Jeux, L 133

Poème dansé di V. Nijinsky in un atto

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: agosto 1912 - fine aprile 1913
Prima rappresentazione: Parigi, Théàtre des Champs-Elysées, 15 maggio 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1914
Dedica: Mme Jacques Durand
Guida all'ascolto (nota 1)

Nella primavera del 1912 Diaghilew, il prestigioso creatore e direttore dei famosi «Ballets Russes», invitò Debussy, allo zenit della gloria, a comporre un balletto per la sua compagnia sul tema: «Una rivendicazione plastica dell'uomo del 1913». Nacque così il poema danzato Jeux, il cui soggetto è il seguente: «La scena si svolge in un giardino al crepuscolo, dove due ragazze e un giovane stanno cercando una palla da tennis che hanno smarrito. La luce artificiale delle grandi lampade elettriche getta raggi fantastici intorno a loro e suggerisce un'atmosfera di giochi infantili; giocano a nascondersi, si rincorrono, litigano, tengono il broncio senza ragione. La notte è calda, il cielo è immerso in una pallida luce, si baciano. Ma l'incanto è rotto da un'altra palla lanciata maliziosamente da una mano sconosciuta. Sorpresi e spaventati, il giovane e le ragazze scompaiono nelle profondità oscure del giardino». La partitura costò molta fatica a Debussy, che fino alla vigilia della esecuzione non cessò di ritoccarla. La prima rappresentazione, con Nijinsky interprete e coreografo, ebbe luogo al «Théàtre des Champs-Elysées» il 15 maggio 1913, esattamente due settimane prima (29 maggio 1913) della messa in scena nello stesso teatro del Sacre du printemps di Igor Stravinsky. Jeux fu accolto con scarsi applausi, misti anche a fischi; la critica rimase frastornata di fronte alla coreografia estremamente stilizzata di Nijinsky e al linguaggio fluttuante, asciutto e dissonante della nuova partitura di Debussy, così lontana dalla grande tradizione del balletto classico di un Delibes o di un Cajkovskij. Per giunta lo scandalo suscitato dal Sacre con la sua musica ben più dirompente e rivoluzionaria contribuì non poco ad oscurare il finissimo balletto debussiano, che cadde nell'oblìo e soltanto diversi anni dopo l'insuccesso parigino è stato apprezzato per la sua eleganza espressiva e la sua ricercatezza timbrica e strumentale, tanto da far scrivere a Pierre Boulez che «l'immaginazione del compositore non procede a stendere dapprima la trama musicale e poi a rivestirla con meraviglie orchestrali: l'orchestrazione stessa riflette non solo le idee musicali, ma anche il genere di scrittura in cui si traducono». In realtà in questo lavoro si avverte lo sforzo del musicista verso un'arte più austera e più sprovvista di seduzioni immediate, nell'ambito di una nuova estetica proseguita nelle sue ultime opere, composte fra il 1913 e il 1917: Trois poèmes de Mallarmé (1913), Douze études pour piano (1915), En blanc et noir, per due pianoforti (1915), infine le Sonates: pour piano et violoncelle (1915), pour flùte, alto et harpe (1915), pour piano et violon (1917). Ciò non toglie che in Jeux è sempre evidente e in primo piano quel discorso strumentale ammirevole e personalissimo già ascoltato in testi ormai classici, come La mer e Images, e vi si ritrova intatto e incontaminato quel gusto timbrico penetrante e affascinante nella mutevolezza e nella varietà delle sonorità orchestrali che fu di Debussy e di nessun altro musicista. Il che significa, al di là di qualsiasi etichetta poetica simbolista o impressionista, fedeltà ad uno stile che occupa un posto a sé nella storia artistica del nostro Novecento.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 25 aprile 1982


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Ultimo aggiornamento 2 gennaio 2013