Due polacche per pianoforte, op. 26


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
  1. do diesis minore: Allegro appassionato
  2. mi bemolle minore: Maestoso
Organico: pianoforte
Composizione: 1834 - 1835
Edizione: Schlesinger, Parigi, 1836
Dedica: Josef Dessauer
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quando Chopin compose le sue prime Polacche nel 1817-18 il carattere schiettamente nazionale di questa danza non aveva ancora raggiunto una consistenza riconosciuta. La Polonaise, nata nel XVI secolo come danza cerimoniale della corte e della aristocrazia polacca, aveva travalicato i confini del paese e si era creata una solida tradizione internazionale - si pensi agli esemplari presenti nelle Suites di Bach e più tardi in Beethoven, Schubert, Weber.

Nei primi decenni dell'Ottocento si assiste a una grande fortuna commerciale di questa danza - interpretata in senso brillante e salottiero - e contemporaneamente a una nuova fioritura di Polacche pianistiche e orchestrali nella Polonia post-napoleonica che cercava faticosamente di costruire la propria indipendenza dalle soverchianti pretese espansionistiche di Russia e Prussia.

Oginski, Kozlowski, Elsner costituiscono gli immediati precedenti - oggi pressoché sconosciuti - dello Chopin compositore di Polacche; le prime di esse, composte fra i sette e i quindici anni, risentono indubbiamente delle composizioni analoghe di quegli autori (Elsner fu tra l'altro il maestro di Chopin). Solo nel 1829 con il viaggio a Vienna, che segna il distacco definitivo dalla patria, avviene la grande frattura col passato, frattura che riguarda tutta l'opera di Chopin.

In modo diverso e complementare alle Mazurche, in cui la nostalgia si realizza in piccole forme di struggente intimismo, le Polacche chopiniane sono espressione di eroismo patriottico ma soprattutto di una sensibilità potentemente tragica. La scrittura, in particolare nelle ultime sette - dall'op. 26 alla mirabile Polacca fantasia, op. 61 - è incisiva e grandiosa con effetti orchestrali e perfino teatrali. Gli stessi episodi di distensione - spesso in tonalità maggiori - mantengono attraverso il dinamismo ritmico una straordinaria energia propulsiva.

La serie aurea si apre con un dittico, le due Polacche op. 26, in quanto la prima di esse in do diesis minore presuppone, con la sua chiusa dimessa e non risolutoria, l'esecuzione della successiva Polacca in mi bemolle minore. Mentre la drammaticità della prima, che si apre con un perentorio esordio teatrale, viene stemperata dall'affascinante episodio melodico centrale in re bemolle maggiore, la tragicità della seconda è assoluta. Le prime battute in cupo unisono con accelerando e ritardando continui e un poderoso crescendo sembrano resuscitare, in un contesto pur completamente diverso, la sublime retorica beethoveniana. La melodia cantabile vi è pressoché inesistente.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La polacca, come dice il nome, è la danza nazionale della Polonia, e Chopin, nato in Polonia da padre francese e da madre polacca, è culturalmente polacco. La polacca, danza nazionale di successo internazionale, accompagna dunque tutta l'attività creativa di Chopin, dai sette (Polacca in sol minore) ai trentasei anni (Polacca-Fantasia op. 61).

La polacca, danza dell'aristocrazia, fastosa e pomposa (basti pensare all'atto polacco del Boris Godunov di Musorgskij), era diventata intimistica e sentimentale con un compositore dilettante, Michal Kleofas Oginski (1765-1833), le cui venti Polacche ottennero una vasta diffusione tra i dilettanti di pianoforte di tutti i paesi. Chopin parte dall'Oginski e da altri compositori polacchi dei primi trent'anni dell'Ottocento. Ma con le due Polacche op. 26 conferisce al genere un ethos che non aveva prima avuto.

Le Polacche op. 26, composte fra il 1834 e il 1835, arrivano dopo l'insurrezione del 1830-31, e cantano in modo drammatico, potremmo dire verdianamente, la «patria oppressa». Allo scoppio dell'insurrezione polacca contro i russi occupanti - novembre 1830 - Chopin si trovava a Vienna. Le sue lettere alla famiglia esprimono e entusiasmo e preoccupazione e bellicosi propositi contro i moscoviti. Ma Chopin non rientrò in Polonia e seguì da lontano le varie fasi del ritorno in forze dei russi. Quando Varsavia venne rioccupata - settembre 1831 - si trovava a Stoccarda: fu per lui uno choc terribile, testimoniato dalle lettere e ancor più dalle pagine di un diario. Poi, giunto a Parigi, Chopin trovò gli esuli che dalla Polonia erano fuggiti in gran numero e che avevano trovato asilo nella Francia di Luigi Filippo. Le due Polacche op. 26 rappresentano appunto, a parer mio l'espressione di sentimenti violenti, provocati dai recenti avvenimenti e non ancora del tutto sublimati.

O meglio, non ancora del tutto sublimati nella seconda Polacca, che è una polacca vera e propria, con il caratteristico ritmo di danza che la percorre da capo a fondo. Nella prima Polacca il ritmo caratteristico viene invece appena citato dopo le prime quattro battute introduttive del primo episodio e ripreso per un attimo nel secondo episodio. Non più danza, dunque, ma poema su una nazione di cui il ritmo della danza è simbolo. La costruzione è ancora squadrata come quella della danza tradizionale, con netta separazione tra i diversi episodi, ripetizioni, simmetrie prevedibili. Ma lo spirito è nuovo: drammaticamente teso e dolorante nella prima parte e nella terza (ripetizione della prima), nostalgicamente dolce, fino allo spasimo, nella parte centrale. La difficoltà non è elevata, la scrittura pianistica non è quella del Primo Scherzo e della Prima Ballata, composizioni in cui la dimensione epica dei contenuti si sposa alla monumentalità della forma. Nel campo della polacca Chopin raggiungerà questo traguardo supremo solo alla fine, solo nella Polacca-Fantasia op. 61; però il cammino che conduce all'op. 61 si apre appunto con l'op. 26 n. 1.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con una polacca in sol minore, scritta e pubblicata quando aveva sette anni, Chopin esordì come compositore. Chi esamini la breve pagina dedicata dal ragazzo alla madrina contessa Skarbek, può farsi un'idea della struttura formale tipica di questa danza dal ritmo ternario caratterizzato da un attacco dattilico fortemente accentuato, e tale da conferire al brano un incedere baldanzoso e ardentemente cavalleresco. Insieme con le Mazurche, le Polacche fanno le spese del "nazionalismo" chopiniano: un nazionalismo invero tutto immaginario e rigorosamente filtrato da una vocazione artistica squisitamente colta, come del resto hanno dimostrato gli studi più recenti sui rapporti tra l'opera chopiniana e il folclore polacco. Composte tra il 1834 e il 1835, le due Polacche dell'op. 26 sono da ritenere tra i primi esempi del genere, espressi dalla piena maturità stilistica del compositore. La prima di esse alterna, nella prima parte, le impennate drammatiche di violente appoggiature in battere e di fragorosi accordi ad un fervido canto accorato; il Trio "con anima", tutto concentrato sulle discrete sonorità del registro medio con rari sfoghi nelle zone più luminose della tastiera, presenta un ordito armonico assai cangiante e, nella parte centrale, una sorta di contrappunto doppio tra le due voci estreme. Altrettanto intima e raccolta è la Polacca in mi bemolle minore, la quale ha inizio con una breve introduzione dalle tinte oscure e velate; mentre il tema vero e proprio appare in un "fortissimo" seguito, come già nella precedente, da un'idea subordinata ("agitato") la cui linea ascensionale è resa fabbrile e stravolta dalla estrema tensione armonica.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 novembre 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 12 gennaio 1996
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 aprile 1981


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Ultimo aggiornamento 2 luglio 2016