina Milyukova, che gli confessava impulsivamente il suo amore. Il compositore le rispose che non avrebbe mai potuto contraccambiare quel sentimento e che un'eventuale vita in comune si sarebbe trasformata in un incubo per entrambi: la sua lettera ricorda in modo impressionante quella inviata a Tatjana dal protagonista dell'Evgenij Onegin, il dramma di Puskin che proprio in quei giorni il compositore decise di mettere in musica. Eppure poco dopo Cajkovskij si risolse al matrimonio: questa decisione, foriera d'infelicità, è apparentemente inspiegabile, ma indubbiamente il motivo, conscio o meno, fu il desiderio di mettersi in regola con le convenzioni borghesi e di sviare le voci sulla sua omosessualità.

Il matrimonio fu celebrato in luglio e dopo poche settimane Cajkovskij abbandonò la moglie per rifugiarsi nella tenuta della sorella in Ucraina, dove per un mese e mezzo lavorò come unpazzo all'Onegin e alla nuova sinfonia. A settembre tornò a Mosca e si riunì alla moglie, ma questo nuovo e ultimo tentativo di convivenza durò pochi giorni e si risolse in una nuova fuga e in una grave depressione. Lasciò quindi la Russia per un lungo viaggio di riposo e svago in Svizzera, Francia e Italia, durante il quale la composizione della sinfonia proseguì in modo piuttosto intermittente. Infine negli ultimi giorni del 1877, tra Venezia e Sanremo, la partitura fu completata.

La Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36 è dedicata a Nadezhda von Meck, la cui identità è celata sotto le parole "Alla mia migliore amica". Durante la composizione Cajkovskij aveva informato con numerose lettere la sua mecenate dei progressi, del completamento e dell'esecuzione della sua nuova sinfonia e infine, su insistenza di lei, del suo significato. Redasse a tal fine un vero e proprio "programma" della sinfonia, ma controvoglia, dichiarando preliminarmente che è impossibile esprimere con le parole il senso della musica e concludendo così: "Sono inorridito dall'oscurità e dall'inadeguatezza di questo programma". Se preso alla lettera, il programma in effetti impoverisce la ricezione di questa sinfonia, ma ormai è talmente famoso che la cosa migliore è riportarlo con le parole stesse dell'autore, invece che nei riassunti che normalmente se ne leggono.

"L'introduzione contiene il nucleo generatore dell'intera sinfonia - scrive Cajkovskij - e la sua idea principale: è il Fato, la forza del destino, che eternamente impedisce alla nostra ricerca di felicità di raggiungere il suo scopo [...], che pende come una spada di Damocle sulle nostre teste e che costantemente, incessantemente avvelena le nostre anime. È invincibile, non gli si può sfuggire. Ci si può solo rassegnare e lamentarsi inutilmente, [qui cita il tema di valzer del primo movimento] Lo sconforto e la disperazione diventano sempre più forti e intensi. Non sarebbe meglio allontanarsi dalla realtà e immergersi nel sogno? [qui cita il secondo tema] O gioia! Un dolce e tenero sogno è apparso. Una luminosa e benefica forma umana vola verso di noi e ci invita. Quale meraviglia! Quanto distante è ora l'implacabile tema dell'introduzione! I sogni poco a poco s'impadroniscono dell'animo. Tutto ciò che è oscurità e desolazione è dimenticato. Esiste, esiste la felicità! Ma no! Sono solamente sogni e il Fato ci risveglia. E allora tutta la vita è un'incessante alternanza di amara realtà e di visioni evanescenti e sogni di felicità. Non c'è scampo. Siamo sbattuti qua e là da questo mare, finché ci afferra e ci spinge giù nell'abisso".

Il secondo movimento è pervaso dalla malinconia che gli esseri umani provano la sera, nella solitudine: si ripensa alla giovinezza, "quando il giovane sangue ribolliva", ma anche ai momenti penosi e alle perdite irreparabili. Lo Scherzo non esprime sentimenti definiti, "è fatto di arabeschi capricciosi, di immagini ineffabili [...]. Non si è gioiosi né tristi. Non si pensa a nulla, si lascia libero corso all'immaginazione". L'ultimo movimento esprime il bisogno, se non si trova la felicità in se stessi, di cercarla al di fuori, tra il popolo, in una festa paesana, per accorgersi che esistono gioie semplici ma vere e vive. Cajkovskij conclude: "ero terribilmente depresso l'inverno scorso, mentre componevo questa sinfonia, e questa è l'eco autentica di ciò che ho attraversato in quel periodo".

Non potremo mai sapere se, mentre componeva la sinfonia, il compositore avesse veramente in mente tutto questo o se lo abbia scritto soltanto in seguito, per compiacere la sua protettrice. Però Cajkovskij si espresse in simili termini non solamente con una dilettante come la von Meck ma anche con uno stimato compositore come Sergej Taneev: "La mia sinfonia è effettivamente musica a programma ma è impossibile esprimere tale programma a parole: risulterebbe ridicolo e susciterebbe solo un sorriso. [...] Devo dirvi che nella mia ingenuità ho pensato che il piano di questa sinfonia fosse così chiaro che tutti avrebbero capito il suo significato, o almeno le sue idee principali, senza bisogno di un programma preciso. [...] In realtà la mia opera è una riflessione sulla Quinta Sinfonia di Beethoven; non ho copiato i suoi contenuti musicali, ho soltanto ripreso la sua idea centrale. [...] Lasciatemi aggiungere che non c'è una sola battuta nella mia sinfonia che io non abbia sinceramente sentito e che non sia un'eco della mia più intima vita spirituale".

Il modo giusto per ascoltare questa musica è però, come sempre, non cercare ad ogni costo corrispondenze precise tra le note e le parole ma lasciare che la musica stessa ci parli e comunichi i significati e le emozioni che il compositore vi ha riversato.

La breve introduzione al primo movimento, in tempo Andante sostenuto, è il germe di tutta la sinfonia: il celebre motivo intonato da corni e fagotti, come una tragica fanfara, rappresenta il fato e costituisce il motto della sinfonia, una sorta di tema conduttore che ritorna ciclicamente in tutto il movimento iniziale e poi ancora in quello finale. Un diminuendo porta al Moderato con anima, aperto da un languido tema in tempo di valzer, che viene ampiamente sviluppato e intercalato da citazioni del motto iniziale, prima dell'ingresso d'un nuovo tema, proposto dal clarinetto accompagnato dagli altri legni, che appare più sereno e luminoso e porta dal fa minore al si maggiore. Nonostante si abbia l'impressione di una libertà rapsodica, Cajkovskij si attiene alla forma classica e, con un ponte costituito da una serie di accordi dei legni, introduce la sezione di sviluppo, relativamente breve e basata prevalentemente sul danzante primo tema. Un nuovo ritorno del motto dà avvio alla ripresa, molto variata rispetto all'esposizone e conclusa da una grande perorazione in fortissimo e in tempo progressivamente più travolgente.

L'Andantino in modo di canzona si basa su un tema cantabile affidato inizialmente all'oboe sul pizzicato degli archi: il sapore di questa melodia, la sua struttura asimmetrica, le sue ripetizioni ogni volta ampliate e arricchite, tutto ha il sapore di una canzone popolare russa. Nella sezione centrale, in tempo Più mosso, clarinetti e fagotti introducono un nuovo tema, dall'andamento danzante, ricollegabile al tema in tempo di valzer del primo movimento, a cui riporta anche la rievocazione del motto da parte degli ottoni. Viene poi ripresa la prima parte e il movimento si conclude con un'ampia ed espressiva frase del fagotto, che si spegne morendo, in pianissimo.

Segue uno Scherzo in tempo Allegro, tutto giocato sul pizzicato ostinato degli archi, che esige un notevole virtuosismo dall'orchestra. Nel Trio centrale, Meno mosso, sono i legni, gli ottoni e i timpani a dividersi un tema di sapore bucolico. Ritorna poi il pizzicato iniziale, mentre la conclusione avviene con un'elegante serie d'incastri tra il vivace tema degli archi e quello lirico dei fiati.

Il Finale, in tempo Allegro con fuoco, si basa sul contrasto tra il tema d'esordio, cui le rapide scale degli archi danno impeto e slancio, e il secondo tema cantabile, introdotto da flauti, clarinetti, fagotti e desunto da una canzone popolare russa, intitolata "Nel campo s'ergeva la piccola betulla". Con un andamento simile a un rondò i due temi s'alternano più volte, fronteggiandosi in una contrapposizione volutamente irrisolta, ma alla seconda ripresa del tema popolare irrompe improvvisa la fanfara iniziale, che impone nuovamente la forza grandiosa, cupa e minacciosa del fato: ma ora quel tema si stempera presto in toni più dolci, portando a una vorticosa coda, che conclude la sinfonia con traboccante e gioiosa vitalità.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 4 (nota 3)

La sera del 10 febbraio 1878 Piotr Ilic Ciaikovski, orologio alla mano, seguiva con il pensiero (ma avrà tenuto conto dei fusi orari?) da San Remo la prima esecuzione della sua Quarta sinfonia, diretta a Mosca da Nikolai Rubinstein. Dopo il concerto, Rubinstein e altri amici di Ciaikovski, riuniti a banchetto, spedirono al compositore un telegramma di felicitazioni, riferendo dell'ottima esecuzione, ma tacendo sull'esito del concerto, che era stato, si seppe poi, poco più che cordiale. Ciaikovski ci rimase male; pochi giorni dopo, rispondendo a un altro telegramma, quello della amica epistolare e mecenate Nadezda von Meck, sottolineava: «Nell'intimo, sono convinto che la Quarta sinfonia sia quanto di meglio io abbia finora composto»; e confessava la sua gioia per l'ammirazione destata in Nadezda da quella che i due avrebbero sempre definito nella loro fluviale corrispondenza «la nostra Sinfonia», a ribadire come il lavoro fosse stato un po' il suggello del patto di amicizia (se non, e in una dimensione distorta e affatto irrealizzabile, addirittura d'amore) stipulato fra due persone destinate a incontrarsi soltanto per lettera. La creazione della Sinfonia, il cui contenuto era drammaticamente legato alle vicende dell'esistenza privata di Ciaikovski, aveva infatti accompagnato di pari passo i primi momenti della relazione fra il nevrotico musicista e la ricchissima dama: nel maggio del '77, accompagnando una richiesta d'aiuto finanziario, Ciaikovski offriva alla signora la dedica di «una Sinfonia che ho cominciato l'anno scorso»: la sovvenzione fu prontamente concessa, inaugurando una consuetudine che sarebbe valsa a Ciaikovski, per tredici anni, il godimento di una lauta e regolare assegnazione di denaro, e la dedica accettata con gioia. Pochi giorni dopo, questa dedica offriva lo spunto a una dichiarazione in piena regola: «Mi ritiene sua amica? Se Ella si sentisse di rispondere con un chiaro 'sì ', mi farebbe molto piacere se la dedica sul frontespizio della Sinfonia, senza cenno alcuno al nome, potesse suonare semplicemente così: 'Dedicata al mio amico'». E «Al mio migliore amico» la Quarta sarebbe stata dedicata.

Ma la Sinfonia, che Ciaikovski prevedeva di mettere in partitura alla fine dell'estate di quel 1877, dopo aver avviato la composizione di una nuova opera (sarebbe stata l'Eugenio Onieghin), andò un po' più per le lunghe. Il 6 luglio, Ciaikovski s'imbarcava nell'avventura più assurda e disastrosa della sua vita, sposando Antonina Miliukova, una giovane ammiratrice. Bastarono meno di tre settimane perché Ciaikovski si accorgesse di ciò che avrebbe sempre dovuto sapere, ossia che l'amore non poteva offrirgli gioia alcuna, perlomeno con una donna. Sconvolto, Ciaikovski si rifugiò a Kamenka, presso la sorella, dove riprese il lavoro all'Onieghin. In settembre, ripresa a Mosca la difficile convivenza, il dramma precipitò: Ciaikovski reagì con un gesto tipico di lui, un tentativo di suicidio «naturale», compiuto scendendo nelle gelide acque della Moskova allo scopo di prendersi un'infreddatura mortale: una specie di roulette russa, come quella che forse gli sarebbe costata la vita sedici anni più tardi, se, come pare, Ciaikovski contrasse il colera bevendo consapevolmente dell'acqua sospetta. Ma per quella volta, Ciaikovski sfuggi alla morte: poco dopo, definitivamente separatosi dalla moglie, partiva per un lungo soggiorno all'estero: a Clarens, in Svizzera, e poi nelle soste in varie città d'Italia, riprese il lavoro alla Quarta e all'Onieghin. «Nessuna delle mie composizioni orchestrali mi è costata tanta fatica, ma anche a nessuna ho lavorato con tanto amore. Forse m'inganno, mia cara Nadezda Filaretovna, eppure credo che questa Sinfonia non sia un'opera mediocre. Com'è consolante per me il pensiero che questa sia proprio la nostra Sinfonia e che Ella, quando l'avrà ascoltata, potrà sapere come a ogni battuta io abbia pensato a Lei!». Finalmente, il 10 gennaio del '78, Ciaikovski spediva a Mosca, dalla posta centrale di Milano, la partitura completa della Sinfonia, condotta a termine via via che la guarigione spirituale del musicista procedeva, favorita, secondo ci attestano le lettere di Ciaikovski, dal conforto di qualche bottiglia di cognac e da compagnie gradite, come quella di Alioscia, il giovane servitore a lui carissimo.

Nata «inter lacrymas et luctum», la Quarta rimane come uno dei più angosciosi documenti del dramma personale di Ciaikovski. Accanto a ciò, e proprio per ciò, rappresenta in modo non meno compiuto delle altre due Sinfonie che Ciaikovski avrebbe composto, undici e sedici anni dopo (la Quinta e la Patetica, in tante cose a questa superiori), una chiara testimonianza del convivere, nel suo accostarsi alle grandi forme, e in particolare alla Sinfonia, di due opposte e in un certo senso contraddittorie aspirazioni del compositore: da un lato l'adesione a una consapevolezza formale di stampo europeo, tale da dettare un impianto, a grandi linee, rispettoso della tradizione strumentale classica e da assimilare a un'armonia e a una ritmica che erano grosso modo le stesse correnti in Occidente tutti i suggerimenti del canto popolare russo, vivissimi in Ciaikovski non meno che in nazionalisti come Rimski o in «russi puri» come un Mussorgski; dall'altro, l'invincibile insinuarsi nella composizione, investendone la stessa struttura, di un'intenzione programmatica, o comunque di un'esigenza contenutistica di scoperta origine autobiografica, in dipendenza di un preciso tema psicologico, quello della lotta con il fato. In quest'ultimo, Ciaikovski giungeva a identificare i suoi stessi dissidi privati, spingendosi fino a gravare i suoi temi di specifici riferimenti, per esempio, a quella sua condizione di «diverso» che certo gli valeva non poche difficoltà di inserimento e di adattamento al mondo esterno: ciò che più conta, i principi negativi cui tanto sfogo veniva concesso anche in composizioni esteriormente «assolute» come le Sinfonie, non trovavano nella successione degli avvenimenti musicali una risoluzione positiva, come quella idealizzata, mettiamo, nei contrasti tematici e nella successione dei movimenti delle Sinfonie beethoveniane, ma tendevano a configurare il soccombere di quella specie di antieroe in cui Ciaikovski rifletteva musicalmente se stesso di fronte alle forze avverse del destino. Concezione, questa, di cui Ciaikovski avrebbe intuito la più diretta e coerente rappresentazione solo alla vigilia di quella sua morte lasciata sopraggiungere fatalisticamente, più che non sfidata, con il quasi mahleriano sovvertimento della canonica articolazione dei movimenti della Sinfonia realizzato (ed era forse la prima volta, in tutta la storia di questa forma) concludendo la Patetica con un Adagio lamentoso anziché con un tempo veloce; e che nella Quarta viene faticosamente e non credibilmente elusa nella vivacità esasperata del Finale.

Sul problema dei «programmi», per tutto l'Ottocento e anche in tempi più vicini a noi dibattutissimo, Ciaikovski si pronunciò spesso in modo abbastanza vago e contraddittorio: pur non negando l'esistenza di assunti del genere, preferì sempre, per quanto riguarda le Sinfonie, astenersi dall'indicarne esplicitamente le linee (a differenza di quanto poteva avvenire per lavori come il Manfredo, per natura programmatici), anche quando esse gli erano del tutto chiare. Tale fu, come più tardi per la Patetica, il caso della Quarta sinfonia; della quale Ciaikovski volle offrire la chiave alla sola Nadezda, dedicataria e spiritualmente «comproprietaria» dell'opera. «La nostra Sinfonia ha un programma», le confidava un anno e mezzo dopo averne terminata la composizione: «esiste cioè la possibilità di tradurne in parole il contenuto, e a Lei, a Lei sola, voglio chiarire il significato di tutto il lavoro e dei singoli movimenti. L'introduzione è il nocciolo dell'intera Sinfonia; l'idea principale è il fato, forza nefasta che si oppone al conseguimento della nostra felicità e che perfidamente fa sì che benessere e pace non siano mai perfetti, mai scevri da nubi; quella forza che sta sospesa come la spada di Damocle sul nostro capo, e incessantemente ci amareggia l'animo». Nel corso del primo tempo «abbattimento e disperazione si fanno sempre più forti, ma ci abbandoniamo ai sogni, e questi a poco a poco si impadroniscono del nostro animo. Ci scordiamo di tutto ciò che è cupo, negato alla gioia. Ecco la felicità! Così la nostra esistenza è un continuo alternarsi di aspre realtà e di fugaci sogni. Il secondo tempo esprime un grado diverso di malinconia; quella malinconia che ci coglie di sera, quando stanchi per una giornata di duro lavoro, soli, ci sediamo finalmente con un libro in mano; quando il libro ci sfugge, e un'onda di memorie si riversa su di noi. Com'è dolce, allora, ripensare alla giovinezza, ai giorni in cui il sangue ci pulsava nelle vene, caldo, gagliardo, e la vita non aveva per noi che soddisfazioni e appagamento! Ma mancavano anche, allora, i giorni difficili? Che cosa a un tempo dolorosa e dolce è il tuffarsi nel passato! Il terzo tempo non esprime nulla di determinato. Sono arabeschi bizzarri, figure inafferrabili che attraversano la nostra mente come quando si è bevuto del vino e si è un po' brilli. Ci si lascia trasportare dalla fantasia. Ma ecco: improvvisamente ricompare alla memoria l'immagine di un piccolo contadino ubriaco e l'eco di una canzonetta udita per strada. Da qualche parte, in lontananza, passano soldati... Quarto tempo: se non riesci a suscitare dentro di te un'atmosfera di gioia, guardati intorno. Va' fra la gente, partecipa a una festa popolare. Preso dallo spettacolo di tanta allegria, dimentichi la tua pena, finché, inevitabile, torna a farsi sentire il Destino (motivo del fato). La gente non si occupa di te e non si accorge neppure di quanto tu sia solo e triste. Sono tutti allegri, dominati da sentimenti semplici e spontanei! Esci da te! Partecipa della felicità altrui. La vita ha pure i suoi lati belli. Questa è, amica carissima, tutta la spiegazione che Le posso dare. Naturalmente le mie parole sono, sotto certi aspetti, oscure e non esaurienti. La caratteristica propria alla musica strumentale è quella di non poter essere facilmente spiegata a parole. Dove queste vengono meno, bisogna lasciar parlare la musica ».

Queste parole, anche pensando alla data in cui furono scritte, hanno tutta l'aria di essere una traduzione in immagini verbali di un fatto musicale già compiuto e autosufficiente. Possono però fornire all'ascoltatore una chiave per seguire lo scoperto patetismo della Quarta in tutte le mutazioni che esso attraversa nel corso dei quattro movimenti. Questa Sinfonia, la prima nella quale Ciaikovski avesse dispiegato una maturità tecnica e una consapevolezza artistica di piena felicità, e nella quale si riflettesse senza pudori l'evidenza dolorosa di un'esperienza esistenziale, inaugurando una prassi che sarebbe stata onorata ancor più negli altri due capolavori del sinfonismo ciaikovskiano, in termini più strettamente musicali resta come una pagina di ispirazione feconda e spontanea, costruita con mano esperta, e sicuro senso formale. Il canto popolare russo vi è sfruttato ripetutamente, nel caso del Finale addirittura con la citazione di una canzone famosa, Stava una betulla in un campo. Ma per quanto spontanea fosse in Ciaikovski questa adesione al patrimonio popolare della sua terra, tale connotato resta a conti fatti abbastanza accessorio rispetto alla vera fisionomia della Quarta, turgida di strutture sonore di autenticamente sinfonica densità ma anche timbricamente rifinita con estrema leggerezza (basterebbe pensare alle trasparenti filigrane dello Scherzo); capace di vigorose perorazioni, come nella drammaturgia intensa del primo movimento, di ripiegamenti lirici e riflessivi come nell'Andantino, di scatenate esplosioni ritmiche, appunto di segno popolaresco, come nel Finale. Tutta la «fatica» che Ciaikovski asseriva essergli costata la Quarta, trovò dunque provvisorio compenso nella realizzazione del primo capolavoro sinfonico uscito dalla sua penna: sarebbe passato molto tempo - e in tale periodo Ciaikovski avrebbe prodotto una quantità enorme di musica - prima che il compositore tornasse ad accostarsi alla Sinfonia; l'avrebbe fatto due volte, nel segno di un pessimismo ancor più spinto e di una tragicità ancor più cupa, destinata a spegnersi nel lungo lamento che conclude la Patetica.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Festival Verdi 2004; 7 maggio 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 gennaio 2013
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 5 luglio 1980

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Ultimo aggiornamento 1 dicembre 2017