Préludes per pianoforte, primo libro, L 125


Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Danseuses de Delphes - Lent et grave, doux et soutenu (si bemolle maggiore)
    Composizione: Parigi, 7 Dicembre 1909
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910
  2. Voiles - Modéré - dans un rythme sans rigueur et caressant (do maggiore)
    Composizione: Parigi, 12 Dicembre 1909
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910
  3. Le vent dans la plaine - Animé - aussi légèrement que possible (mi bemolle minore)
    Composizione: Parigi, 11 Dicembre 1909
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911
  4. Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir - Modéré - harmonieux et souple (la maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911
  5. Les collines d'Anacapri - Très modéré en alternance avec Vif (si maggiore)
    Composizione: Parigi, 26 Dicembre 1909
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911
  6. Des pas sur la neige - Triste et lent (re minore)
    Composizione: Parigi, 27 Dicembre 1909
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911
  7. Ce qu'a vu le vent d'ouest - Animé et tumultueux (fa diesis minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911
  8. La fille aux cheveux de lin - Très calme et doucement expressif (sol bemolle maggiore)
    Composizione: Parigi, 16 Gennaio 1910
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911
  9. La sérénade interrompue - Modérément animé (si bemolle minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911
  10. La cathédrale engloutie - Profondément calme, dans une brume doucement sonore (do maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910
  11. La danse de Puck - Capricieux et léger (mi bemolle maggiore)
    Composizione: Parigi, 4 Febbraio 1910
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910
  12. Minstrels - Modéré, nerveux et avec humour (sol maggiore)
    Composizione: Parigi, 5 Gennaio 1910
    Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911
Organico: pianoforte
Composizione: 1909 - 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910

Introduzione comune ai due libri (nota 1)

La prima interpretazione critica dell'opera di Debussy è quella che ancor oggi va sotto il nome generico di «impressionismo»; interpretazione basata soprattutto sulle composizioni del 1890-1904 (dai Nocturnes per orchestra alle Estampes per pianoforte all'Isle joyeuse, anch'essa per pianoforte), che subito colpirono favorevolmente molti critici e che furono assai presto apprezzate dal pubblico. Il concetto di impressionismo può venir esteso, con parecchie difficoltà, anche ad opere come La mer e le Images per orchestra o come le Images e il primo libro dei Preludi per pianoforte, ma si dimostra del tutto inadatto a spiegare Jeux, Le Martyre de Saint Sébastien, le tre Sonate, la suite En blanc et noir, gli Studi, così si dimostra inadatto, dall'altra parte, a spiegare il classicismo di certe pagine pianistiche anteriori alle Estampes e il simbolismo della Damoiselle élue e del Pelléas. La critica rimasta ferma al concetto di impressionismo ha dovuto necessariamente parlare di decadenza («Musicalmente, Debussy morì all'inizio della guerra», diceva il Lockspeiser), respingere le ultime opere e collocare al secondo libro dei Preludi, composto tra il 1910 e il 1913, il crinale, asserendo che alcuni di essi appartengono al miglior Debussy mentre in altri si avverte l'incipiente stanchezza creativa. Ora, è evidente che pagine come La puerta del vino e Ondine possono rientrare nell'estetica dell'impressionismo. Ma è altrettanto evidente che una pagina come Les tierces alternées anticipa nettamente gli Studi; e persino pagine così ovvie in apparenza, come Feux d'artifice o Brouillards, risultano poi difficilmente interpretabili sotto la sola angolatura dell'impressionismo.

Ma il concetto di impressionismo entra in crisi già nel primo libro dei Preludi, composto nel 1910, che indubbiamente conclude la più intensa e felice stagione creativa di Debussy e che fu sempre accettato senza riserve. Il segno, sia pure esterno e marginale, che denuncia il superamento dell'impressionismo e che ha colpito tutti i commentatori, lo troviamo nella collocazione dei titoli. I titoli, messi all'inizio dei singoli pezzi nelle Estampes e nelle Images, nei due libri dei Preludi vengono collocati alla fine del pezzo, tra parentesi, e preceduti da puntini: (... Danseuses de Delphe). Il titolo risulta così estremamente sfumato, estremamente allusivo rispetto all'oggetto o all'avvenimento cui si riferisce.

Non che l'oggetto o l'avvenimento non stiano in alcuna relazione con la musica, non che l'associazione titolo-musica sia arbitraria o dadaistica: il soffio leggero del vento, i passi sulla neve ghiacciata, le chitarre, i tamburi, le campane trovano riscontri musicali non solo simbolici, ma spesso addirittura onomatopeici. Tuttavia, la particolare collocazione dei titoli indica una tendenza a superare la suggestione ambientale e la pittura in musica per avviarsi verso l'astrattismo degli Studi. Il Lockspeiser, citato dianzi, dice: «Spesso, immagino, la composizione dev'essere cominciata coll'imbattersi in una frase troppo bella per non farne un pezzo, dopo di che se ne trovava l'argomento adatto». In questo senso, Debussy non avrebbe agito diversamente da Schumann. Ma molto più accortamente Cortot, dopo aver lodato senza riserve il primo libro, osserva, a proposito del secondo: «... la composizione di qualcuno di essi pare causata dalla seduzione iniziale di una combinazione di sonorità a cui il soggetto viene adattato in seguito, piuttosto che dalla sensazione stessa che queste sonorità avrebbero espresso. Debussy pare prepararsi così alla scrittura degli Studi, dove lo vedremo abbandonare la seduzione dei sentimenti e delle immagini in favore dei soli godimenti di un virtuosismo raffinato e di un piacere musicale essenzialmente fisico». Cortot resta titubante di fronte a quest'ultima fase dell'estetica di Debussy. Tuttavia, egli coglie esattamente i termini di un problema che nell'anteguerra fu risolto positivamente soprattutto dalla critica tedesca (e in particolare dal Liess) e nel dopoguerra da tutta la critica legata a movimenti d'avanguardia.

Entrambi i libri comprendono dodici pezzi: in totale, ventiquattro Preludi. Il numero tre e i suoi multipli sono frequentissimi nelle pubblicazioni musicali del Settecento e dell'Ottocento: tre sonate, tre notturni, tre valzer, sei sonate, sei quartetti, sei studi, dodici minuetti, dodici studi, ventiquattro esercizi, ventiquattro preludi ecc. Se il tre e il sei rispondono però soprattutto ad usi editoriali, il dodici e il ventiquattro si legano il più delle volte alle dodici tonalità maggiori e alle dodici tonalità minori: i ventiquattro Preludi di Chopin toccano le ventiquattro tonalità, i dodici Studi trascendentali di Liszt rappresentano la prima metà di una serie di ventiquattro, ordinata tonalmente, che non fu condotta a termine (e che fu «terminata», in quanto al ciclo delle tonalità, dai dodici Studi trascendentali di Sergheji Liapunov); persino i venticinque Preludi op. 31 di Charles-Valentin Alkan sono legati al numero magico perché l'autore, dopo aver esaurito le ventiquattro tonalità, chiude il ciclo con un venticinquesimo pezzo nella tonalità del primo. Il numero dodici venne però usato anche indipendentemente dalle dodici tonalità: per esempio, negli Studi op. 10 e op. 25 di Chopin, dodici per raccolta, con omissioni e ripetizioni di tonalità e maggiori e minori. Nelle due serie di Chopin si trovano però tracce di un'organizzazione tonale rigorosa che venne poi abbandonata, e quindi di un legame con la tradizione che stimolava sempre i compositori, anche se spesso li metteva poi in serie difficoltà. In Debussy il tre torna più volte: tre pezzi in Pour le piano, tre nelle Estampes, tre in ciascuna delle due serie di Images; il dodici torna in ciascuno dei due libri dei Preludi e negli Studi. Il tre e il dodici, sono qui legati soltanto ad una tradizione editoriale. Si nota tuttavia, nel primo libro dei Preludi, la cura di non ripetere le tonalità:

  1. - si bemolle maggiore
  2. - do maggiore
  3. - mi bemolle minore
  4. - la maggiore
  5. - si maggiore
  6. - re minore
  7. - fa diesis minore
  8. - sol bemolle maggiore
  9. - si bemolle minore
  10. - do maggiore
  11. - mi bemolle maggiore
  12. - sol maggiore

Solo una tonalità, come si vede, ricorre due volte: do maggiore. Ma il secondo Preludio è più propriamente un pezzo sulla scala esatonale, e termina su un bicordo do-mi che non stabilisce in modo inequivocabile la tonalità di do maggiore; e quando il primo libro viene eseguito integralmente l'ascoltatore nota la cangiante varietà del colore tonale. Qualsiasi preoccupazione a proposito del seguito delle tonalità scompare però nel secondo libro, perché è il profumo stesso della tonalità che va svanendo: anche in questo senso, dunque, il primo libro segna una meta e il secondo una svolta. Il che dà ulteriori motivazioni alle osservazioni di Cortot e di altri, senza che, se ne debbano perciò condividere le riserve.

Libro I

(... Danseuses de Delphe) (Danzatrici di Delfo). Breve pezzo, vero preludio: una specie di lenta danza processionale, ispirata, si dice, alle figure di un vaso greco. Nettamente accentuato il carattere tonale.

(.... Voiles) (Vele). Il pezzo è basato su un fregio, una melodia, un rintocco del basso: tre eventi sonori che nel loro sovrapporsi e nel loro ripresentarsi con minime variazioni acquistano un loro significato musicale ed una loro immota grazia formale, tanto lontana in realtà dal titolo che il titolo stesso ha potuto essere «spiegato» da coscienziosi commentatori in termini diversi: come vele (di barche) o come veli (di abiti femminili). Più che il titolo, più che l'oggetto, più che il fruscio del vento sull'oggetto è la combinazione dei tre oggetti musicali che dà al pezzo il suo carattere incantatorio, quella immota grazia formale di cui parlavamo poc'anzi, molto più vicina alla pittura di un Mondrian che di un Manet.

(...Le vent dans la plaine) (Il vento nella pianura). Il titolo del terzo Preludio è forse riconducibile ad un verso di Favart citato da Verlaine come epigrafe delle Ariettes oubliées: Le vent dans la plaine / Suspendson haleine (Il vento nella pianura arresta il suo soffio). Anche in questo caso, se il titolo può suggerire il fremito leggero del vento, il significato musicale nasce dalle stesse formanti del secondo Preludio: un suono «ostinato», un fregio, una melodia. Qui la disposizione sulla tastiera è però diversa: i tre eventi sonori si svolgono, inizialmente e per gran parte della composizione, tutti e tre nella stessa zona, nello stesso registro. La raffinatezza, il virtuosismo della tecnica tocca un limite invalicabile, un culmine oltre il quale sarà possibile solo inventare altri mezzi non tradizionali, come l'esecuzione diretta sulle corde invece che attraverso la tastiera.

(... Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir) (Suoni e profumi volteggiano nell'aria della sera). Ancora un verso, di Baudelaire, dà il titolo al Preludio n. 4. Debussy cita un verso isolato di Harmonie du soir, appartenente alla raccolta Les fleurs du mal. Riporteremo qui tutta la quartina di cui il verso è parte:

Voici venir les temps ou vibrant sur sa tige
Chaque fleur s'évapore ainsi'qu'un encensoir;
Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir;
Valse mélancolique et langoureux vertige!

(Ecco venire il tempo in cui, vibrando sullo stelo,
Ogni fiore evapora come un incensiere;
Suoni e profumi volteggiano nell'aria della sera:
Valzer melanconico e languida vertigine).

Il ritmo del valzer percorre quasi tutta la composizione, che si conclude con un «lontano squillo di corni». La scrittura pianistica è di una rara morbidezza e armoniosità, e la novità e l'audacia del tessuto musicale, soprattutto per quanto riguarda i concatenamenti dei gruppi di suoni, sono sorprendenti.

(... Les collines d'Anacapri) (Le colline d'Anacapri). Una tarantella o quasi-tarantella che spiega bastantemente il titolo; si notino però i suoni come di campane in distanza dell'inizio, riproposti nella riesposizione. Alfredo Casella racconta di aver chiesto a Debussy perché avesse parlato di colline, mentre nella piccola isola di Capri si trovano pendii ma non paesaggi collinari. Debussy avrebbe risposto che, conoscendo il vino di Anacapri, aveva pensato che il vino si produce dove ci sono colline...

(... Des pas sur la neige) (Passi sulla neve). È una pittura d'ambiente in cui si colloca una dolente presenza umana: Triste e lento è la didascalia generale; il ritmo iniziale, dice Debussy, «deve avere il valore sonoro d'un fondo di paesaggio triste e ghiacciato», e la melodia è indicata «espressivo e doloroso», poi «espressivo e tenero», ed infine «come un tenero e triste rimpianto». La poetica che ispira la composizione, ci pare, è quella del simbolismo romantico, tanto che uno dei quadri di Johann Caspar Friedrich raffiguranti un cimitero sotto la neve potrebbero benissimo illustrarla. La qualità della sonorità e la disposizione pianistica non possono però essere ricondotte allo stile di compositori come Mendelssohn o Schumann, contemporanei di Friedrich. Debussy, al contrario di quelli, dipinge senza partecipazione affettiva e tende a costruire un oggetto sonoro, o una pittura sonora, senza valicare il limite del simbolismo. La convergenza delle formanti verso un punto centrale, essenziale per il significato psicologico-espressivo della musica, viene qui rotta, e sebbene si possano ritrovare in Debussy la melodia, il basso e le parti di mezzo della scrittura romantica, l'insieme non converge sulla melodia: il significato non è dunque psicologico ma spaziale, di movimento di eventi sonori la cui correlazione dipende soltanto dalla loro contemporaneità. Per quanto possano essere pericolosi i paragoni tra musica e pittura, si può ripensare a Friedrich, ai suoi alberi solitari e, in confronto, alle varie versioni dell'Albero blu che Mondrian andava dipingendo proprio nel 1910, mentre Debussy scriveva i Preludi.

(... Ce qu'a vu le vent d'Ouest) (Quel che ha visto il vento d'Occidente). Da molti commentatori viene considerato come un... sottoprodotto del trittico sinfonico La Mer, II Mare: il vento d'Occidente è il vento dell'Atlantico, il vento del grande terrificante oceano gravido di tempeste. La composizione è un pezzo di bravura, che risente della tradizione romantica di Liszt e degli ultimi lisztiani come Rachmaninov. Questo tipo di scrittura pianistica, piuttosto rara in Debussy, è dominata con sicurezza, e nell'arco dei dodici Preludi ha una funzione di contrasto e di varietà, soprattutto in rapporto con la scrittura rarefatta dei Preludi n. 6 e 8.

(... La fille aux cheveux de lin) (La fanciulla dai capelli di lino). Ispirato ad.una poesia di Lecomte de Lisle, Canto scozzese:

Seduta sul prato fiorito
Chi canta nel primo mattino?
La bella con chiome di lino,
Con labbra di rossa ciliegia...

La composizione di Debussy è una canzone tripartita dalle tenui tinte di pastello, Debussy costruisce un oggetto sonoro semplice, ma attraverso una scrittura pianistica che, sfruttando tutti i tasti neri e richiedendo un'estrema delicatezza di tocco, non è di agevole realizzazione. Il mondo della musica per dilettanti dell'Ottocento ricompare in Debussy come citazione di un passato ormai solo sognato, ed è proprio il colore del timbro a creare, con la sua delicata opalescenza, la lontananza mitica della visione.

(... La sérénade interrompué) (La serenata interrotta). È un pezzo spagnoleggiante in cui si ritrovano la chitarra e il cantore di serenate, un qualche incidente che si può spiegare a piacere come rottura di una corda della chitarra o colpo sul muro del battente di una finestra (un pacifico dormiente che, risvegliato dalla serenata, protesta), l'arrivo da lontano di un complesso di chitarre (un'altra serenata, da ricchi, come all'inizio del Barbiere di Siviglia). La prima serenata di Lindoro accompagnato dalla banda di chitarristi ingaggiata da Fiorello, la seconda serenata di Lindoro accompagnato dalla chitarra di Figaro. In Debussy, semmai, c'è da distinguere tra una serenata moresca e una serenata spagnola, e c'è una dislocazione in luoghi diversi che permette la contemporaneità delle due serenate; la serenata interrotta, che dopo tutti gli incidenti può spiegarsi gloriosamente nella notte stellata, è quella moresca. Al di là dell'aneddoto è però del massimo interesse il senso non psicologico, ma spaziale della musica: una versione in miniatura di quel capolavoro rivoluzionario che è la Soirée dans Grenade delle Estampes.

(... La Cathédrale engloutie) (La cattedrale sommersa). Ispirato ad una leggenda brettone, la leggenda della città d'Ys inghiottita dal mare per le colpe dei suoi abitanti, la città la cui cattedrale riemerge all'alba, a monito dei nuovi abitatori della costa, e risprofonda nelle onde. Edouard Lalo aveva preso la leggenda, sviluppandola in una storia drammatica di amore e di gelosia, come argomento dell'opera Le roi d'Ys, rappresentata per la prima volta nel 1888. Debussy si ispira alla leggenda per ritrarre un evento portentoso. La nebbia mattutina, il movimento delle onde, le campane, l'organo sono resi con effetti onomatopeici di grande efficacia, e anche la struttura narrativa viene seguita con esattezza. La Cathédrale engloutie divenne perciò subito celebre, e mantiene da lungo tempo una popolarità pari a quella di certe pagine di Beethoven o dei romantici.

(... La danse de Puck) (La danza di Puck). Il Preludio non richiede veramente alcun commento: Puck, lo spirito folletto del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, il suo signore Oberon e il suo corno. I due personaggi sono presentati successivamente all'inizio, e il pezzo è costruito sui loro temi, in una forma ternaria tipica e secondo uria tecnica simile a quella di Voiles.

(... Minstrels) (Menestrelli). Se si prende un dizionario e lo si apre alla voce «menestrelli» si trova una lunga e complicata storia che parte dal medioevo, dal 1100 circa, e arriva fino a circa il 1500. Ma non è questa la «grande e antica menestrelleria», come diceva ironicamente Couperin nel 1700, che interessava a Debussy. A Debussy interessava invece un tipo di spettacolo musicale popolare, la Minstrelsy, che era nato negli Stati Uniti nei primi decenni dell'Ottocento e che aveva per protagonisti i negri delle piantagioni - ignoranti, paurosi, ingenui -, impersonati da negri autentici o, più spesso, da bianchi che si tingevano faccia e mani col sughero bruciacchiato.

Già intorno al 1840 si trovano pubblicazioni di «Celebrated Negro Melodies» che, dice il frontespizio, vengono offerte «as sung by the Virginia Minstrels»; e, per eliminare ogni dubbio, il frontespizio contiene anche una vignetta con quattro negri che suonano rispettivamente il tamburello, il triangolo, il violino e il banjo. Un quartetto. Ma quale quartetto! Quattro figure scimmiesche in abiti arlecchineschi e con in testa dei lustri cilindri ammaccati da pagliacci.

Nella seconda metà del secolo la Minstrelsy si evolve, assorbe elementi lessicali dalle danze europee importate negli Stati Uniti, arriva alle soglie del Jazz e si trasforma da spettacolo popolare all'aperto in show del variété, addolcendo e ingentilendo la caricatura del negro e toccando significati e toni comici più complessi. Ed è questo lo spettacolo che, trasportato in Europa da compagnie di giro alla fine dell'Ottocento, incanta Debussy. Le percussioni, il tamburo imitato nel modo più onomatopeico, gli accenti in contrattempo, il languore sentimentale, i sospiri, gli scatti burattineschi, tutto questo mondo delle maschere rivisitato dalla civiltà del Nuovo Mondo viene ritratto da Debussy con la sicurezza e l'essenzialità di tratto di un Toulouse Lautrec. Il grottesco è molto raro in musica e il più delle volte è costruito sulla musica, sulla distorsione di un testo musicale che resta riconoscibile. Qui abbiamo invece uno dei pochi esempi di grottesco in musica. E tuttavia la scenetta da variété non è priva di una dimensione epica, che veniva messa in luce, sorprendentemente, da un vate del tardoromanticismo come Paderewski.

C'è, di Minstrels, un'esecuzione di Debussy registrata su rullo di pianoforte meccanico, non molto curata ma molto sobria ed essenziale, che ha fatto scuola. L'esecuzione di Paderewski, sicuramente contraria alle intenzioni dell'autore, non può tuttavia essere respinta perché sembra cogliere una dimensione segreta dell'opera, rimasta celata - il lettore crede alle nostre parole? - all'autore stesso. Non possiamo qui discutere le interpretazioni dei Preludi di Debussy; facciamo però notare la potenziale ambiguità di una pagina ispirata a un dato aneddotico molto particolare e carica di segni naturalistici, ma chesfugge anch'essa, in realtà, all'estetica dell'impressionismo.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto (nota 2)

I Préludes di Claude Debussy, sono ventiquattro brani suddivisi in due Libri che corrispondono per un verso a una praticità commerciale dell'editore Durand, per un altro alla semplice successione cronologica della composizione, portata a termine rispettivamente nel 1910 per quel che riguarda il Prémier Livre e nel 1913 per il Deuxième Livre. Il tono intimista, le sonorità delicate e l'essenzialità quasi del tutto priva di decorazioni mostrano come l'autore li avesse concepiti per un uso privato, non concertistico. E nonostante l'impianto dei due libri segua una disposizione resa classica a partire dall'esempio bachiano, i ventiquattro pezzi non seguono alcuno schema tonale, né sono ordinati secondo esplicite regole di simmetria. Il senso di unità che traspare dalla loro successione dipende piuttosto da una coerenza poetica profonda, dalla loro spontanea adesione a un pensiero che se usa ancora il principio della variazione lo fa per decomporre, non per costruire, per sospendere l'idea del tempo, non per organizzarla. Tutta la musica di Debussy ha in questo senso un aspetto preludiante e tutta, di conseguenza, può essere letta alla luce delle suggestioni che possiamo trarre dai due libri di brani pianistici effettivamente indicati con quel titolo.

L'amore per il carattere del "preludio" si unisce in Debussy alla ripugnanza per tutto ciò che nella musica imita le strutture dell'oratoria o della dialettica: una sonata, per lui, non deve avere "senso", così come una fuga non può essere paragonata a un ragionamento o una tecnica della scrittura musicale non può essere spiegata attraverso analogie che si riferiscano al linguaggio, al suo tempo e alle sue leggi. «Piuttosto che la successione di momenti propria di un'arringa o di una dimostrazione», come ha scritto Vladimir Jankélévitch, «con Debussy noi viviamo episodi ed eventi sconnessi di una storia che è rapsodia di piccoli fatti», non concatenazione di grandi eventi. Basti pensare alla tarantella continuamente interrotta e ricominciata di Les collines d'Anacapri, o al volteggiare di pagine come Le vent dans la plaìne o Des pas sur la neige, dove realmente si ha l'impressione che la musica non produca alcuno sviluppo e non segua alcuna direzione, ma sia solo il racconto di un falso movimento, di una danza eseguita sul posto. La retorica è tagliata fuori anche nei brani nei quali con più chiarezza Debussy ricorre alla pratica dell'enunciazione tematica, ad esempio nel preludio intitolato La danse de Puck, dove il tema compare quasi come una caduta, è l'arresto della vorticosa spirale in cui precipita il folletto e che anticipa solo il brusco arresto su cui improvvisamente si chiude il preludio. E in una pagina come Minstrels, invece, il ripetersi grottesco di una tonalità di base, il sol maggiore, non ha alcuna efficacia espressiva, ma è solo il sigillo di una pantomima grottesca.

Peraltro l'autore, contrariamente alle sue abitudini, aggiunse i titoli ai singoli preludi solo dopo averli composti, rovesciando simbolicamente il rapporto tra idea letteraria e ispirazione musicale, come se fosse quest'ultima a dettare l'emergenza della prima e non l'immagine verbale a richiedere una speciale forma di rappresentazione in suoni. Nei Préludes, dunque, la poetica di Debussy si esprime in modo più partecipato e immediato, senza il distacco o il cinismo che si può avvertire in altre opere più ampie o semplicemente più discorsive: «la discontinuità qui non è più sarcasmo», prosegue Jankélévitch, «ma è la cattiva coscienza del "discorso coerente"».

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 Dicembre 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 febbraio 1996


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Ultimo aggiornamento 8 dicembre 2013