Sinfonia n. 3


Musica: Aaron Copland (1900 - 1990)
  1. Molto moderato
  2. Allegro molto
  3. Andantino quasi allegretto
  4. Molto deliberato
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, campane tubolari, xilofono, incudine, tam-tam, triangolo, clave, woodblock, frusta, grancassa, tamburo militare, tamburo piccolo, sonaglio, 2 arpe, celesta, pianoforte, archi
Composizione: 1944 - 1946
Prima esecuzione: Boston, Symphony Hall, 18 ottobre 1946
Edizione: Boosey & Hawkes, New York, 1946
Guida all'ascolto (nota 1)

Storicamente Copland si colloca in quella generazione di artisti americani che all'inizio del Novecento aveva volto lo sguardo verso l'Europa non solo per perfezionare i propri studi ma per ottenere determinati modelli stilistici: e, trattandosi di musicisti, non più verso la Germania degli epigoni di Liszt o di Wagner, ma verso la Francia, ritrovando nella temperie culturale parigina, precedente o subito successiva alla prima guerra mondiale, il punto d'incontro più congeniale di qualsiasi ricerca o di qualsiasi esperienza in tutti generi d'arte. E' stata quella la generazione di Gertrude Stein, di Sherwood Anderson ed Ernest Hemingway, e, nel campo musicale, di Elliot Carter, Roy Harris, Douglas Moore, Walter Piston, Virgil Thomson, ed appunto di Copland che, dall'iniziale formazione newyorkese con Goldmark, era approdato all'École de Fontainebleau e poi ai celeberrimi corsi di perfezionamento da Nadia Boulanger. Fu proprio per quest'ultima che Copland scrisse nel 1924 una Sinfonia per organo e orchestra, decisamente anticonvenzionale ma senza quella specifica caratterizzazione stilistica, che invece venne a concretarsi l'anno seguente, al ritorno negli Stati Uniti, con Music for the Theatre (1925) nell'impiego di elementi jazzistici, cioè dei mezzi espressivi che egli considerava i più autenticamente americani: sulla stessa linea è situato poi il Concerto per piano e orchestra (1927). Ma con la successiva Symphonic Ode (1928) Copland sembrò far ritorno agli stilemi stravinskyani del soggiorno parigino e le Variazioni per pianoforte (1930) segnarono il limite estremo di tale intellettualistica fase creativa, marcata da complesse strutture ritmiche, difficili nell'esecuzione e d'ancor più impervia accessibilità al primo ascolto. Proprio nell'era appena emergente dei «mass-media» (radio, fonografo, cinema) secondo il pragmatismo dell'americano medio, Copland nutrì il desiderio di riuscire a comunicare con un pubblico sempre più vasto, semplificando la sua maestria compositiva e utilizzando motivi melodici folclorici e popolari.

Si realizza così la grande stagione di Aaron Copland, che in breve tempo lo ha fatto considerare il compositore di musica colta più celebre ed apprezzato d'America, non solo nell'aspetto del linguaggio quanto nella tecnica della scrittura, sempre più magistrale. La «practical poetry» di Copland viene ad applicarsi specialmente al genere del balletto, da Salon Mexico (1933) a Danzon Cubano (1942), dalla Saga of the Prairie (1937) a Billy the Kid (1938), da Rodeo (1942) ad Appalachian Spring (1943), che impiega canti pentatonici della costa atlantica, fin'allora sconosciuti. Proprio tale esperienza, nutrita di citazioni ed assimilazioni folcloriche, ha suggerito il raffronto con un altro compositore americano per il quale il background americano costituì un substrato caratteristico, Charles Ives, con la differenza però - come ha notato Massimo Mila - che in quest'ultimo la citazione popolare o religiosa risulta un richiamo della memoria al favoloso mondo della sua infanzia, secondo un metodo indiretto, mentre in Copland l'aggancio con la realtà è un procedimento che si verifica dall'esterno, con l'ascoltatore a ritrovare direttamente in quelle citazioni il nesso con il mondo circostante. Quindi in Copland il motivo popolare non è una fantastica ricostruzione della memoria ma un dato oggettivo per la realizzazione di una musica destinata ad essere pregiudizialmente comunicativa, pur nell'impiego di una scrittura a tratti politonale, vivacemente marcata nella ritmica e con l'adozione di una fiammeggiante timbrica strumentale, ricca di un dovizioso gioco percussivo, nel contesto di un'armonia sostanzialmente tonale ma con frequenti ed improvvise dissonanze, secondo la corrente realtà stilistica della musica popolare. Ed è stato in proposito anche osservato che l'eclettismo è la sigla più sintomatica dell'attività compositiva di Copland, secondo una tecnica d'assimilazione del materiale linguistico non molto dissimile dalla ben nota «cleptomania musicale» dello Stravinsky neoclassico. Ma è anche interessante notare come Copland affronti il lessico americano, avvolgendolo in una scrittura orchestrale raffinata, spesso di vocazione cameristica in modo da creare un prodotto artigianale di qualità nel quale l'impianto tematico di melodie, forse piene di sentimenti per l'americano medio di buona famiglia, viene ad essere distillato in preziosità strumentali, lucidamente personalistiche.

Allo stile di Appalachian Spring, pur se non fa uso diretto di temi folcloristici, appare assai prossima la Terza Sinfonia, risultando permeata di motivi pastorali, di strutture barocche e di ritmi d'ascendenza popolare. Lo dichiara espressamente il compositore, asserendo che «almeno tale aspetto della sinfonia è inequivocabile, qualsiasi riferimento al jazz o al folclore apparendo meramente inconscio, inconsapevole».

Scritta su commissione della «Koussevitzky Music Foundation» in memoria di Natalie Koussevitzky negli anni tra il 1944 e il 1946 ed eseguita per la prima volta in pubblico nell'ottobre del 1948 dalla Boston Symphony Orchestra, sotto la bacchetta di Koussevitzky, la Terza Sinfonia si articola in quattro movimenti, gli ultimi due scorrendo senza soluzione di continuità.

Lo schema del primo movimento presenta tre motivi tematici, i primi due pervasi da uno spirito semplice e quasi innodico, mentre il terzo, enunciato all'inizio dai tromboni, esibisce un'energia che si evolve in un clima espressivo possente; è da notarsi che il primo e il terzo motivo melodico ricompaiono, quasi ciclicamente, nei movimenti successivi.

Copland non intacca l'evidenza del materiale americano del secondo movimento col conferire alle brillanti sezioni esterne accenti estroversi affini, nell'andamento e nella comunicativa, a certi effetti orchestrali di gusto russo, per esempio di uno Sciostakovic, anche perché nel motivo lirico della sezione centrale affidato all'oboe, viene riproposta la genuina atmosfera del mondo dei cow-boys.

Il movimento lento si apre con un episodio colloquiale e riflessivo degli archi, fondato sul tema che era stato enunciato dai tromboni nel tempo iniziale della Terza Sinfonia. Il tessuto sonoro tende ad inspessirsi per l'aggressione delle sonorità dei fiati, e tale sezione si allarga anche a comprendere una transizione introduttiva al materiale lessicale principale e che entra in gioco preannunciato da un semplice motivo, affidato al flauto, nella scoperta reminiscenza di Appalachian Spring. Da questo soggetto tematico germina una serie di variazioni, caratterizzate - secondo la precisa indicazione dell'autore - «all'inizio da una nostalgia spontanea e struggente, poi da una ritmica accelerata e sempre più marcata, come si verifica nelle danze popolari, poi ancora da un clima naif, quasi fanciullesco, che assume infine una struttura recisamente rigorosa e lineare».

Alla conclusione dell'Andantino quasi allegretto fanno la loro ricomparsa le idee tematiche e melodiche dell'inizio, espresse però in un'atmosfera ovattata da cui, senza soluzione di continuità, prende corpo il quarto movimento, che si sviluppa nell'elaborazione di un'altra celebre pagina di Copland, la Fanfare for the Common Man (1943). Si ascolta poi quasi un compendio del mondo espressivo di Copland che esibisce un primo soggetto di carattere folclorico, introdotto dall'oboe e dal clarinetto, e poi una seconda idea tematica d'andamento ed aspetto innodico, mentre nella coloritissima tavolozza orchestrale si avverte la presenza di una cellula ritmica derivata dalla canzone «South of the Border».

La perorazione conclusiva è maestosa e «ribadisce in termini di vigorosa pregnanza il motivo introduttivo che aveva aperto l'intero lavoro», secondo una nota illustrativa dello stesso Copland.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 novembre 1976


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Ultimo aggiornamento 15 febbraio 2017