Trio con pianoforte in la minore, op. 50


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Pezzo elegiaco (Moderato assai. Allegro giusto)
  2. Tema con variazioni
    • Tema (Andante con moto)
    • Variazione I (L'ìstesso tempo)
    • Variazione II (Più mosso)
    • Variazione III (Allegro moderato)
    • Variazione IV (L'istesso tempo)
    • Variazione V (L'istesso tempo)
    • Variazione VI (Tempo di Valse)
    • Variazione VII (Allegro moderato)
    • Variazione VIII (Fuga: Allegro moderato)
    • Variazione IX (Andante flebile, ma non tanto)
    • Variazione X (Tempo di Mazurka)
    • Variazione XI (Moderato)
    • Variazione finale e coda (Allegro risoluto e con fuoco. Andante con moto. Lugubre)
Organico: violino, violoncello, pianoforte
Composizione: Roma, 14 dicembre 1881 - 9 febbraio 1882
Prima esecuzione: Mosca, Bolscioj Sal Konservatorii, 23 marzo 1882
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1882
Dedica: in memoria di un grande artista (Nikolaj Grigor'evic Rubinstejn)
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Marzo 1881. Il quarantacinquenne pianista, direttore d'orchestra e compositore russo Nikolaj Grigor'evic Rubinstejn, fondatore e direttore del Conservatorio di Mosca, sta viaggiando verso la Costa Azzurra: è minato dalla tubercolosi e spera di trovare giovamento nel clima mite e temperato di Nizza, dove lo attende l'amico Cajkovskij. Durante il viaggio, però, le sue condizioni si fanno sempre più critiche e i dolori sempre più forti, al punto che il 16 marzo Rubinstejn è costretto a fermarsi a Parigi. Scende al Grand Hotel e si fa immediatamente visitare dal celebre dottor Potin che non gli lascia speranze. Nei giorni seguenti si recano al Grand Hotel per incontrarlo personaggi come Massenet, lo scrittore Ivan Turgenev e i direttori d'orchestra Colonne e Pasdeloup. Finalmente, la mattina del 23 marzo, il dandy Rubinstejn trova un modo assai chic di uscire di scena: nonostante la gravita delle sue condizioni pretende di mangiare delle ostriche e tre ore dopo rende l'anima a Dio.

Cajkovskij si precipita a Parigi in tempo per rendere omaggio alla salma dell'amico nella chiesa russa in rue Daru. Ai funerali c'è tutta la Parigi musicale che conta - Massenet, Lalo, la cantante Pauline Viardot, Colonne - e molti connazionali di Rubinstejn fra i quali, oltre a Cajkovskij naturalmente, suo fratello Anton, uno dei più grandi pianisti dell'Ottocento, lo scrittore Turgenev e una folta delegazione dell'Ambasciata russa. Due giorni dopo, al termine di un'altra breve cerimonia alla Gare du Nord cui assistono anche Cajkovskij e Turgenev, la salma di Nikolaj Rubinstejn viene caricata su un treno in partenza per Mósca.

Cajkovskij è sconvolto dalla morte dell'amico e inizia a riflettere sulla "impossibilità di sostituirlo" e sull'"insolubile problema della morte, scopo e significato della vita nella sua infinitezza o finitezza". Ma in una lettera al fratello Modest, l'ipersensibile e fragile compositore rivela di essere angosciato più che dall'idea della morte dalla sua manifestazione fisica e reale: «A mia vergogna, devo confessarti che ho sofferto non tanto per il senso di terribile, irrimediabile perdita, quanto per la paura di vedere esposto il corpo del povero Rubinstejn». La perdita dell'amico produce comunque un'eco profondissima nell'animo di Cajkovskij che nelle sue lettere la pone sullo stesso piano dei più gravi e importanti problemi privati, come il proprio sostentamento economico da parte della sua mecenate o la salute della sua amata sorella: «La mia vita subirà un grande cambiamento e questo influirà in maniera decisiva sul mio futuro. Prima di tutto perché la morte di Rubinstejn ha per me grande significato; in secondo luogo perché Nadezda von Meck ha perso la sua fortuna»; «Da mesi non ho una sola idea musicale che valga qualcosa. Quale la causa? Forse la morte di Nikolaj Grigor'evic, o la malattia incurabile di mia sorella Aleksandra».

Il sodalizio fra i due musicisti risaliva al 1866, quando il ventiseienne Cajkovskij era stato invitato a Mosca dal collega, più anziano di lui di cinque anni, come insegnante di armonia prima nei corsi della Società Musicale Russa e poi nel neonato Conservatorio moscovita. Era stato Rubinstejn a incoraggiarlo a comporre la sua Prima Sinfonia e poi a presentarla in pubblico nel 1868, dando inizio così a un'impressionante serie di prime esecuzioni di musiche cajkovskiane, interrotta solo dalla sua morte, che comprende, fra l'altro, tutte le Sinfonie fino alla Quarta e altre celebri pagine sinfoniche come Romeo e Giulietta, La tempesta, la Marcia slava, Francesco da Rimini, le Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra, la Suite n. 1 e il Caprìccio italiano, l'opera Evgenij Oneghin e, come pianista, la Grande Sonata in sol maggiore. Per sdebitarsi di questa opera di vero apostolato Cajkovskij, oltre a comporre nel 1872 una Serenata per l'onomastico di Nikolaj Grigor'evic Rubinstejn, aveva dedicato all'amico la Prima Sinfonia, il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra e altre pagine pianistiche.

Non sempre però i rapporti fra i due erano stati idilliaci e in occasione della nascita del Primo Concerto per pianoforte e orchestra di Cajkovskij si era verificata una vera e propria rottura. La sera della vigilia di Natale del 1874 il compositore aveva deciso di sottoporre il suo nuovo Concerto all'amico; non sappiamo esattamente come siano andate le cose, ma in una lettera scritta tre anni dopo alla von Meck in cui rievocava l'avvenimento, Cajkovskij riferisce che per Rubinstein il Concerto «non aveva alcun valore, era ineseguibile, con episodi sconnessi e mal scritti, dai tratti banali e triviali, qua e là scopiazzati: in una parola, da buttare o da riscrivere di sana piatita». Un giudizio durissimo, certo, la cui ferocia senza appello, però, sembra nascere più da un'amplificazione interna al nevrotico Cajkovskij delle parole di probabile critica pronunciate da Rubinstejn; lo conferma il fatto che meno di un anno dopo questo spiacevole episodio, il 21 novembre del 1875, Rubinstejn diresse la prima esecuzione a Mosca del Primo Concerto con Sergej Tane'ev alla tastiera. E in effetti, scrivendo a suo fratello Anatol poco dopo la morte di Rubinstejn, Cajkovskij liquida definitivamente la faccenda: «Ho dimenticato tutto, tranne i suoi lati positivi che sono assai più numerosi di quelli negativi».

Ben presto nella mente di Cajkovskij prende consistenza l'intenzione di comporre un omaggio all'amico scomparso e tra il 14 dicembre 1881 e il 9 febbraio 1882 a Roma, durante uno dei suoi ormai tradizionali inverni trascorsi in Italia, il compositore porta a termine il Trio in la minore per pianoforte, violino e violoncello. Sulla partitura inviata poco tempo dopo a Mosca si legge una curiosa dedica, metà in francese e metà in italiano: «A la mémoire d'un grand artiste. Roma, Gennaio 1882». Per la revisione delle parti strumentali Cajkovskij si affida ai tre musicisti che ha designato come interpreti: il pianista Sergej Tane'ev, allievo suo per la composizione e di Rubinstejn per il pianoforte e in seguito maestro di Rachmaninoff e Skrjabin, il violinista Jan Hrimaly e il violoncellista Wilhelm Fitzenhagen (dedicatario delle Variazioni Rococò). La prima esecuzione del Trio in la minore avviene, in assenza dell'autore, al Conservatorio di Mosca nel marzo del 1882 in un concerto privato in occasione del primo anniversario della morte di Rubinstejn. La prima esecuzione pubblica, dopo che Cajkovskij ha apportato alcune modifiche anche in vista della pubblicazione, realizzata in settembre da Jürgenson, avviene sempre a Mosca e con gli stessi interpreti il 30 ottobre di quello stesso anno.

È quanto meno curioso che per compiere un omaggio all'amico Rubinstejn Cajkovskij abbia scelto di scrivere un Trio, un tipo di composizione che francamente detestava. Più di una volta, negli anni precedenti, la sua mecenate Nadezda von Meck lo aveva pregato di scriverne uno, ma senza successo; davanti all'insistenza della von Meck finalmente, in una lettera del novembre del 1880, Cajkovskij si era deciso a spiegarle che il suo rifiuto nasceva dal fatto che egli non riusciva a sopportare la sovrapposizione del pianoforte agli strumenti ad arco: «I miei organi uditivi sono fatti in modo tale da non poter assolutamente ammettere alcuna combinazione con un violino o un violoncello. Per me i diversi timbri di questi strumenti si combattono ed è per me, vi assicuro, una vera tortura ascoltare un Trio o una Sonata con il violino o il violoncello»; e venendo più specificamente a parlare del Trio con pianoforte aveva aggiunto: «Un Trio presuppone uguaglianza di diritti e omogeneità, come avviene nel Trio per archi. Ma come può esistere una tale omogeneità fra strumenti ad arco da una parte e il pianoforte dall'altra?».

Sollecitato dall'emozione provata per la morte di Rubinstejn, Cajkovskij alla fine evidentemente decise di far violenza ai propri "organi uditivi", accontentando così anche la sua generosa mecenate. Il Trio in la minore è costruito in modo assai singolare in due soli movimenti di dimensioni molto ampie, per una durata totale di circa cinquanta minuti: un Pezzo elegiaco (Moderato assai. Allegro giusto) e un Tema con Variazioni. In realtà la dodicesima e ultima Variazione - Variazione finale e Coda (Allegro risoluto e con fuoco. Andante con moto. Lugubre) - costruita in forma-sonata, ha una durata e una complessità di struttura molto maggiore delle altre, venendo a svolgere, in effetti, la funzione di terzo e conclusivo movimento del brano.

Il Pezzo elegìaco è una pagina dai toni desolatamente malinconici che, nonostante l'avversione di Cajkovskij per l'organico del Trio con pianoforte, rappresenta forse uno dei momenti più alti della sua intera produzione. Lo splendido tema principale, esposto all'esordio dal violoncello, tornerà a farsi sentire alla fine del Trio, nell'ultima pagina della Variazione Finale (Lugubre), affidato agli archi alternati ("piangendo") sul funebre accompagnamento del pianoforte ("pianissimo, poco a poco morendo").

L'affermazione del biografo Kaskin secondo cui il Tema della Variazioni risalirebbe a una melodia popolare ascoltata nel maggio del 1873 da Cajkovskìj e da Rubinstejn in una festa contadina non sembra essere particolarmente attendibile; quanto all'ipotesi, avanzata da un critico e poi divenuta di uso comune, secondo la quale ciascuna delle variazioni rappresenterebbe un aspetto della vita e della personalità di Rubinstejn, sembra che Cajkovskij la giudicasse con una certa ironia. Probabilmente su consiglio degli interpreti della prima, nel curare l'edizione originale del Trio in la minore op. 50 per Jürgenson Cajkovskij ha autorizzato due generosi tagli a questo ampio movimento: l'intera Variazione VIII (una fuga a tre voci in effetti non felicissima) e ben quattordici pagine (su trenta complessive) nella Variazione finale e Coda che in questo modo può iniziare direttamente dalla ripresa.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel cuore del musicofilo più sprovveduto come nelle pagine della musicologia più informata, le opere, i balletti, le sinfonie e i concerti di Ciaikovskij hanno immancabilmente più spazio della sua musica più riservata. In particolare la sua musica da camera di stampo classico è stata ed è molto sottovalutata, soprattutto da chi si ostina a non vedere in Ciaikovskij altro che la facile invenzione melodica, l'enfatica comunicatività, l'effusione lirica, il senso drammatico del gesto, l'intuito degli effetti orchestrali, ignorandone l'estrema eleganza, talvolta un po' decadente, da dandy, ma comunque sorretta da una preziosa conoscenza della tradizione e da una rara padronanza del mestiere di compositore e dei suoi accorgimenti più sofisticati. Non sarà dunque superfluo ribadire che la musica da camera di Ciaikovskij (non molto abbondante: tre quartetti, un sestetto per archi e qualche pezzo di minore importanza, oltre naturalmente al Trio) è tutta di altissima qualità.

Una dedica metà in francese e metà in italiano («A la mèmoire d'un grand artiste. Roma, gennaio 1882») spiega il motivo, il tempo e il luogo della composizione del Trio in la minore op. 50. Resta da chiarire che il grande artista in questione era Nicolai Rubinstein (fratello del più celebre Anton), compositore, direttore d'orchestra e soprattutto grande virtuoso del pianoforte: amico e sostenitore di Ciakovskij, gli aveva offerto una cattedra al Conservatorio di Mosca, aveva fatto conoscere molte sue composizioni per pianoforte... e aveva anche dato un giudizio totalmente negativo sul suo Primo Concerto, quello oggi celeberrimo in si bemolle minore, che in origine era dedicato a lui e che poi fu "girato" a Bülow. Ma quest'incidente non aveva offuscato che per un breve periodo i rapporti fra i due amici.

Nel 1881, quando fu raggiunto a Nizza dalla notizia dell'improvvisa morte di Rubinstein per una crisi cardiaca, a soli quarantacinque anni, Ciaikovskij partì dunque subito per Parigi per assistere alle sue esequie nella locale chiesa ortodossa (la vista del corpo dell'amico gli ispirò un terrore fisico della morte che andò ad aggiungersi alle sue altre nevrosi) e decise di dedicare alla sua memoria una composizione di carattere intimo, in cui lo strumento caro allo scomparso, il pianoforte, avesse un ruolo primario.

Si convinse così a passare sopra alla sua radicata avversione per l'unione del pianoforte con gli strumenti ad arco: «I miei organi auditivi sono fatti in maniera tale che non ammettono assolutamente nessuna combinazione [del pianoforte, n.d.r.] con un violino o un violoncello. I differenti timbri di questi strumenti mi sembrano inconciliabili e vi assicuro che per me è una vera tortura ascoltare una sonata o un trio con violino o violoncello». Questa secca dichiarazione era contenuta in una lettera dell'anno prima a Nadezda von Meck, che gli aveva per l'appunto chiesto un trio per i suoi strumentisti privati, fra cui era un giovane pianista di nome Claude Debussy: il trio in memoria dell'amico diventava così per Ciaikovskij anche un modo per accontentare la sua munifica protettrice.

Non era la prima volta che Ciaikovskij, per ricordare un amico e musicista scomparso, sceglieva il genere intimo e riservato della musica da camera, avendo già nel 1876 dedicato alla memoria del violinista Laub il suo Terzo Quartetto, il cui carattere di monumento funebre si manifesta nell'evidente pathos, espresso con un linguaggio ardito e tormentato: il Trio invece è più elegiaco che tragico e, per la sua articolazione in due vasti pannelli, lontanissima dall'ordine tradizionale dei movimenti, assume un tono rapsodico del tutto insolito.

Anche il primo movimento, che all'analisi si rivela una tradizionale forma-sonata, ha un carattere molto libero. Il primo tema, presentato dal violoncello e poi dal violino, ha un incanto malinconico, quasi opprimente. Al primo tema, melodico e "femminile", si contrappone un secondo tema, ritmico e "virile", capovolgendo le caratteristiche espressive tradizionalmente attribuite ai due temi. Accordi massicci e rudi portano a una terza idea, dall'eleganza melodica un po' convenzionale, esposta prima dal pianoforte e poi ripresa dai due strumenti ad arco, mentre il pianoforte si esibisce in passaggi brillanti, come ottave, scale e accordi alternati. Nel suo ampio sviluppo il movimento procede con atteggiamenti sempre variati, con un piano tonale non ortodosso. I temi ritornano ciclicamente, in apparente libertà, seguendo intuizioni estemporanee: un momento di forte suggestione emotiva è dato dal ritorno, dopo una lunga pausa carica di tensione, del primo tema in un tempo più lento e in un tono marcatamente funereo. Questo stesso tema riappare nella coda in un'atmosfera di raggiunta serenità, rarefatta e luminosa, accompagnato da un controcanto cullante di violino e violoncello.

Il secondo movimento è un tema con variazioni, a sua volta articolato in due parti: l'Andante con moto e la Variazione finale e Coda. Il tema ha la semplicità e la raffinatezza d'una mendelssohniana Romanza senza parole, eppure è una melodia popolare (quest'origine si rivelerà più chiaramente in alcune delle variazioni), che nel ricordo del compositore era collegata a Rubinstein, insieme al quale l'aveva ascoltata durante una festa campestre nei pressi di Mosca: è emblematico che in Ciaikovskij l'amore per la musica della sua terra si congiunga così strettamente agli affetti e ai ricordi più cari. Le undici variazioni seguenti sono dei "pezzi caratteristici" basati sulle metamorfosi di un unico tema, in cui affiora qua e là l'eco inconfondibile della musica da balletto di Ciaikovskij. Si è anche voluto vedervi una specie di ritratto musicale di Rubinstein, in quanto ciascuna variazione raffigurerebbe (il condizionale è d'obbligo) un aspetto della sua personalità o un episodio della sua vita: così l'ottava variazione, una fuga, rievocherebbe la sua attività di professore di Conservatorio, mentre la decima, una mazurka, sarebbe un riferimento alle sue celebri interpretazioni di Chopin. La dodicesima e ultima variazione, in cui si trovano riuniti il tema principale del primo movimento e quello delle variazioni, è un elaborato finale, a cui lo stesso autore propose d'apportare ampi tagli, riconoscendone la prolissità. Nella Coda torna ancora una volta il tema iniziale del Trio, per svanire «piangendo» (indicazione originale di Ciaikovskij) su un ritmo di marcia funebre mormorato dal pianoforte, fra i singhiozzi desolati degli archi.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Trio in la minore op. 50 per violino, violoncello e pianoforte fu scritto da Cajkovskij a Roma tra il novembre del 1881 e il gennaio del 1882, come immediata reazione alla notizia della morte di Nikolaj Rubinstein, pianista e didatta, amico intimo e sostenitore di Cajkovskij, nonché fratello del più celebre Anton. Il trio, un unicum nella produzione del musicista russo, è un'opera magistrale e monumentale che richiede ai tre strumentisti un considerevole impegno esecutivo. È curiosa tuttavia una frase che lo stesso Cajkovskij aveva scritto a Nadezda von Meck (ammiratrice e sostenitrice del musicista) qualche anno prima in merito all'unione dei timbri dei tre strumenti: «Forse per la natura stessa del nostro organo uditivo, mi riesce insopportabile l'associazione del pianoforte col violino e col violoncello: mi sembra che questi timbri non si amalgamino bene insieme...». Ma di questa opinione il Trio, dedicato da Cajkovskij «alla memoria di un grande artista», non risente affatto: l'esito artistico conclusivo è anzi particolarmente efficace grazie all'abbondanza delle idee musicali, al rigoglioso intreccio di linee melodiche e a un'utilizzazione "sinfonica" delle risorse timbriche ed espressive dei tre strumenti («musica sinfonica arrangiata per trio», come ebbe efficacemente a dire di quest'opera lo stesso Cajkovskij). Originale è anche la struttura formale dell'opera, che consta di due soli movimenti: il primo è un Pezzo elegiaco (titolo che segna la nascita di una tradizione, ripresa da Rachmaninov col suo Trio elegiaco in memoria proprio di Cajkovskij) nel quale si alternano episodi musicali ora lirici, ora nostalgici, ora irruenti e tenebrosi; il secondo è un Tema con variazioni diviso in due sezioni, la prima costituita dal tema seguito da undici variazioni, la seconda dalla variazione finale e da una coda. La conclusione del Trio vede la ripresa del tema del primo movimento come marcia funebre.

Il Pezzo elegiaco è una pagina ricca di temi trascinanti, presentati da Cajkovskij con sapienza e con quella giusta dose di retorica che ne contraddistingue il linguaggio musicale. Il primo tema, in la minore, è intenso e malinconico: introdotto dal violoncello, passa poi al violino e infine al pianoforte, che lo ripete con enfasi (ampi accordi a due mani). Il secondo tema, sempre in tonalità minore, è più ritmico e animato, ma deriva chiaramente dal primo, del quale utilizza l'incipit. Un episodio modulante molto animato (Un poco accelerando), caratterizzato dagli accordi del pianoforte e dagli ampi arpeggi degli archi, porta al terzo tema, una specie di solenne corale, esposto dal pianoforte con pesanti accordi a due mani. Un quarto tema sembra quasi nascere spontaneamente dal tema precedente: è più cantabile e viene esposto dal pianoforte nella tonalità di mi maggiore. La sezione elaborativa si limita a riprendere elementi motivici del quarto tema e sembra esistere solo per poterci condurre al quinto tema, tipicamente cajkovskijano: dolce e ammiccante, è una melodia che si presenta come un dialogo amoroso fra violino e violoncello e viene subito ripetuta dal pianoforte. Poi il discorso musicale si placa fin quasi a spegnersi, concludendo quella che possiamo tranquillamente definire la prima parte del movimento. La seconda si apre col ritorno del primo tema, ora più dolente e patetico, soprattutto nell'andamento ritmico al pianoforte, che appare ora quasi funereo. Poi Cajkovskij riprende tutti i temi della prima parte, riservando l'ultimo posto naturalmente al dialogo amoroso fra violino e violoncello. Nella coda conclusiva, il discorso musicale si spegne mestamente con la parossistica ripetizione di un breve inciso discendente.

Il tema che apre il secondo movimento è un motivo semplice e cantabile esposto dal pianoforte in una scrittura accordale, quasi di corale. Le successive variazioni, che alcuni commentatori vorrebbero legate ad altrettanti episodi della vita di Nikolaj Rubinstein, non ne alterano la struttura armonica e melodica: le linee guida del tema sono sempre chiaramente percepibili all'ascolto. Nella prima variazione il tema è affidato al violino, mentre il violoncello lo impreziosisce con delicati arabeschi sonori. La seconda variazione è affidata al violoncello, la terza è una variazione ritmica: il tema diventa ora saltellante negli agili accordi ribattuti del pianoforte, seguiti da guizzanti biscrome. Gli archi si limitano a un discreto pizzicato. Nella quarta variazione, in tonalità minore, il tema diviene appassionato, quasi dolente. Violoncello e violino conducono il discorso in imitazione, sorretti dagli accordi del pianoforte. Nella seconda parte del tema (in maggiore) è il pianoforte a esporre la melodia. La quinta è una variazione breve, dal carattere di danza, tutta giocata nel registro acuto del pianoforte, mentre la sesta è un valzer elegante e "salottiero" esposto con grazia dal violoncello, ripreso dal violino e poi dal pianoforte. Nella settima variazione il tema, ora in metro ternario, è affidato a sonori accordi a due mani del pianoforte, ai quali violino e violoncello rispondono con scherzose acciaccature ascendenti, sorta di maliziosi "graffi" musicali. L'ottava variazione è una fuga a tre voci, mentre nella nona variazione le voci dolenti di violino e violoncello ci riportano al clima elegiaco del primo movimento. Torna la danza con la decima variazione, affidata al pianoforte che si lancia in una delicata mazurca, prima che l'ingresso di violino e violoncello riportino il discorso musicale a toni più decisi e "popolari". Nella variazione che conclude la prima parte del movimento Cajkovskij ottiene un affascinante effetto timbrico affidando il tema, che ci sembra ora provenire da lontano, al violino con l'arco, i delicati arpeggi in pizzicato al violoncello e i morbidi accordi ribattuti al pianoforte. La variazione conclude poi sfumando in pianissimo.

L'ultima variazione è giocosa e spensierata: il tema, esposto dal pianoforte, ci appare ora ritmicamente baldanzoso; violino e violoncello lo riprendono variandolo in modo molto brillante. Ma la conclusione del Trio vede il mesto ritorno del primo tema del Pezzo elegiaco, prima esposto con molta enfasi da violino e violoncello in ottava sopra gli arpeggi a tutta tastiera del pianoforte, poi trattato come una marcia funebre che si smorza mestamente (più che pianissimo).

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 2 giugno 2009
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 10 marzo 1994
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 210 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 17 luglio 2017