Sonata per arpa, op. 68


Musica: Alfredo Casella (1883 - 1947)
  1. Allegro vivace
  2. Sarabanda: Grave, solenne
  3. Finale: Tempo di marcia vivo e festoso
Organico: arpa
Composizione: 1943
Dedica: Clelia Gatti Aldrovandi
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Compositore di forte tempra, pianista insigne, direttore d'orchestra di largo prestigio, insegnante autorevole, ricercatore infaticabile e revisore accurato e coscienzioso di opere altrui (da Domenico Scarlatti a Bach, da Monteverdi a Corelli, da Vivaldi a Clementi, da Mozart a Rossini), scrittore vivacemente polemico, Casella occupa una posizione di rilievo nel panorama della musica italiana del primo quarantennio del nostro secolo. Seguace del movimento neo-classico, già promosso da Stravinsky a Parigi negli anni '20, ma sensibile al richiamo del patrimonio popolaresco italiano, questo compositore si è battuto a viso aperto contro il melodramma di tipo romantico-passionale, si è dichiarato contrario alla musica sposata alla morale, alla religione e alla filosofia, ha avversato le forme dell'atonalismo, del dadaismo e del jazzismo ed ha auspicato, almeno sotto l'aspetto tematico, un ritorno all'italianismo nell'arte, specialmente scarlattiana, vivaldiana e monteverdiana, nel solco di una costruttività fondamentalmente diatonica e architettonicamente vigorosa. Nella sua produzione strumentale e vocale, cameristica e sinfonica, oltre che teatrale, egli ha manifestato, con risultati diversi e a volte opinabili, un temperamento fatto di chiarezza e sanità ritmica, in più casi tagliente e spigolosa, come affermazione di una terza «via» italiana rispetto al decadentismo dell'impressionismo francese e all'esasperazione dell'espressionismo centroeuropeo. Ma, come ha giustamente affermato Fedele d'Amico, mai Casella fu così originale e ricco d'inventiva come quando adoperò temi preesistenti, o volle ricreare uno stile altrui. La Giara, su temi di folclore siciliano, Scarlattiana, su temi di Scarlatti, oppure Paganiniana, che allegramente rievoca lo «spettacolo» del violinista elettrizzando ogni angolo dell'orchestra di paganiniane fantasmagorie e virtuosismi, sono fra le sue cose più indiscutibili: probabilmente i suoi capolavori.

La Sonata per arpa riflette il profilo del linguaggio caselliano sfaccettato in un neo-classicismo dalle multiformi screziature timbriche e ritmiche. Dedicata a Clelia Gatti Aldrovandi, è stata scritta nel 1943 e appartiene all'ultimo periodo compositivo del musicista, quello, per intenderci, dei Tre canti sacri per baritono e organo, del Concerto per archi, pianoforte e batteria, del Canto e ballo sardo per coro e piccola orchestra e della Missa solemnis «Pro pace» per soprano, baritono, coro e orchestra, estremo messaggio umano di un artista al quale hanno guardato come maestro molti musicisti della prima generazione del '900.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In calce alla Sonata per arpa op. 68 si legge: Roma (Casa Molinari), il 24-X-1943. «L'anno di Roma "città aperta" aveva stretto di altri orgasmi i giorni di Casella sin dal lugubre autunno», scrive Emilia Zanetti nel Symposium sul Maestro «quando nella sua chiara casa tra il verde vicino al Tevere, come in altre case romane di ogni ceto ed aspetto, si era appreso a spiare di ora in ora se mai qualche pattuglia sostasse davanti alla porta. E una sera piovosa di ottobre, poiché quel pericolo era stato dato per imminente, egli dovette alzarsi in fretta dal letto su cui stava aperto il manoscritto della Sonata e nascondersi presso amici, così come dovettero fare la moglie e la figlia, in case diverse. Poi la famigliola si ricompose, trascorso il momento della caccia ufficiale agli ebrei».

In questi frangenti e per di più convalescente della seconda operazione, Casella concepì e portò la termine sia la Sonata per arpa, dedicata a Clelia Gatti Aldrovandi, sia il Concerto per archi, batteria, timpani. e pianoforte (la, cui Sarabanda è la versione di quella che si ascolta nella Sonata).

Le circostanze drammatiche in cui la Sonata fu composta «non valsero ad offuscare neppure fugacemente il levigato smalto dell'opera» (citiamo sempre da Emilia Zanetti) «qua e là grave nel carattere, mai però febbrile né angosciata nella sua poetica grazia ed anzi capace anche di momenti di risoluta baldanza».

Giorgio Graziosi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 13 novembre 1981 (2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Sala Casella, 2 aprile 1963


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Ultimo aggiornamento 5 ottobre 2016