Sonata per pianoforte in si minore, op. 40 n. 2


Musica: Muzio Clementi (1752 - 1832)
  1. Molto adagio e sostenuto. Allegro con fuoco e con espressione
  2. Largo (mesto e patetico). Presto
Organico: pianoforte
Composizione: 1802
Edizione: Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, Londra, 1802; Naderman, Parigi, s. a. (come op. 41); Pleyel, Parigi, s. a. (come op. 42); André, Offenbach, ca. 1810 (come op. 46)
Dedica: Fanny Blake
Guida all'ascolto (nota 1)

Con la sua attività d'insegnante, di costruttore e commerciante di pianoforti, di editore, di concertista e di compositore, Clementi è intervenuto in ogni fase del ciclo della produzione e diffusione della musica pianistica, proprio negli anni in cui il pianoforte, definitivamente emancipatosi dal clavicembalo, stava affermandosi come lo strumento principe, nelle case private e nelle sale da concerto.

Dunque questo musicista - romano di nascita, ma presto allontanatosi definitivamente dalla sua città e stabilitosi in Inghilterra - fu un protagonista assoluto della storia del pianoforte. Che ancora adesso ogni pianista in erba debba faticare a lungo sui suoi Studi è la dimostrazione che ha lasciato un segno profondo e incancellabile nella tecnica pianistica dei duecento anni successivi. Almeno altrettanto importante di quello che ha insegnato direttamente o indirettamente a legioni di pianisti, illustri e meno illustri, è quello che ha insegnato a proposito del pianoforte ai compositori, a partire da Beethoven stesso, che ha imparato molto da Clementi, soprattutto per quanto riguarda la fitta tessitura della scrittura pianistica, l'uso dei raddoppi, lo sfruttamento delle zone estreme della tastiera, la dinamica intensa e mutevole, la varietà quasi orchestrale dei timbri e dei registri.

Tutto questo nessuno lo contesta più, mentre ancora si sottovaluta il Clementi compositore, anche perché lo si conosce poco e male. In parte la responsabilità è del compositore stesso, che non solo ha lasciato la sua opera in grande disordine (tanto che solo nel 1967 ne è stato redatto il catalogo, mentre non ne esiste ancora un'edizione organica e tanto meno un'edizione critica), che scriveva musiche di livello molto disuguale e pubblicava qualsiasi cosa scrivesse. E anche nei lavori più impegnati, accostava spesso pagine di grande valore ad altre di puro mestiere: è quanto si riscontra in gran parte della sua produzione sonatistica, ma tra le Sonate che sfuggono a questo limite sta senz'altro quella in si minore, la seconda dell'op. 40, pubblicata nel 1802 a Londra dalla casa editrice dello stesso Clementi.

Tutte e tre le Sonate di questa raccolta sono «grandi sonate», nell'accezione usata da Beethoven: sono cioè composizioni da concerto, di grandi dimensioni, sperimentali nello stile e nella forma, esigenti con l'esecutore e con l'ascoltatore. Queste sono anche le prime Sonate composte da Clementi nel secolo appena iniziato e sembrano effettivamente consapevoli di essere figlie di una nuova epoca. La Sonata in si minore è la più ardita delle tre e si spinge molto avanti nella ricerca di nuove soluzioni formali, tese a conferire la massima unitarietà all'intero pezzo: a questo scopo Clementi la articola in due ampi movimenti Allegro in forma-sonata, ognuno preceduto da un'introduzione lenta.

Apre la Sonata un Molto adagio e sostenuto, il cui tema scarno e spoglio rifugge da facili attrattive melodiche, mentre aspre dissonanze conferiscono a quest'introduzione un marcato patetismo. L'Allegro con fuoco e con espressione presenta più d'una particolarità di rilievo rispetto a un normale tempo in forma-sonata. I suoi due temi non sono contrapposti ma, pur diversi, hanno un carattere simile, energico e dinamico, e inoltre sono entrambi alla tonica, mentre alcune idee contrastanti compaiono nelle tonalità di re maggiore e fa minore. Una grande mobilità tonale caratterizza l'inizio della sezione di sviluppo, che si apre col ritorno del primo tema in un inatteso sol maggiore, quindi si distende in una breve parentesi in mi bemolle maggiore, poi riprende il suo tumultuoso percorso, senza precludersi passaggi virtuosistici, e raggiunge dimensioni fuori dall'ordinario.

Il Largo mesto e patetico è unito indissolubilmente all'Allegro seguente. Non solo il secondo tema del Largo ritorna come primo tema dell'Allegro ma - con un procedimento che ricorda la Sonata in do minore "Patetica" di Beethoven, pubblicata tre anni prima - il Largo viene ripetuto prima della ripresa, che questa volta si presenta in tempo ancora più rapido (Presto) e porta il movimento a sfociare in una coda di potente agitazione e drammaticità.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 gennaio 1996


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Ultimo aggiornamento 8 ottobre 2013