En blanc et noir

Tre capricci per due pianoforti, L 142

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Avec emportement (do maggiore)
    Dedica: A. Koussevitzky
  2. Lent. Sombre (do maggiore)
    Dedica: Jacques Charlot
  3. Scherzando (re minore)
    Dedica: Igor Stravinskij
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Pourville, 4 Giugno - 20 Luglio 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 21 Dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1915
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Pourville sur-mer (Normandia), estate 1915: Debussy con la moglie Emma e la figlia Chouchou ha potuto trasferirsi in una villa che alcuni amici gli anno messo a disposizione. Da quando c'è la guerra umori e salute sono vacillanti, inclini alla depressione. La vita musicale è ridotta al minimo e quel che resta è preda di un nazionalismo germanofobo che non disdegna i toni estremi della lotta per la difesa della civiltà. Probabilmente su istigazione dell'amico Louis Laloy, musicologo eminente e fiero nazionalista, Debussy comincia a firmare le sue opere come Claude de France. Nei primi mesi del 1915 l'editore Durand chiede a Debussy di provvedere ad una revisione delle opere di Chopin per una nuova edizione: le edizioni tedesche non affluiscono più e anche in questo campo si va verso l'autarchia. Debussy si mette al lavoro e il contatto con quella musica che per prima e con grande profondità aveva segnato la sua coscienza di artista, è benefico e fertile. Nell'estate del 1915, sotto quel benefico influsso, il processo creativo di Debussy riprende con slancio: la Sonata per violoncello e pianoforte e quella per viola, flauto e arpa come parte di un ciclo di sei il cui progetto viene inviato con puntigliosa fierezza all'editore, gli Studi per pianoforte e i tre Capricci En blanc et noir. Sembra di assistere allo schiudersi di una stagione dominata da un nuovo fervore come ci racconta con voce incrinata dall'emozione il compositore in una lettera inviata all'amico Bernardino Molinari: «Pensi, caro amico, che sono rimasto per un anno senza poter fare musica... alla fine mi è quasi toccato reimparare. Era come una riscoperta e la musica mi è parsa ancora più bella! Dipende forse dall'esserne rimasto privo così a lungo? Non saprei. Che bellezza c'è nella musica tutta sola, voglio dire quella che non ha un partito preso e che nasce da una ricerca intrapresa per stupire i dilettanti...» I tre Capricci En blanc et noir sarebbero da ascrivere alla categoria della musica pura se non fosse che l'ora storica e i sentimenti che essa suscita in Debussy vengono alla ribalta in ogni modo, addirittura con l'aggiunta in forma di epigrafe di testi letterari che accompagnano la partitura.

Il primo dei tre brani, dedicato a Sergej Koussevitzky e redatto in un tempo Avec emportement, fa ricorso ad una breve citazione tratta dal libretto di Roméo et Juliette di Gounod, «Qui reste à sa piace - Et ne danse pas - De quelque disgrace - Fait l'aveu tout bas», in cui si riconosce l'amarezza di Debussy nell'essere costretto a restare lontano dal fronte. In maniera non troppo diversa da come sarebbe accaduto quattro anni più tardi a Ravel con La Valse, sulle due tastiere di questo Capriccio si alternano eleganze, languori, impuntature beffarde e spigolosità che puntano risolutamente verso il linguaggio novecentesco.

Del secondo Capriccio l'autore dichiara la drammaticità in una lettera all'editore Durand in cui parla di un colore scuro proprio dei Capricci di Goya. Il dedicatario è questa volta il tenente Jaques Charlot, il nipote dell'editore, quello stesso al quale Ravel avrebbe dedicato il Prelude del suo Tombeau de Couperin. Charlot era caduto al fronte solo qualche mese prima, nel marzo 1915, e la citazione che accompagna la partitura proviene dalla Ballade contre les ennemis de la France di Francois Villon. Alcuni accordi smorzati usati come tragici battiti, delineano nelle prime battute un orizzonte di grande desolazione sul quale si odono in lontananza segnali di trombe: viene in mente, pur con le enormi differenze, lo scenario di quegli stessi campi di battaglia rievocati qualche decennio più tardi da Benjamin Britten nel suo War Requiem. Questo brano possiede in effetti una rara complessità e ricchezza di motivi la cui incalzante contiguità sortisce prodigiosi effetti di estraniazione. Su uno di questi ci informa lo stesso Debussy in quella lettera già citata al suo editore: «Vedrete cosa può capitare a un Inno di Luterò per essersi imprudentemente avventurato in un Capriccio alla francese. Verso la fine, un modesto carillon suona una specie di Pre-marsigliese; pur scusandomi di questo anacronismo, penso che possa essere ammissibile in un'epoca in cui il selciato delle strade e gli alberi delle foreste non fanno che risuonare di questo canto». Dedicatario del terzo Capriccio, un virtuosistico Scherzando in 2/4, è l'amico Igor Stravinskij, mentre la citazione letteraria è tratta dalla ballata di Charles d'Orléans Yver, vous n'estes qu'un villain che Debussy aveva alcuni anni prima messo in musica in un trittico di componimenti per coro a cappella. Si tratta del Capriccio che maggiormente si accosta alla dimensione della musica pura grazie a una scrittura agile e virtuosa assai prossima al clima degli Studi nati anch'essi nella prodigiosa estate trascorsa a Pourville.

Enzo Restagno

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Uno stacco infine l'inquietante pannello bellico "En blanc et noir" del 1915, strano manifesto di impegno civile e politico in cui seriosità e profondità superano la vecchia idea del gioco (o del giocattolo musicale, dell'arte che, come il compositore sostiene, "deve piacere") e la relegano soltanto nell'alternanza di tasti bianchi e neri (da cui il titolo, che evoca alcuni coevi orientamenti "ottici" dell'arte figurativa). Pensando inizialmente questo lavoro come "Caprice en blanc et noir", il compositore ombreggiava già nel termine "caprice", alla francese, il suo antigermanesimo, stendendo una parola definitiva su ciò che, musicalmente, era nato come antiwagnerismo e che si veste ora di ben più minacciosi e oscuri significati. L'ambiguità del Debussy che ci è familiare diviene emblematicità, la scrittura si addensa e si esprime in una sorta di ritrovata consequenzialità, il pianoforte è sodo e compatto, secco. Per il musicista significava tendere ad un'altra pittura e ad altri colori sonori in questi tre pezzi che, egli dice, "prendono il loro colore e la loro atmosfera unicamente dal pianoforte, così come i toni grigi di Velasquez". La complessità si moltiplica nelle citazioni epigrafiche apposte ai brani e nella generale elaborazione allegorica (il corale luterano "Ein' feste Burg" del secondo brano è contraffatto a simboleggiare il nemico): il primo movimento porta una citazione dal "Romeo e Giulietta" di Gounod in cui il Vallas ha letto un'allusione agli uomini che eludono i doveri militari ed è dedicato "al mio amico Kussevitsky"; il secondo una citazione da Villon in memoria del tenente Jacques Charlot, "ucciso dal nemico" (nel brano echeggia, in contrapposizione al corale tedesco, anche uno spunto di "Marsigliese"); infine l'ultimo movimento assume le parole di Charles d'Orléans "Yver, vous n'ètes qu'un vilain" e per la sua dedica a Strawinski apre nuovi orizzonti espressivi, addita quanto di "surreale" e di "neoclassico" si vela nel lavoro.

Cecilia Campa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 aprile 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 aprile 1984


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Ultimo aggiornamento 31 ottobre 2016