Polonaise-Fantasie in la bemolle maggiore per pianoforte, op. 61, BI 159, CI 156


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
Organico: pianoforte
Composizione: 1845 - 1846
Edizione: Brandus, Parigi, 1846
Dedica: Mme A. Veyret
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Polonaise-Fantaisie appartiene all'ultimo periodo della creatività di Chopin (1846-'47) e costituisce uno degli esiti più ambiziosi di quel pianismo dalla forma "aperta", proiettata verso esperienze artistiche del futuro. Per la prima volta spariscono completamente i tradizionali segni dei "ritornelli" e le conseguenti ripetizioni testuali. Infatti per Chopin la Polacca non è più soltanto una danza, ma un poema di complessa articolazione, in cui le nostalgie dell'esule volontario.non si appagano di rievocazioni, ora struggenti, ora pittorescamente fastose, pur sempre improntate ad un geloso intimismo. Il virtuosismo della scrittura, sotto l'influsso delle parallele conquiste lisztiane, si fa più eloquente e vigoroso, così da sostenere l'empito di una nuova espressività, di maggiore risonanza epica.

Dal punto di vista tecnico la Polonaise-Fantaisie presenta il seguente scheletro compositivo: Introduzione in la bemolle maggiore; primo gruppo tematico in la bemolle maggiqre; secondo gruppo tematico in la bemolle maggiore e in mi maggiore; sviluppo del primo gruppo tematico; terzo gruppo tematico in si bemolle maggiore e si maggiore; intermezzo con due episodi con il quarto gruppo tematico in si maggiore e il quinto gruppo tematico in sol diesis minore, si maggiore e fa minore; ricapitolazione del primo gruppo tematico in la bemolle maggiore e ricapitolazione del quarto gruppo tematico in la bemolle maggiore. Di fronte a questa struttura è facile immaginare come niente sia affidato al caso in tale composizione, anche se si avverte una estrema variabilità di situazioni psicologiche e sentimentali, indicative della fragile personalità di Chopin. Bisogna aggiungere che i contemporanei non capirono a fondo la novità del linguaggio di questa Polacca, pur apprezzandone le intuizioni armoniche e timbriche. Non mancarono successivamente esegeti che sottolinearono il magistero della forma musicale, dove «ogni evento sonoro suona inevitabile, ma non prevedibile» (Rawsthorne).

Complessivamente in quest'opera di straordinaria varietà di accenti è proiettata tutta la gamma dell'arte del musicista, che anche in questa occasione non è inferiore alle altezze inventive raggiunte negli Studi, negli ultimi Notturni e nella mirabile Berceuse.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Danza per un'incoronazione: per quanto possa sembrare curioso, è questa la notizia più remota giuntaci sulla polacca. Quando, nel 1573, la Dieta di Varsavia elesse re Enrico III di Valois, dignitari, prelati e nobili polacchi si recarono a Parigi per annunciargli l'elezione. Nel corso del ricevimento, musicisti del seguito e liutisti francesi eseguirono la prima polacca che la storia ricordi (di cui però non è rimasta traccia). Erano queste forme in stile passeggiato, lente e solenni, con introduzione in stile di fanfara, tipiche delle feste di Corte. Da qui ad arrivare alle grandi polacche di Chopin, naturalmente il passo era ancora lungo.

La polacca si diffuse nel 1600 e 1700 in tutta Europa e via via modificò lo schema originario, perfezionandosi anche nell'architettura: oltre all'inserimento di un Minuetto interno - sostituito all'epoca di Mozart da un Trio - si aggiunse la Ripresa finale, che diede così vita a quel perfetto modello ternario tipico dell'Ottocento. Nel frattempo, verso la fine del 1700, la polacca intesa come danza cadde in disuso, divenne stilizzata e si trasformò in genere musicale. Perse la severità precedente, assunse una visione più intimistica e sentimentale.

È un genere ormai «storico» quando Chopin inizia a frequentare i salotti aristocratici e si diletta a comporne per le nobildonne dell'alta società. Di suo Chopin seppe metterci la raffinata arte pianistica, la limpidezza e la coerenza strutturale. Fryderyk lasciò diciotto polacche, di cui l'ultima è la Polacca-Fantasia in la bemolle maggiore op. 61. Completata tra la primavera e l'estate del 1846, fu presto spedita a Breitkopf & Härtel per la pubblicazione.

Se vogliamo ricordare il rigore che caratterizzava ogni scelta chopiniana, anche nel titolo, la presenza dei due termini Polacca e Fantasia, non può passare insosservata. Si trattava evidentemente di un chiaro discostamento dalla polacca semplice. La struttura è infatti alquanto complessa, e riflette una sorta di forma-sonata assai libera: a una larga e assorta introduzione, fa seguito la parte espositiva, con tre variegati gruppi tematici; la sezione centrale è organizzata su due nuove idee, ma comprende nel finale anche il lento riaffiorare degli accordi introduttivi; segue poi una ripresa variata, allargata da una declinante coda. Quello che più colpisce è la particolare configurazione del discorso musicale: la melodia scorre continua e omogenea, organizzata in unità tematiche consequenziali l'una all'altra e mai in conflitto, innervata da finissime varianti ritmiche, resa organica da ponti e frasi di congiunzione che paiono nascere per gemmazione spontanea dagli stessi temi principali. Un mirabile processo di sintesi che rende il tessuto musicale simile a un fine reticolo continuamente cangiante, però perfettamente ordinato. L'armonia è assai mobile, con frequenti modulazioni usate, più che per una maggiore drammatizzazione, per il vivace effetto cromatico, a conferma di una spiccata attitudine pittorica. Si tratta di una tecnica assai ricca di mezzi espressivi e flessibile sotto l'aspetto formale, il cui elemento ispiratore diviene la pura espressione del sentimento: si passa così dalla quieta contemplazione all'irruente passionalità, dall'abbandono estatico allo struggimento esistenziale, al desiderio nostalgico.

All'inizio intervalli di quarta discendente sono incastonati come delicate concrezioni melodiche su accordi amplificati dall'uso del pedale di risonanza. Da essi si sprigionano, su larghe volute che abbracciano l'intera tastiera, cristallini arpeggi ascendenti. È un inizio incantevole, vago, sognante. Quasi uscendo da un paesaggio brumoso, pian piano si distinguono i contorni di una figura, il primo nucleo tematico che ben presto, annunciato da uno squillo energico, acquisterà sostanza, verrà enunciato nella sua interezza e dominerà la scena. La seconda idea è un soffio leggero, sospinto su vaporose semicrome ascendenti; man mano acquista consistenza, si irrobustisce e diviene trascinante nel momento in cui rientra il primo tema sotto forma di variazione. È un momento affettivamente assai intenso (Chopin di lì a poco scrive agitato), il cui impeto emotivo si infrange inaspettatamente sull'elegante e squadrata figura del terzo gruppo, un motivo squisitamente chopiniano, prima esitante, poi minuziosamente variato attraverso una serie inusitata di ornamentazioni melodiche e ritmiche. La parte centrale (un Trio) si apre con un austero tema accordale che presto, dopo poche battute, allarga il respiro, assume toni narrativi, richiama lo stile epicheggiante della ballata. Il secondo elemento consiste in un'idea cantabile appena esitante su di un breve recitativo, poi liberata nella fantasiosa vocalità pianistica chopiniana e conclusa su di un trillo prolungato. Qui tornano, come reminiscenza, il tema austero di questa sezione intermedia, il misterioso incipit dell'introduzione e il secondo tema della stessa sezione. La Ripresa è costruita principalmente sul primo tema di polacca e sul primo del Trio, che ricompaiono variati in senso enfatico e di esaltazione eroica. Essa è avviata da una vorticosa frase in semicrome che introduce in veloce successione i due temi, ampiamente intensificati sia sotto il profilo motorio che sotto quello dinamico. Il sotterraneo fremere offerto da un trillo al basso, mentre le voci interne scendono cromaticamente, conduce la polacca all'epilogo nel secco accordo finale.

Marino Mora

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'op. 61 conclude, se così si può dire, la serie delle Polacche, altro genere indissolubilmente legato al nome di Chopin. Dopo aver esaurito con l'op. 53 ogni indagine regolare su questa forma che anche nel nome ricordava la Polonia, Chopin la fonde con quella della Ballata e della Fantasia in un pezzo del tutto nuovo che consta di sette episodi legati tra loro, più che da richiami tematici, da una profonda unità di atmosfera. L'introduzione è malinconica e sognante e la nostalgia sembra essere la cifra dell'intero lavoro, ma associata, come spesso avviene nelle opere di Chopin che richiamano la patria, a momenti di eroica determinazione. Splende, nell'intrecciarsi dei vari episodi, una serie straordinaria di trovate armoniche che sono state oggetto di appassionate esegesi.

Bruno Cagli

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Disseminate come le Mazurke lungo tutto l'arco creativo di Chopin, le Polacche si distinguono per un tono più virile e magniloquente più vicino alla parata che alla danza. La Polacca-Fantasia op. 61, l'ultima Polacca di Chopin, composta nel 1845 e pubblicata l'anno seguente, è uno dei lavori più straordinari e significativi degli ultimi anni del musicista. L'audacia della concezione formale che dissolve tutti gli schemi precedentemente seguiti portò all'incomprensione di tutti i primi commentatori mettendo a disagio perfino Franz Liszt, il più acuto e lungimirante. Ancora agli inizi del nostro secolo Ippolito Valletta nella sua grande biografia di Chopin rilevava che l'op. 61 «non regge al confronto con le due Polacche precedenti (op. 44 e 53) e concludeva: «il lavoro appartiene a quell'ultimo periodo che ci appare come dominato da una febbrile ansietà non sempre concludente».

In una lettera indirizzata alla famiglia nel dicembre 1845 Chopin scriveva: «Ora vorrei terminare una Sonata per violoncello, una Barcarola e qualche cosa ancora che non so come intitolare». Il musicista stesso si trovava dunque indeciso sul termine adatto per definire la sua composizione più audace risolvendosi poi per un doppio titolo, quello appunto di Polacca-Fantasia, che giustificasse la particolare libertà della forma.

L'enunciazione del tema principale preparato dal caratteristico ritmo di fanfara, l'unico elemento che rimandi alle Polacche precedenti, è fatta precedere da una introduzione misteriosa dal carattere di doloroso recitativo. Nella Polacca-Fantasia sono isolabili tre figure melodiche dominanti collegate da una fitta rete di relazioni: la prima in la bemolle maggiore (Allegro maestoso) incisiva e guerresca, la seconda in si maggiore (Poco più lento) cullante e dolcissima, la terza, interrotta da sette straordinarie misure di pura invenzione timbrica nel sovrapporsi di trilli e dalla ripresa dell'incipit dell'introduzione, ha infine un tono malinconico e appassionato. La pagina acquista cosi una possibile struttura tripartita con una prima parte marziale e imperiosa, una sezione centrale più lenta, quasi improvvisatoria, e una terza che vede la ripresa variata da uno scalpitante ritmo puntato di ottave nella sinistra, fino a spengersi in un trillo del basso con funzione di pedale conclusivo.

Giuseppe Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 Ottobre 1992
(2) Testo tratto dal n. 66 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 8 giugno 1983
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Palazzo Pitti, 12 luglio 1982


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Ultimo aggiornamento 18 maggio 2016