Dopo il successo ottenuto con Edmea, rappresentata alla Scala il 27 febbraio 1886, Catalani era già pronto a scrivere una nuova opera e pertanto andò subito alla ricerca impaziente di un libretto da musicare. Gli fu indicato il romanzo di Flaubert Les Tentations de Saint-Antoine, e di questo parlò a Ghislanzoni e all'amico Giuseppe Depanis. Tuttavia quest'ultimo gli suggerì l'idea di riprendere in mano Elda (Torino, Teatro Regio, 31 gennaio 1880) e di modificarla adeguatamente anche sotto il profilo scenico. Il rifacimento del libretto fu opera di Carlo d'Ormeville e di Angelo Zanardini, con la collaborazione di Depanis, Illica e Giacosa. Catalani si accinse alla composizione sin dal settembre 1886, sicuro che la nuova Elda - ribattezzata con il nome Loreley - sarebbe stata il suo capolavoro. Il 2 gennaio 1887 così scrisse a Depanis: «Sono persuaso (...) che la Loreley, così rifatta, diventerà una fata degna di rispetto». Nel maggio di quello stesso anno si recò in visita allo zio Felice, a Firenze, con l'intento di terminare lì l'opera; ma la composizione si protrasse ancora per tutto il periodo estivo e solo nel novembre fu conclusa (testimone la lettera datata 17 novembre 1887, indirizzata da Milano a Depanis). Tuttavia Loreley venne rappresentata dopo alcuni anni; Catalani così scrisse a Depanis il 1º settembre 1888 da Montereggio in Brianza: «Il nuovo padrone è come una ‘sfinge' [la Casa musicale Lucca era stata assorbita dalla Ricordi nel maggio 1888]; non si lascia mai vedere, non gli si può mai parlare. Non so nemmeno se egli sappia che io ho lì da un anno pronta la Loreley, che mi pare tanto ben riuscita». Finalmente l'opera, dopo vari contrasti e non pochi intoppi, fu rappresentata a Torino diretta da Edoardo Mascheroni e interpretata da Virginia Ferni Germano (Loreley), Eleonora Dexter (Anna), Eugenio Durot (Walter), Natale Pozzi (Rodolfo), Enrico Palermini (Herrmann). Nel complesso riscosse un caloroso consenso da parte del pubblico (piacquero soprattutto il primo e il terzo atto, mentre il secondo fu accolto con una certa freddezza), ma anche in questa occasione non mancarono i soliti commenti a proposito della musica eccessivamente malinconica. In seguito fu riproposta il 18 febbraio 1892 al Carlo Felice di Genova diretta da Arturo Toscanini, al Teatro Argentina di Roma e al Massimo di Palermo.
La stampa dell'epoca commentò positivamente il lavoro di Catalani: «l'indirizzo della nuova opera appare moderno in moltissime parti, le migliori, nonostante l'abbondanza di canti lunghi e facili e qualche volta banali. C'è padronanza completa della tecnica, fisionomia individuale e sentimento drammatico; manca un poco il grandioso, il caratteristico. Fra i lavori musicali moderni italiani, questo del Catalani merita un posto onorevole (...). Il terzo atto giudicasi il migliore. Viene poscia, in linea di bellezza, il primo. Il secondo atto è debole, per colpa del libretto. Complessivamente si può chiamare l'esito di stasera un successo malgrado qualche corrente contraria e un po' di freddezza» ('La Lombardia', Milano, 17 febbraio 1890). «Catalani questa volta non solo ha disegnato, ma ha colorito; alla purità della linea risponde l'efficacia del rilievo; e bene è vero che tutta la parte essenzialmente fantastica della concezione meglio rifulge, e quella puramente umana perde di gran lunga al confronto; ma l'insieme dell'opera è breve, veloce, conseguente, continuo; l'istrumentale è nutrito, vivace, vario, se non di sostanza, d'effetto; ed è il canto, non solo elegante e spontaneo e logico, ma mosso, vibrato; e suona nel discorso musicale, non la sola poesia dell'ideale, ma la poesia della passione» ('La riforma', Roma, gennaio 1893). L'argomento si ispira alla ballata Loreley di Heinrich Heine (1824), tratta dalla leggenda renana la cui paternità risale a Clemens Brentano (1802): una fanciulla, che abita la rupe omonima a strapiombo sul Reno, seduce con il suo canto melodioso i naviganti, che incantati finiscono nei gorghi del fiume. Mentre in Elda la protagonista cambiava nome e l'azione veniva ambientata nel Baltico, in questa opera Loreley rimane Loreley e i personaggi ritornano al luogo d'origine.
L'unico personaggio che concentra tutto il vigore drammatico, e che anche dal punto di vista musicale è ben delineato, è quello di Loreley, che costituisce il fulcro di tutta la vicenda: da lei nascono l'amore, la gelosia, l'odio e la vendetta. Una figura di umile estrazione sociale (orfanella), il cui carattere forte e deciso la solleva a un ruolo predominante. È un'eroina il cui unico destino è quello di amare; sedotta e abbandonata, riscatta l'onore ferito con la morte e travolge, insieme con la propria, la vita di altre persone. Il suo sacrificio non è fine a se stesso, ma la trasforma in uno strumento di vendetta, che colpirà la rivale Anna (morta di dolore per l'abbandono di Walter) e lo stesso Walter, sopraffatto dall'apparizione di Loreley bellissima e incantatrice, che inevitabilmente lo trascinerà alla rovina. Gli altri personaggi sono rappresentati in modo sommario; abbozzati, vivono di luce riflessa e non danno luogo a un vero e proprio contrasto di affetti: servono unicamente come voci da duetto o da concertato.
La componente realistica, espressa in sentimenti umani come l'amore, la gelosia, l'odio, non intacca la natura del dramma, che rimane essenzialmente fantastica, dove l'elegiaco sentimentalismo della fiaba si mescola con l'ingegnosità degli effetti in una poetica di gusto decadente; «il nuovo librettista [Zanardini] non è buon poeta né abile verseggiatore, cede spesso alle soluzioni di repertorio, ma possiede l'istinto di isolare in posizione rilevante le frasi dove il languore di Catalani può calarsi ("È morto un astro in cielo"; oppure nei versi di Loreley: «Vuoi tu provar gli spasimi/ D'una ignorata ebrezza?/ Vuoi tu languir nell'estasi/ Di celestial dolcezza?») e sa il linguaggio dei pallori smorenti e la malia canora dei sortilegi» (Cella).
Nel rifacimento il libretto risulta più stringato ed efficace (i quattro atti vengono portati a tre, i quadri da nove a quattro), subisce molti spostamenti e modifiche e corre perfino il rischio che venga soppressa la scena della marcia funebre perché, secondo quanto diceva Zanardini, «per quanto belle tutte le marce funebri hanno sempre fatto in teatro l'effetto di uno spegnitoio». La componente spettacolare da grand-opéra, quantitativamente molto presente in Elda con abbondante esibizione di apparati (cori, balli, marce, cerimonie) e una funzione di digressione e arresto dell'azione, viene notevolmente ridotta in Loreley e concentrata nel solo secondo atto. La cerimonia nuziale, che in Elda compare nel primo atto, qui viene unicamente accennata nel primo atto e inserita nel secondo quadro del secondo atto, seguita dall'epitalamio affidato al coro di voci bianche, dall'apparizione incantatoria di Loreley e dal grande concertato che termina con la maledizione di tutti contro Walter. Nella prima parte del secondo atto di Loreley manca la scena del convito, con annesso 'canto sulla cetra'. Eliminata la scena del giudizio (di Elda e Sveno), il terzo atto di Loreley si apre con una nota di colore, un coro di pescatori e boscaioli sulla spiaggia di Oberwesel, prosegue con la marcia funebre per Anna, l'intervento disperato di Walter e la riapparizione di Loreley che lo trascina nei vortici del fiume.
L'elemento soprannaturale, altro tema caratteristico dell'opera, si può considerare di derivazione tedesca (wagneriana o weberiana) e sono anche altri i motivi che ci riportano al modello wagneriano. Per fare un esempio: la cerimonia nuziale interrotta dall'apparizione di Loreley, richiama quella del secondo atto di Lohengrin, interrotta dall'apparire di Ortruda; lo stesso canto ammaliatore "Vien al mio seno" del soprano è quasi una citazione del canto di Venere che richiama al suo regno il protagonista disperato nel terzo atto di Tannhäuser. Questa componente soprannaturale compare immediatamente all'inizio dell'opera, quando il coro dei pescatori, arcieri e boscaioli assume una coloritura superstiziosa a causa dell'intervento malaugurante delle vecchiette; all'inizio del terzo atto, quando sempre boscaioli e pescatori conversano su streghe e fate; nell'episodio di Herrmann (primo atto), che invoca vendetta al dio del fiume; ma soprattutto alla fine del primo atto, in cui Loreley, circondata dalle ninfe e dagli spiriti dell'aria, decide di sposarsi con il Reno per ottenere un fascino irresistibile, e alla fine del terzo atto, quando la protagonista riappare per la terza volta a Walter e fatalmente lo spinge al suicidio.
La 'danza delle Ondine', che in Elda è posta nell'atto secondo, al momento dell'incontro con le creature del mare, in Loreley viene spostata non casualmente alla fine del terzo, con lo scopo di sottolineare maggiormente l'atmosfera incantata e irreale in cui l'opera si chiude. Da Elda passano in Loreley il preludio, il Valzer dei fiori, la marcia funebre, la Danza delle Ondine e altre pagine, in parte modificate per raggiungere maggiore forza espressiva. Possiamo inoltre verificare la notevole riduzione dei brani sinfonici, certamente per imprimere uno svolgimento più serrato all'azione. Il preludio iniziale, che anticipa vari temi cantabili dell'opera, viene accorciato (da 173 battute a 121); scompaiono inoltre il brano sinfonico che in Elda è inserito nel secondo atto, al momento dell'incontro della protagonista con le Ondine, posto tra la decisione di ricorrere alla vendetta e l'attimo della trasfigurazione, come pure l'intermezzo situato tra il turbamento di Walter di fronte al feretro di Anna e il quadro di incantesimo finale. Inoltre diverse arie e alcuni recitativi dell'opera precedente in Loreley vengono sostituiti da intense pagine sinfoniche, specialmente per personaggi come Herrmann, Rodolfo o lo stesso Walter. Il coro che conclude la scena del giudizio di Elda e Sveno, in Loreley si trasforma in concertato (atto secondo) che mantiene gli stessi elementi tematici disponendoli in una struttura più complessa e ricca. Il valzer dei fiori (tempo di valzer alla tedesca), che in Elda viene esposto prima del finale del primo atto, è ora inserito nella scena nuziale. La danza era in voga ai tempi di Catalani, e sarà accolta anche da Puccini; ma dell'energia germanica e del sapore di festa propri dei valzer tedeschi non rimane nulla: esso scorre leggero e malinconico, con brevi interventi corali, senza rendere esattamente la gioia di una cerimonia nuziale. Perfino l'epitalamio, brano interamente nuovo, ricercato da un punto di vista armonico e melodico e che rivela un Catalani ormai maturo e padrone della tecnica, conserva una tristezza diffusa, non consona al carattere del genere in questione. Nel terzo atto troviamo due parti molto importanti: la marcia funebre e la danza delle Ondine. Situate l'una quasi all'inizio dell'atto e l'altra alla fine, si pongono come due poli in contrapposizione creando una nota di contrasto come di morte e vita. «Il risultato estetico della marcia funebre di Anna è altissimo perché Catalani non scivola nel patetico, ma resta su un piano di dolore contenuto e nobile. Su un ossessionante, lugubre muoversi del basso in disegno a quartine, il rintocco di un tam-tam stende un alone scuro e inquietante, i violini cantano in sordina con una dolcezza singolare, salgono lentamente verso un climax acuto e fortemente espressivo» (Zurletti). Per quanto riguarda la danza delle Ondine, è interessante riportare un'interpretazione di Depanis: «La danza delle Ondine accoppia il fascino dell'invenzione all'eleganza del ricamo strumentale. La blanda melodia, mormorata dagli archi in sordina e con geniale trovata raccolta dalla tromba a guisa di eco lontana, accompagna le movenze voluttuose delle Ondine sotto i pallidi raggi lunari e la visione musicale è così completa che la visione della realtà della rappresentazione ci offende e preferiamo chiudere gli occhi per abbandonarci alla seduzione del sogno».
I duetti d'amore, quasi sempre appassionati, con frequenti spinte vocali nel registro acuto, inquadrano i sentimenti dei protagonisti in una dimensione umana; pure l'amore fulmineo non si tramuta in estasi assoluta e abbandono totale. Gli innamoramenti dei personaggi di Catalani, anche se fatali nelle conseguenze, hanno un'impronta già più terrena. Dal punto di vista vocale, melodie delicate e malinconiche si alternano a un periodare spesso teso, nervoso e convulso, con modi declamatori e sprazzi orchestrali. Anna e Loreley, entrambe innamorate dello stesso uomo, oltre a contrapporsi per il carattere - l'uno dolce, mite, rassegnato, quasi ‘santo', l'altro forte e risoluto - contrastano anche nel tipo di vocalità; Anna presenta un canto delicato e purissimo (pensiamo all'aria "Amor celeste ebrezza") di tipo belliniano, come suggerisce Carlo Gatti, mentre Loreley mantiene quasi sempre una vocalità slanciata e imperiosa, specie nella fatidica frase melodica dell'incantesimo. Leitmotiv che percorre l'opera quasi a riassumerne il significato: compare per la prima volta enunciato dall'orchestra nel preludio, per tre volte nell'atto secondo e infine alla conclusione del terzo atto, sempre subendo molteplici trasformazioni anche dal punto di vista tonale; è una frase spiegata e solare, che interrompe il corso naturale della vicenda, portatrice di eventi inaspettati e di nuove calamità; con lei nasce il sogno, ma anche l'ineluttabilità di un destino crudele.