Anacréon ou L'amour fugitif, ouverture


Musica: Luigi Cherubini (1760 - 1842)
Organico: 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1803
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra, 4 ottobre 1803
Edizione: Cherubini e Méhul, Parigi, 1803
Guida all'ascolto (nota 1)

La prima rappresentazione di Anacréon où l'amour fugitif di Cherubini, avvenuta il 4 ottobre 1803 alla Opera di Parigi, fu accolta da risate e da fischi: fu un «fiasco» rimasto memorabile negli Annali del teatro parigino. L'opera fu ripetuta per sole sette sere, ciò che a quel tempo significava una caduta senza remissione. La condanna di Parigi parve definitiva, perché l'opera non trovò fortuna nemmeno in altri paesi. Sembra che nel 1805 una esecuzione sotto forma di oratorio fosse data a Vienna (forse in occasione del soggiorno di Cherubini nella capitale austriaca). Secondo il Thayer il finale del I atto venne incluso nel programma di un'Accademia benefica indetta da Beethoven a Graz nel marzo del 1812; molti anni dopo se ne ebbe una esecuzione parziale ad Amburgo, poi su quest'opera - che pure contiene numerose pagine davvero splendide - calò il silenzio. La colpa, probabilmente è del libretto, uno tra i più infelici di tutta la storia del libretto d'opera.

In compenso l'ouverture dell'opera ha esercitato e continua a esercitare un fascino su tutti i pubblici frequentatori di concerti. Ed è, a ben guardare, una pagina di una novità sconcertante. E' costruita su tre temi, tutti e tre in re maggiore (il che è già singolare per la concezione sonatistica del tempo), ognuno dei quali ha certamente un significato suo proprio che Gonfalonieri, riferendoli ai luoghi dell'opera dov'essi appaiono, ha definito così: il primo sembra che voglia introdurre la dignità dell'antico favoleggiare, quasi un invito al silenzio; il secondo rappresenta la pace di Anacreonte raggiunta attraverso la contemplazione della natura e della bellezza; il terzo descrive la gioia istintiva delle giovani schiave.

L'ouverture comincia con la breve presentazione del primo tema, poi entra subito il secondo. Citiamo a questo punto dall'analisi di Gonfalonieri: «questo [il secondo tema] invece di seguire le norme tradizionali dell'esposizione sonatistica... ristagna per cinquantasei battute in pp, e le imitazioni canoniche ne esasperano l'insistenza. All'infuori del I tempo della Seconda Sinfonia di Brahms, non conosco altri esempi classici di tale fissità di atmosfera, un limite così pericoloso verso cui un compositore abbia mai teso la corda del suo arco e abbia saputo incantare i nostri sguardi su di un solo colore... Non penseremmo mai che codeste magiche battute, che una tale sospensione del pensiero in musica - possibile soltanto a chi abbia raggiunto una totale vittoria interiore - possano costituire l'esposizione di un allegro sinfonico. Ma nessuna esposizione di tempo di sonata ci sembra così espositiva come questa, così suadente a uno stato di animo che noi riconosciamo ben chiaro e che noi stessi desideriamo non abbandonare più, sino alla fine del pezzo».

Questo tema s'innesta anche nei passaggi più movimentati, nella conclusione di episodi indipendenti: l'ultimo tema, di carattere affatto diverso invece non subisce mai veri e propri sviluppi ma, enunciato brevemente, dopo una breve sospensione per mezzo di un ponte riconduce al primo tema e verso la conclusione del pezzo.

Weber, che non fu mai tenero verso la musica italiana definì questa ouverture come Champagnerleben: una cosa beatamente ondeggiante, scintillante e piena di un fuoco superbo.

Domenido de' Paoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 dicembre 1969


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Ultimo aggiornamento 13 novembre 2015