Ballata n. 4 in fa minore per pianoforte, Op. 52, BI 146, CI 5


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
Organico: pianoforte
Composizione: 1841 - 1843
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1843
Dedica: Mme Charlotte de Rothschild
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'opera, che chiude il ciclo delle quattro Ballate, fu composta nel corso del 1842 ed è, più ancora delle sorelle, sintesi di innovazione e di consolidamento, o meglio consolidamento di una perpetua innovazione. Qui Chopin traccia un compendio di tutti gli stili, di tutti i generi trattati in due decenni di carriera, dal Rondò alle Variazioni alla Sonata, inglobando anche impulsi caratteristici di nuove forme da lui stesso create o ricreate, come i Notturni o gli Studi; mettendo la tecnica, divenuta trascendenza e spiritualità smaterializzata, al servizio di una costellazione di idee a loro volta incarnate in una disciplina senza lacci, capace di spaziare dall'uso della scrittura contrappuntistica più sofisticata alla immediatezza dell'improvvisazione più libera. Anche nei confini specifici del genere, sottratto a qualsiasi riferimento letterario e perfino extramusicale in favore di una ragione strettamente strumentale (in tal senso va intesa anche la spesso segnalata connessione con le Ballate del poeta polacco Adam Mickiewicz, di cui, per alcuni, sarebbero l'interpretazione musicale), Chopin coglie il carattere più propriamente romantico della Ballata nella compresenza di tutti gli elementi tanto tipici del genere quanto di solito impiegati isolatamente; da quello narrativo a quello fantastico, da quello epico a quello lirico. Ognuno di questi aspetti tende a fondersi progressivamente con l'altro, o meglio a svelare cammin facendo, in una sorta di estasi della passione sublimata, la sua identità a più facce. L'architettura della Quarta Ballata è particolarmente complessa, ardua la sua sezionatura. Lo stesso tono narrativo affermato programmaticamente dal tempo costantemente in 6/8 si trasforma continuamente con la elaborazione delle, figure, con i loro collegamenti e incroci, creando un'apparente ambiguità e asimmetria metrica nella fondamentale regolarità dell'andamento generale. E ciò vale non solo sul piano ritmico, agogico e dinamico. L'introduzione, di sette misure, presenta un equivoco tonale dato dall'insistita affermazione della tonalità di do maggiore, che solo con il passaggio al primo tema svelerà la sua funzione, invece esitante, della preparazione della tonalità principale dell'opera. E lo stesso primo tema, costituito da quattro misure che si ripetono sei volte, sembra riunire in sé il sempre uguale e il sempre diverso, in una quasi impercettibile oscillazione di sfumature sempre più determinanti. Con l'entrata del secondo tema, anch'esso introdotto alla lontana da quattro misure di preparazione, il tono narrativo cede al fantastico, alla visione sognante e dolcemente malinconica. Ma ancora una volta il carattere di questa sezione, che pur sembrerebbe esattamente fissato, svela nello sviluppo un'altra verità, prima di forte tensione drammatica, poi di trasfigurazione lirica; mentre il primo tema, che si era distinto per la sua mutevolezza, ora si salda in una riesposizione in forma di canone, di quasi cavalleresca epicità. Epicità che trova uno sfogo di selvaggia violenza nella Coda sorprendentemente atematica, esplosione incandescente di frammenti impazziti.

Forse il carattere più vero e completo di quest'opera, che già ai contemporanei parve assai problematica e che continuò lungamente a risultare sfuggente, sta proprio nella sua stratificazione di molteplici aspetti espressivi e impressionistici, nel trascolorare, anche in senso psicologici, di elementi reali e illusori. Sarebbe però altrettanto sbagliato considerarla alla luce dei suoi paradossi e contrasti; giacchè essi non esorbitano mai, neppure nei momenti di maggiore passionalità e drammaticità, dall'ordine di una profonda e originalissima razionalità, che mai come in quest'opera di un tempo senza tempo Chopin affidò alla comprensione della posterità.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Ballata op. 52, scritta nel 1842, è quella, in fondo, più vicina allo schema classico perché i due temi principali vengono entrambi regolarmente riesposti. Dopo una breve introduzione Chopin espone il primo tema principale in fa minore, lo riespone variato, lo fa seguire da un tema secondario, da un breve sviluppo e da una seconda variazione. Vengono poi esposti il secondo tema principale, in si bemolle maggiore (la tonalità "giusta" sarebbe stata il la bemolle maggiore), e il secondo tema secondario che, come nella Ballata op. 47, scivola senza soluzioni di continuità nello sviluppo. Nella riesposizione il primo tema è di nuovo variato, manca il tema secondario, e il secondo tema principale viene esposto in re bemolle maggiore (invece che in fa maggiore). Il secondo tema secondario è nuovo, e non tematica è la coda, introdotta da cinque celebri accordi "magici", di spasmodica tensione nell'attesa di un evento terrificante.

La coda della Ballata op. 52, come molti lettori ricorderanno, ha offerto di recente lo spunto per il romanzo Presto con fuoco di Roberto Cotroneo.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Negli anni Venti e Trenta del XIX secolo, il repertorio del pianista virtuoso era abbondante di composizioni, tipiche del gusto Biedermeier, brevi e di grande effetto, fra le quali non mancavano certo delle pagine rapsodiche che, in qualche modo, potevano prefigurare quella che sarebbe divenuta la tipologia della ballata strumentale romantica. Tuttavia, prima che Chopin si accingesse, nel 1831, alla stesura della Prima Ballata, il genere che portava questo nome aveva trovato espressione, in ambito musicale, solamente in composizioni liederistiche, o all'interno di opere liriche; in sostanza in pagine che prevedevano l'impiego della voce umana e dunque di un testo poetico; Chopin fu dunque il primo ad attribuire il nome di "ballata" a un brano puramente strumentale. Ciò nonostante si pone ugualmente, per le quattro ballate del compositore polacco, il problema del rapporto con una fonte letteraria.

Già Schumann nel 1841 - nel periodo più intenso della sua attività di critico - affermava di aver appreso dallo stesso Chopin che questi «era stato ispirato per le sue ballate da alcune poesie di Adam Mickiewicz», il sommo poeta romantico polacco; da qui ebbe origine quella tradizione critica, viva ancora nel nostro secolo, che si sforzò di stabilire una correlazione fra alcune delle Ballate e Romanze di Mickiewicz (pubblicate nel 1822) e le ballate di Chopin, attribuendo perfino i titoli di alcune delle opere poetiche alle composizioni musicali. Certo Chopin avrebbe rifiutato questi titoli (come fece in altre occasioni), ma è indiscutibile che egli fosse affascinato dal carattere nazionalistico e insieme epico delle opere del poeta polacco. Il problema centrale della ballata pianistica, dunque, deve essere stato quello di attribuire un carattere narrativo a composizioni prive di un referente testuale, problema risolto da Chopin principalmente sul piano della forma. Le quattro ballate, infatti, hanno in comune, oltre all'adozione del metro fluido di 6/8 o 6/4, il contrasto fra due principali idee tematiche; esse si riallacciano così alla dialettica propria della forma-sonata dell'età classica; ma essendo prive quasi completamente di sviluppi tematici di tipo beethoveniano - reinterpretano l'opposizione bitematica in modo libero, assolutamente originale e specifico per ciascuna ballata.

Complessa la Ballata op. 52 (del 1842) che risente maggiormente della preziosa ricerca timbrica sullo strumento, propria dell'ultimo Chopin, nonché della sperimentazione sul contrappunto, con lo sviluppo delle voci interne e la presenza anche di un piccolo canone. Si tratta della più vicina, fra le ballate, al modello della forma sonata, per la presenza di uno sviluppo centrale su elementi del primo tema. Tuttavia non si può individuare il principio narrativo della composizione in una vera dialettica tematica, quanto piuttosto nel ritorno ciclico, con variazioni, della prima idea, dal carattere dolorosamente esitante, rispetto alla quale la tenera barcarola della seconda idea funge quasi da diversivo. Lo sperimentalismo di Chopin diventa quindi visionario, riflesso di un progressivo distacco del compositore dai meccanismi del consumo musicale della sua epoca.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

La tendenza a una grande struttura formale unitaria è ripresa e portata alle estreme conseguenze nella Ballata op. 52. Un abbozzo di tutta la parte iniziale risale già al 1841, ma il lavoro si prolungò fino all'autunno 1843, allorché l'opera ormai completa fu inviata all'editore Breitkopf. In questo capolavoro dell'estrema maturità figurano, come in una sorta di compendio, tutti i generi coltivati (o meglio, reinventati) dal musicista, fusi nel crogiuolo di una potente concezione formale e di una ininterrotta e altissima tensione espressiva e poetica. Rispetto alle altre Ballate, in questa il primo tema, semplice nella sua estrema purezza melodica, si estende assai più largamente di un secondo tema di carattere tutt'altro che contrastante, ridotto a sole otto battute ripetute una seconda volta con pochissime varianti; ma è proprio questo secondo elemento tematico che inaspettatamente assurge nel corso della composizione a un ruolo sempre più dominante, fino a quei cinque accordi pianissimo che, carichi di mistero, sembrano arrestare all'improvviso il continuo flusso di crescita e di intensificazione espressiva che fa dell'intera composizione un unico grande e inarrestabile crescendo. A tale momento di stasi segue invece il tragico e disperato epilogo, una Coda libera da precisi riferimenti tematici, che porta al calor bianco la tensione e la temperatura espressiva, definitiva conclusione di una vicenda il cui avvio, cosi lirico e sommesso, sembra ormai come perso in una favolosa e remota lontananza.

Francesco Dilaghi


(1) Testo tratto dal programma di sala di Ravenna Festival 1996, 10 Giugno 1996
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 giugno 1996
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 11 marzo 1999
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 21 maggio 1988


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Ultimo aggiornamento 30 marzo 2016