Requiescant

per coro, coro di voci bianche e orchestra

Musica: Luigi Dallapiccola (1904 - 1975)
Testo: S. Matteo, Oscar Wilde e James Joyce
  1. Come unto me... - Animatissimo; violento
  2. Primo intermezzo
  3. Tread lightly - Molto tranquillo, ma senza trascinare
  4. Secondo intermezzo
  5. Dingdong.The Castle Bell... - Molto mosso
Organico: coro misto, coro di voci bianche, ottavino, flauto, oboe, corno inglese, clarinetto piccolo, clarinetto, clarinetto basso, fagotto, controfagotto, sassofono, corno, tromba, trombone, basso tuba, timpani, arpa, celesta, piatto piccolo, piatto ordinario, 2 piatti, 2 tam-tam, campanefrusta, triangolo, tamburo piccolo, tamburo coperto, grancassa, xilofono, vibrafono, glockenspiel, archi
Composizione: 1957 - 2 novembre 1958
Prima esecuzione: Radio Amburgo, 17 novembre 1959
Edizione: Suvini Zerboni, Milano, 1960
Guida all'ascolto (nota 1)

Con Requiescant siamo ad un lavoro della piena maturità di Luigi Dallapiccola: secondo un modo di accostare testi diversi, che è un dato quasi costante nella produzione del maestro istriano-fiorentino (si pensi ai Canti di prigionia e alla stessa esperienza dell'opera Ulisse), qui alcuni versetti di San Matteo, del Requiescat di Oscar Wilde e di A portrait of the Artist as a young Man di James Joyce si collegano idealmente in un'unica drammatica contemplazione del mistero della morte. Il tema rispecchia la stessa ansia religiosa che anima, si può dire, tutta l'opera di Dallapiccola; ma testimonia anche una sicurezza di linguaggio che lo rende, specialmente nelle composizioni in cui abbian parte preponderante le voci umane, una delle personalità più vigorose della musica europea del Novecento.

Dallapiccola cominciò la composizione di Requiescant nel 1957, al ritorno dagli Stati Uniti, dove si era recato nel 1956 per insegnare al Quenn's College di New York. (Di qui la citazione in inglese di San Matteo, che idealmente si collega a quella di Sant'Agostino, «scoperta» in una stazione ferroviaria americana e che è posta in calce all'ultima pagina della partitura di Ulisse). Il lavoro si protrae a più riprese fra il 1957 e il 1958, e la prima esecuzione avviene alla radio di Amburgo, il 17 novembre 1959, sotto la direzione di Hermann Scher-hen. Nei cinque episodi che lo compongono (di cui il secondo e il quarto per la sola orchestra) emergono i caratteri tipici del linguaggio di Dallapiccola: la sua fiducia nel «numero» dodecafonico è di fatto continuamente corroborata da una musicalità che gli consente di collocare le voci e gli strumenti in una loro «natura», senza bruschi passaggi e senza che il «fiamminghismo» contemporaneo attenui la suggestione di colori e di andamenti che si collegano alle più vigorose tradizioni del nostro polifonismo. Ne derivano una coralità e una tensione espressiva singolarissime, coerenti con tutto il cammino dallapiccoliano e qui aperte a chiarori timbrici (si pensi al coro dei ragazzi e alle voci femminili del quinto episodio) di una suggestione che potremmo dire mahleriana.

Leonardo Pinzauti

Testo
I

Come unto me, all ye that labour arid are heavy laden,
and I will give you rest.
(St. Matthew, 11/28)
I

Venite a me, voi tutti che siete affaticali e oppressi,
ed Io vi darò sollievo.
II

Tread lightly, she is near
Under the snow,
Speak gently, she can hear
The daisies grow.

All her bright golden hair
Tarnished with rust,
She that was young and fair
Fallen to dust.

Lily-like, white as snow,
She hardly knew
She was a woman, so
Sweetly she grew.

Coffin-board, heavy stone,
Lie on her breast,
I vex my heart alone,
She is at rest.

Peace, peace, she cannot hear
Lyre or sonnet,
All my life's buried here,
Heap earth upon it.
(Oscar Wilde: «Requiescat»)
II

Sia lieve il vostro passo, essa è vicina
Sotto la neve,
Sommessa la vostra voce, essa può udire
Crescer le margherite.

Tutti i lucenti capelli d'oro
Scolorati dalla ruggine
Essa che era giovane e bella
Dissolta in polvere.

Simile a un giglio, bianca comè neve,
Essa sapeva appena
Di essere donna, tanto
Nobilmente essa crebbe.

Bara e pesante pietra
Gravano sul suo petto,
Solo il mio cuore è afflitto,
Essa riposa.

Pace, pace, essa non può udire
Né lira ne sonetto,
Tutta la mia vita è qui sepolta.
Fateci sopra un cumulo di terra.
III

Dingdong! The castle bell!
Farewell, my mother!
Bury me in the old churchyard
Beside my eldest brother.

My coffin shall be black,
Six angels at my back,
Two to sing and two to pray
And two to carry my soul away.
(James Joyce: «A Portrait of the Artist as a young Man»)
III

Din Don! La campana del castello!
Addio, madre mia!
Seppellitemi nel vecchio cimitero
a fianco del mio fratello maggiore.

La mia bara dovrà esser nera,
Sei angeli mi accompagnino,
Due per cantare e due per pregare
E due per portar via la mia anima.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 febbraio 1971


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Ultimo aggiornamento 7 giugno 2013