Sinfonia n. 5 in mi minore, op. 64


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Andante (mi minore). Allegro con anima
  2. Andante cantabile con alcuna licenza (re maggiore)
  3. Valse. Allegro moderato (la maggiore)
  4. Finale. Andante maestoso (mi maggiore). Allegro vivace (mi minore)
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: maggio - Frolovskoje, 26 agosto 1888
Prima esecuzione: San Pietroburgo, Bolscioj Sal Konservatorii, 17 novembre 1888
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1888
Dedica: Théodore Avé-Lallement
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il 10 giugno 1888, dalla casa di campagna premurosamente affittata per lui dal fratello Anatol, Pètr Il'ic Cajkovskij scriveva alla sua generosa mecenate Nadezda von Meck: "Voglio mettermi a lavorare alacremente; sento in me un impulso fortissimo di dimostrare non solo agli altri ma a me stesso che la mia capacità di comporre non è esaurita [...]. Non so se le ho già scritto che lavoro a una Sinfonia. Dapprincipio procedevo a stento, ma ora sembra che l'illuminazione sia scesa sul mio spirito". Si riferisce alla Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64, composta rapidamente tra il maggio e l'agosto del 1888, dopo un periodo di depressione e di stasi creativa. Diretta dall'autore stesso il 5 novembre a San Pietroburgo, ottenne un certo successo di pubblico ma fu duramente criticata dalla stampa, con la conseguenza che Cajkovskij cadde ancora una volta in preda all'umor nero e allo sconforto.

La lettera del 2 dicembre alla von Meck ha quindi un tono completamente diverso dalla precedente: "Dopo aver diretto la mia nuova Sinfonia, due volte a Pietroburgo e una volta a Praga, mi sono persuaso che è mal riuscita. C'è in questa musica qualcosa di sgradevole, una certa diversità di colori, una certa insincerità, un certo artificio. Pur senza rendersene conto, il pubblico lo ha percepito. Ho chiaramente avvertito che i consensi e gli applausi andavano in realtà alle mie composizioni precedenti e che questa Sinfonia non riusciva a piacere: una constatazione che mi procura un cocente dolore e una profonda insoddisfazione di me stesso [...]. Ieri ho sfogliato la Quarta, la nostra Sinfonia, che differenza! Com'essa si colloca su un piano più elevato! È una cosa molto, molto triste!".

Oggi noi sappiamo che la Quinta Sinfonia è di gran lunga superiore alla Quarta e che, su un piano strettamente musicale è migliore anche della Sesta, la popolarissima "Patetica". D'altronde Cajkovskij stesso si sarebbe ricreduto, grazie ai successi ottenuti dalla Quinta nei concerti da lui diretti durante la tournée europea del 1889-1890, allorché anche Brahms la elogiò, esprimendo qualche riserva solo sul finale.

Perpetuando il principio della Quarta Sinfonia, scritta ben undici anni prima, la Quinta è posta anch'essa sotto il segno del fatum. Cajkovskij non espresse in un programma dettagliato le idee che l'avevano guidato nella composizione, tuttavia appuntò alcuni pensieri in proposito: "Introduzione: sottomissione totale davanti al destino o, ciò che è lo stesso, davanti alla predestinazione ineluttabile della provvidenza. Allegro. I: Mormorii, dubbi, accuse a XXX. Il: Non è meglio allora gettarsi a corpo morto nella fede? Il programma è eccellente, ammesso che riesca a realizzarlo". Un altro appunto relativo al secondo movimento accenna al contrasto tra un tema indicato come "consolazione" e "raggio di luce" e un tema affidato agli strumenti gravi, che risponderebbe: "No, nessuna speranza".

La Quinta Sinfonia riprende dalla Quarta anche il principio ciclico dell'idea ricorrente, o motto, facendone un uso ancora più ampio, perché uno stesso tema, collegato al destino, ritorna qui in tutti e quattro i movimenti: lo si ascolta già nell'introduzione, Andante, affidato ai clarinetti e agli archi gravi, cupo e pesante, con un andamento che ha qualcosa sia della Marcia che del Corale. L'Allegro con anima si apre con un nuovo tema, che mantiene l'atmosfera di sotterranea inquietudine, nonostante il ritmo relativamente vivace. Interventi rudi degli ottoni fanno esplodere la tensione, che rapidamente si smorza e lascia emergere un secondo tema, in tonalità maggiore, semplice e pastorale, che porta un raggio di luce dopo le ombre precedenti. Appare in seguito un ritmo di valzer, lirico e vaporoso. Lo sviluppo si basa non sull'elaborazione tematica ma sulla sovrapposizione e l'accostamento dei temi per associazione o per contrasto. Nella coda viene ripreso il motivo iniziale dell'Allegro, ma la conclusione è ancora sotto il segno del tema del fato, che ora risuona nelle trombe.

Lo splendido Andante cantabile, con alcuna licenza è uno dei vertici del sinfonismo cajkovskiano. Sullo sfondo degli archi gravi il primo corno canta in modo "dolce con molta espressione" una lunga melodia nobile e patetica. L'oboe s'inserisce delicatamente e dialoga con il corno, proponendo una nuova melodia, ripresa anche dagli archi e poi dall'intera orchestra: è un momento maestoso e sereno, che corrisponde forse al "raggio di luce" menzionato da Cajkovskij. Una nuova melodia del clarinetto, graziosa e malinconica, ornata da un trillo, è improvvisamente interrotta dall'irruzione del tema ricorrente, affidato alle trombe. Il movimento si conclude tuttavia in una ritrovata serenità, turbata ma non annientata dalla minaccia del fato, che risuona con la cupezza e la violenza dei tromboni.

L'Allegro moderato è un valzer elegante e lieve, appena increspato da un'ombra d'inquietudine dovuta ai rapidi e insistenti passaggi in "staccato" dei legni e degli archi. Anche qui, a qualche battuta dalla fine, ritorna il tema del fato, senza violenza ma egualmente impressionante per il suo tono funereo.

È sempre questo tema ad aprire il quarto movimento, ma ora appare totalmente trasfigurato, simile a un maestoso Corale in tonalità maggiore. L'Allegro vivace è ricchissimo d'idee e raggiunge una prorompente e teatrale intensità espressiva, ma pecca di un certo squilibrio formale, riconosciuto da Cajkovskij stesso. Non è esente nemmeno da ampollosità e trionfalismo, in particolare nella conclusione, quando il tema del destino s'afferma come un Corale grandioso e imponente e anche il tema principale dell'Allegro con anima ritorna trasformato in un canto di vittoria. "Cosa è accaduto - si chiedono i commentatori - perché sia cambiata in modo così totale la tendenza alla rassegnazione? [...] Si avverte per la prima volta una nota di falsità e di sovraeccitazione al fondo della musica; quantunque tutto ciò venga portato a buon fine con bravura, il trionfo conclusivo non si libera dalla sua vacuità".

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritta in breve tempo, tra il maggio e l'ottobre del 1888, la Quinta Sinfonia fu eseguita per la prima volta a Pietroburgo il 5 novembre di quell'anno, diretta dallo stesso Cajkovskij, riportando un modesto successo. Il compositore, confrontandola con la Quarta, ebbe a giudicarla, almeno inizialmente, in senso piuttosto negativo; solo in seguito, dopo ripetute esecuzioni, modificò il proprio giudizio, conservando peraltro un'opinione non molto alta del finale. Una sorta di tema conduttore lega tuti e quattro i movimenti della composizione: il tema, esposto inizialmente dal clarinetto nel registro basso al principio dell'Andante introduttivo, vuole esprimere, secondo Cajkovskij, «una completa rassegnazione di fronte al destino». L'Allegro con anima che segue sviluppa con drammaticità elementi di motivi già presentati in modo apparentemente neutro: il malinconico primo tema, coi suoi ritmi puntati, ed il secondo tema, dall'andamento di danza. L'Andante cantabile, in re maggiore, è di forma tripartita, e si apre con una accorata melodia del corno; la sezione centrale, come spesso in Cajkovskij, è ricca di slancio, con una espressiva melodia affidata agli archi; prima della ripetizione della prima parte compare, enfatizzato, il tema del destino dell'inizio della sinfonia, che poi ritorna anche in conclusione. Il terzo movimento, Allegro moderato, è un valzer d'una tristezza pacata tipicamente cajkovskiana. L'introduzione al Finale si apre con lo stesso tema del destino, che compare però, questa volta, in tonalità maggiore, assumendo un carattere di tranquilla rassegnazione. L'Allegro vivace presenta un primo tema in accordi, molto enfatico, ed un secondo tema di carattere marziale. Terminato lo sviluppò, una lunga coda in mi maggiore, nella quale il motivo d'apertura del primo movimento ritorna di nuovo, conduce la sinfonia ad una grandiosa conclusione.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella storia della musica russa la figura di Ciaikovski ha corso il rischio di cadere vittima di gravi contrapposizioni ideologiche quando, a fronte della conclamata purezza dei difensori di una lingua nazionale radicalmente autoctona, lo si è spesso superficialmente etichettato come lo strenuo paladino di una vena occidentalizzante, peccaminosa quant'altra mai. E cosi aggettivi quali sdolcinato, zuccheroso, languido e liquoroso, se non addirittura di nemico della patria, cominciarono a piovere sull'onda anche di un'abbondante letteratura, circolante fino a qualche anno fa, simile più al romanzo d'appendice che a una puntuale e seria messa a fuoco della sua personalità d'artista, tutt'altro che comodamente seduto a godersi gli agi di una posizione ufficialmente riconosciuta mentre gli altri soffrivano gli stenti della persecuzione zarista. Niente di più falso. Del resto, passate queste trite romanticherie (ma non meno fuorvianti furono successivi interventi sul ruolo «politico» della sua musica), studi recenti (D'Amico, Bortolotto), hanno dato una collocazione più precisa e adeguata ai meriti della vasta produzione di Ciaikovski. Se è vero che le sue scelte estetiche giungevano più gradite negli ambienti del governo e dell'aristocrazia di corte (sulla quale peraltro il popolo cominciava a premere sotto la spinta di una vigile borghesia in ascesa) dì quelle, ad esempio, di un Mussorgski, è altrettanto vero che la sua ricerca non fu né una copia di quanto si andava facendo oltre i confini della Russia, né tanto meno un netto rifiuto delle istanze popolari emergenti. Basterebbe aver presente la cruda drammaticità e il senso di desolata solitudine di certe frasi dell'«Onieghin» o, più ancora, la cornice di disperata angoscia in cui vivono i personaggi della «Dama di Picche», dostoievskianamente tratteggiati, il sottile e penetrante uso del coro (non in funzione protagonistica come in Mussorgski ma innegabilmente russo), l'andamento tematico dei numerosi «Lieder», elaborati utilizzando testi di autori quasi sempre del proprio paese (molti portano la firma di Tolstoi), e, infine, il complessivo senso di sofferenza dell'uomo, scaturito non tanto dai suoi impossibili amori (vedi il caso clamoroso della baronessa Von Meck, inesauribile fonte per la letteratura di cui sopra), ma da una crisi esistenziale di ben più vaste dimensioni storiche, per riflettere come tali indicazioni costituiscono un insieme di probanti elementi atti a ridimensionare alquanto il ritratto distorto di Ciaikovski. Ritratto, questo sì, condito abbondantemente di ingredienti desunti dal decadentismo europeo, dal quale ricavò, fra l'altro, la cifra del banale e quell'atteggiamento di estenuante tensione di fronte allo scorrere degli eventi che Mahler svilupperà poco dopo in vibrante protesta umana e civile, piantando una lancia acuminata nel cuore del secolo al tramonto.

Ed è tipicamente decadente, oltre all'affascinante ricchezza melodica, orientata verso l'autocompiacimento narcisistico, la vaporosa e duttile ricerca timbrica, nonché lo straordinario vitalismo orchestrale oscillante fra il colorismo di Borodin e il gusto, denso e raffinato a un tempo, di Rimski. Sullo sfondo di tale variegata tavolozza inventiva, agiscono l'eterno tributo pagato sia alla lezione beethoveniana, percepibile persino nell'«Andante» della «Quinta Sinfonia» vagamente riconducibile allo stesso movimento della «Nona», sia al poderoso impianto brahmsiano, al quale Ciaikovski è legato anche per l'incedere dolcemente affettuoso, tipico della «Stimmung» melanconica del romanticismo europeo. Mentre i livelli conflittuali e autobiografici, che ispessiscono e complicano con improvvise e rabbiose impennate il lento procedere descrittivo, paiono germogliare dal tessuto sinfonico di certo Schumann, ereditandone inoltre tic maniacali e la circolarità del materiale tematico.

Prendiamo giusto la «Quinta Sinfonia», composta nel 1888, ben undici anni più tardi della precedente, da lui particolarmente amata. La «Quinta», invece, come vedremo, non lo sarà affatto se dobbiamo dar credito a una sua dichiarazione al riguardo. Ebbene, struttura portante dell'intero lavoro, è un unico tema, quello che compare all'inizio, espresso dal clarinetto in la e ripreso subito dopo insieme col fagotto: «idée fixe» che lo perseguita, ossessionandolo, lungo l'arco di tutto il lavoro, escluso naturalmente la «Valse», formula d'alleggerimento (ma tutt'altro che svagata o gioiosa) usata assai spesso con azzeccata originalità da Ciaikovski. Se poi, in tale chiodo fisso tematico, si debba scorgere, come è stato più volte azzardato, il recondito significato d'una parola ammonitrice del padre a un figliolo in procinto di intraprendere un lungo viaggio; parola rimasta nel cuore di costui nei momenti più difficili del suo avventuroso vagabondare, oggi appare del tutto indifferente. Cosi come risulta letterariamente efficace, ma musicalmente non so quanto attendibile, l'immagine di una agghiacciante condanna, kafkianamente intesa come colpa da scontare nei confronti di un nemico invisibile, che Io insegue col suo tragico sospetto fino alla morte. La musica può suggerire questo e altro.

La stesura della «Quinta» durò appena tre mesi, lo spazio di un'estate trascorsa nel piccolo villaggio di Frolovskoje. Voleva dimostrare a sé e altri altri — come scriverà alla baronessa Von Meck — che la vena non si era esaurita. Anzi la partitura, dopo qualche attimo di esitante trepidazione, filò via senza interruzioni, frutto di una vera e propria illuminazione. Il 17 novembre dello stesso 1888, sotto la direzione personale dell'autore, veniva portata a battesimo a Pietroburgo fra la quasi indifferenza degli astanti. L'autorevole Rimski sedeva in prima fila e giustificò la sua perplessità col fatto che un solo ascolto non bastava per emettere un giudizio definitivo. È lecito perciò pensare che tale prudente atteggiamento denotasse per lo meno qualcosa che doveva averlo positivamente turbato. Anche Brahms, quando ascoltò la partitura della «Quinta» ad Amburgo nell''89, si dimostrò non del tutto soddisfatto, disapprovando specialmente il finale. Ne segui una breve polemica in cui Ciaikovski, di rimando, accusò Brahms di aver messo in caricatura Beethoven nelle sue sinfonie. Schermaglie di poco conto che coloriscono anche la storia di questo controverso lavoro. Ora non si sa se sotto l'influsso di tale cocente delusione (è noto, infatti, che Ciaikovski cadeva spesso vittima di drammatici stati depressivi), oppure se, in fondo, anche lui ne fosse poco convinto, il musicista vergò il 2 dicembre queste sconsolate righe alla von Meck: «Dopo aver diretto la mia nuova Sinfonia, due volte a Pietroburgo e una volta a Praga, mi sono convinto che essa è mal riuscita. V'è in quest'opera qualcosa di sgradevole, una certa diversità di colori, una certa insincerità, un certo artificio. Pur senza rendersene conto il pubblico lo sente. Avvertii chiaramente che le manifestazioni di plauso andavano alle mie composizioni precedenti, ma che questa Sinfonia non riusciva a piacere: constatazione fatta apposta per procurarmi un cocente dolore e una profonda insoddisfazione di me stesso».

Il cammino incerto della «Quinta» (ma la parentesi di Praga fu assai più gratificante anche perché accompagnava le fortunate repliche dell'«Onieghin»), proseguirà fin dopo la morte dell'autore quando il grande Arthur Nikisch la liberò definitivamente da ogni dubbio circa la sua validità estetica e musicale, collocandola fra le pagine più note e universalmente accettate del grande compositore russo.

Marcello de Angelis


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 giugno 2012
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 giugno 1978

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Ultimo aggiornamento 12 dicembre 2018