Scherzo n. 3 in do diesis minore per pianoforte, op. 39, BI 125, CI 199


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
Organico: pianoforte
Composizione: Primavera - Estate 1837
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1840
Dedica: Adolphe Gutmann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo un'enigmatica introduzione fatta di movimenti rapidi e furtiv appare il tema della prima sezione (A) costituito da vigorose ottave staccate in modo minore. Il tema si intreccia quindi a un accompagnamento accordale dispiegandosi in un lungo crescendo, per poi tornare alla forma iniziale a ottave staccate con alcune varianti conclusive.

In netto contrasto con la prima parte, l'episodio centrale B presenta invece un tranquillo corale al quale fa da controcanto una delicata pioggia di arpeggi spezzati.

Da questo stesso controcanto prende spunto una serie di frasi ad arpeggi che porta nuovamente al corale, riproposto con alcune varianti, e con sequenze accordali che conducono alla ripresa di A. La sezione B viene a sua volta riesposta, ma trasportata di tonalità similmente a un secondo tema di forma sonata, per poi essere rielaborata con la trasposizione in modo minore e con la sovrapposizione contemporanea dei suoi due elementi, ovvero: gli arpeggi alla mano sinistra e gli accordi alla destra, mossi in un accalorato crescendo che confluisce in una travolgente coda conclusiva dall'indicazione «con fuoco».

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La complessità e l'autonomia dei Quattro Scherzi composti da Chopin nell'arco di dodici anni, tra il 1831 ed il 1842, possono essere comprese solo sottraendoli alla consueta collocazione all'interno eli una grande forma sonatistica in più movimenti, dove la loro funzione è parentetica e distensiva rispetto alla tensione concentrata di un Allegro o di un Adagio. Con Chopin invece lo Scherzo diviene esso stesso grande forma, quasi assorbendo la leggerezza e la giocosità delle movenze che lo contraddistinguono nella carica di forti contenuti drammatici ed emotivi. Dalla dialettica di contenuti e atteggiamenti contrastanti deriva non solo l'insolita ampiezza delle dimensioni ma anche l'impianto formale, che si allontana dalla tradizionale struttura tripartita per orientarsi verso una costruzione strofica più differenziata; nella quale, dopo l'introduzione e la presentazione tematica, si alternano sezioni di sviluppo di diverso carattere (con una, più o meno centrale, lenta e sostenuta, cui spetta il compito di alleggerire e stemperare il clima acceso); per culminare, dopo la ripresa, in una Coda di rapinoso virtuosismo. L'unità di fondo di questa nuova concezione formale è ribadita dal fatto che il movimento di base è di un unico tipo (Presto nel secondo e nel quarto Scherzo; Presto con fuoco nel primo e nel terzo), il tempo è sempre 3/4 e vi sono usate solo tre figure musicali: la minima, la semiminima e la croma. Con questi elementi Chopin inventò i suoi temi e le sue figurazioni, le sue immagini e i suoi collegamenti, pervadendoli di un'incessante energia motoria e centrifuga.

Tutti questi aspetti sono portati nello Scherzo n. 3 in do diesis minore op. 39 a un livello altissimo di concentrazione. Fin dall'introduzione si instaura un clima di angoscia, di inquietudine interiore, musicalmente formulato con la ripetizione di un frammento in ottave nella regione grave della tastiera e piano, sospeso sul vuoto di una enigmatica indeterminatezza ritmica e tonale, separato da drammatiche pause e reso ancor più ansioso dalla contrapposizione per tre volte nel forte di risoluti accordi tenuti. L'irruzione del primo tema in do diesis minore e in doppie ottave, con la sua martellante energia ritmica, scarica in aggressività questa attesa, ma è ben lungi dal cancellarne il ricordo; essa è piuttosto, frutto di una volontà affermativa che voglia preparare una più alta visione. E questa si presenta nella seconda sezione in re bemolle maggiore, con un motivo di corale di solenne gravità religiosa, prima anelante alla liberazione e alla luce e poi, a poco a poco, risucchiato nella frenesia del terna iniziale, che annuncia drammaticamente lo sviluppo.

Questo si basa su un percorso a ritroso sul materiale dei due temi, mirante non tanto a elaborarne i motivi quanto a rafforzarne il carattere contrastante, radicalizzandone nello stesso tempo le prospettive. Con effetto sorprendente e fortemente simbolico, proprio quando sembrerebbe che l'atmosfera del primo tema si affermasse in tutta la sua aggressiva disperazione, il secondo tema fa letteralment esplodere, nella tonalità di do diesis maggiore, la melodia del Corale, in un movimento di ascesa non più contraddetto da alcunché e raggiante di luce e di calma: celebrando una vittoria dello Spirito che la Coda vorticosa chioserà con strepitosi inni di lode.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il nome e la fama universale di Chopin sono legati indissolubilmente alle composizioni per il pianoforte. Si tratta di settantaquattro opere numerate, più dodici senza numero d'opera, e comprendono: i due Concerti con orchestra, op. 11 in mi minore e op. 21 in fa minore, e ancora con orchestra le Variazioni op. 2 sul duetto «Là ci darem la mano» dal «Don Giovanni» di Mozart, il Rondò da concerto «Krakowiak» op. 14 e l'Andante spianato e Grande Polacca brillante op. 22. Inoltre, tre sonate, fra cui l'op. 35 dove figura la celeberrima Marcia funebre; quattro Ballate; sedici Polacche; cinquantanove Mazurke; ventisei Preludi; ventuno Notturni; venti Valzer; un Bolero; una Tarantella; una Berceuse, tre Écossaises, la Polacca-Fantasia op, 61, un vero poema di larga e complessa articolazione; cinque Rondò; quattro Scherzi; tre Variazioni; ventisette Studi (i dodici dell'op. 10, i dodici dell'op. 25, i tre composti per la grande Méthode des méthodes di Moscheles e Fétis), il Trio con pianoforte op. 8 e pochi altri pezzi anche con violoncello,

Paragonata all'eredità di un Mozart o di uno Schubert, la produzione chopiniana è ben piccola cosa sotto il profilo della quantità, ma è innegabile l'enorme valore musicale, estetico, filosofico e umano del pianismo personalissimo e senza confronti di questo artista, che ha sintetizzato in sé le caratteristiche salienti e il clima spirituale di un'epoca che fu dei romantici e di Leopardi, raggiungendo spesso con poche figurazioni melodiche, nel contesto di un discorso armonico e ritmico di raffinata calibratura, le vette più alte della poesia, di quella poesia del «fiore azzurro», secondo la definizione del Novalis, la quale esprime la speciale disposizione del cuore umano a sentirsi felice tanto nella tristezza quanto nel godimento, tanto nel sogno quanto nella realtà. «Lo stile del suo suono è come quello delle sue opere, unico»: così disse Schumann dopo aver ascoltato Chopin in un recital a Lipsia; infatti nessun altro musicista meglio del grande compositore e interprete polacco ha saputo realizzare una unità tanto perfetta fra tecnica ed espressione artistica, fra sentimento e intelligenza, fra immaginazione e riflessione, pur condannato dalla natura alle più angosciose sofferenze fisiche che lo condussero alla morte a soli 39 anni, nella notte del 17 ottobre 1849, pianto sinceramente dai migliori ingegni della cultura e dell'arte europea del tempo.

Chopin scrisse quattro Scherzi in tonalità diverse (in si minore op. 20; in si bemolle minore op. 31; in do diesis minore op. 39; in mi maggiore op. 54) che non si richiamano affatto agli analoghi tempi inseriti nelle Sonate e nelle Sinfonie beethoveniane, ma riflettono un tipo di composizione dalla fisionomia tutta particolare, dove la fantasia dispiega la propria libertà di espressione nei modi e nelle forme più opportune. Secondo l'opinione di qualche critico autorevole, come il polacco Jachimecki, gli Scherzi presenterebbero alcune analogie stilistiche e formali con le Ballate per quel carattere rapsodico e dai sentimenti contrastanti che caratterizza questa «forma» pianistica chopiniana. Il fatto si è che, all'infuori delle Mazurke, delle Polacche e dei Valzer ispirati a procedimenti narrativi ben precisi, l'intera opera di Chopin non può essere incasellata e circoscritta sotto questa o quella etichetta, perché certe strutture e certe soluzioni linguistiche e armoniche si ritrovano con identica chiarezza e a volte con le stesse figurazioni sia negli Studi che nelle Ballate e negli Scherzi.

Lo Scherzo che è in programma stasera è il terzo della serie e l'autore lo scrisse tra l'inverno e l'estate del 1839, in parte a Maiorca e in parte a Nohant, residenza di George Sand, nella regione del Berry. Il lavoro, che fu pubblicato nel 1840 e dedicato ad Adolfo Gutmann, uno degli allievi prediletti di Chopin, ha la forma di un primo tempo di sonata: si apre con una introduzione interrogativa e misteriosa, cui segue un primo tema in fortissimo nella tonalità fondamentale e successivamente un secondo tema in re bemolle maggiore, che è una specie di corale su una armonia a cinque voci. I due temi si alternano e si incastrano con notevole varietà di trasposizioni tonali e secondo una scrittura pianistica molto ricca; nella parte centrale i versetti del corale sono intonati con sonorità di tipo organistico e sono inframmezzati da un fregio ornamentale di sonorità arpistica.

Questa composizione ha suscitato a suo tempo varie interpretazioni in chiave letteraria e la più nota rimane quella fornita dallo studioso chopiniano Ippolito Valletta, il quale così ha scritto: «Per la landa brulla e desolata nella quale ci introducono le prime battute di colore fosco risuonano tre appelli di potenti fa diesis; una frase imperiosa sembra chiamare a raccolta gnomi e folletti che non tardano a comparire, danzando tumultuosamente. Mentre un uomo, calmata la ciurma, sta per parlare si ode di lontano un corale religioso, la scena si rischiara, le arpe con tocchi leggeri accompagnano una visione di angeli e di beati. La turba infernale rimane attonita, il corale risuona più alto e armonizzato e si alterna con arpe lontane che man mano si dileguano. I due temi, il demoniaco e il celestiale, sono lumeggiati con arte squisita, finché con un procedimento più sinfonico che pianistico la schiera degli spiriti infernali si anima e si abbandona alla ridda».

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Giunto a Parigi, capitale del concertismo internazionale, nel 1830 Frederic Chopin giunse presto a una somma celebrità come pianista-compositore; egli tuttavia, scarsamente incline a una scrittura pianistica basata su giochi "di forza" e su effetti eclatanti, non riuscì a imporsi nelle sale da concerto, ma piuttosto nei salotti dell'alta società, seducendo il suo pubblico nobile e alto-borghese con la proposta di incanti timbrici, di sonorità dinamicamente contenute ma ricchissime di sfumature espressive. Accanto a numerosi brani di preziosa, ineccepibile fattura, anche se di intenti prevalentemente decorativi, un numero più contenuto di composizioni esprime al meglio le ambizioni apertamente rivoluzionarie dell'autore; fra queste composizioni, in cui le peculiarità della scrittura pianistica diventano il tramite per risultati di carattere formale, lo Scherzo op. 39 occupa un posto non secondario.

La forma dello Scherzo si era imposta, all'interno della forma classica, a sostituire il vecchio Minuetto ed era poi divenuta autosufficiente, caricata di implicazioni drammatiche. Nello Scherzo in do diesis minore (composto nel 1838-39 e pubblicato l'anno seguente) Chopin - nel rispetto sostanziale dello schema beethoveniano ABABA - persegue un'arditissima ricerca timbrica e armonica, giocata sui contrasti fra due grandi blocchi tematici: un vigoroso tema discendente in ottave e un soave corale, trapuntato da sommesse "cascate" di crome nel registro acuto. A significare il traguardo segnato dal brano basterebbero già le battute introduttive, esplicitamente atonali; ma è la logica di contrapposizioni, fra Scherzo e Trio come fra i differenti registri della tastiera, a donare alla pagina la sua coerente, densissima tensione espressiva.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 131 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Ravenna festival 1996, 10 Giugno 1996
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Febbraio 1982
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 maggio 1995


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Ultimo aggiornamento 8 febbraio 1989