Proses lyriques

Canti per voce e pianoforte

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Testo: Claude Debussy
  1. De rêve - Modéré (si minore)
    Dedica: Vita Hocquet
  2. De grève - Modéré mais sourdement agité (re maggiore)
    Dedica: R. Bonheur
  3. De fleurs - Lent et triste (do maggiore)
    Dedica: Mme Chausson
  4. De soir - Modérément animé (sol diesis maggiore)
    Dedica: Henry Larolle
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Guida all'ascolto (nota 1)

Alla felice ma complessa sintesi di Germania reale e Italia ideale realizzata da Wolf, il suo contemporaneo Claude Debussy contrappone una più precisa realtà poetica tutta francese. Anch'egli, di fatto, fu chiamato come Wolf a mettere ordine per l'ultima volta (nel secolo XIX) nella casa in coabitazione tra poesia e musica. Anche lui dovette riarredare il salotto ormai un po' in decadenza del Lied (o mélodie) post-schumanniano seguendo i dettami del decadentismo alla moda del grande stilista d'interni Wagner. Debussy ebbe meno problemi con il vecchio ma ancora attivo inquilino Fauré di quanti ne ebbe Wolf con il proprio (Brahms): entrambi seppero infine infondere in quella già vecchia arte borghese il senso della modernità, ed è per questo che oggi torniamo volentieri in quella casa comune, a gustare l'infuso perfetto che essi seppero preparare. Nell'intervenire in queste delicate alchimie, Debussy portò ancor più oltre, rispetto a Wolf, il principio di simbolismo musico-verbale sotteso ad ogni composizione liederistica. Sulla scorta di Wagner, egli volle ricercare un suono-simbolo gravido del significato comune di parole, musica e concetti, e per far questo, dopo il perfetto simbolismo oggettivo delle Fêtes Galantes, musicò nel 1892-93 i versi propri delle Proses lyriques. L'idea di raggiungere il proprio fine estetico evitando il confronto con un poeta ha i suoi pericoli: persino Wagner si rivolse ai versi di Mathilde Wesendonck per comporre i suoi personali Lieder simbolisti, e il suo discepolo Wolf non avrebbe mai rinunciato a specchiare il proprio sguardo nell'animo di un poeta, meglio se grande. Alcuni tratti oscuri della poesia sono destinati a restare tali se il compositore non può gettarvi luce dall'esterno.

Cosi, la notte di De Rêve (Sogno) resta a tratti impenetrabile nella sua "dolcezza di donna": discende sognante nelle prime due battute, si fa profonda alla terza e accoglie le radici dei vecchi alberi. Poi la processione di immagini mitiche (tra cui quella dei Cavalieri del Graal) si fa processione di sublimi temi e simboli musicali, sempre pronti a cedere il passo all'atmosfera rarefatta dell'inizio, mentre la voce perfeziona la sua declamazione sillabica a metà tra il lirismo delle precedenti raccolte e la prosa onirica di Pelléas.

In De Grève (Spiaggia) il crepuscolo è frammentato in un tremolo che è anche tremore, come se Nacht und Träume di Schuberl fosse stato immerso nelle acque di La Mer. Cosi il passaggi! all'immagine delle onde "come bambine che escono da scuola" richiede solo la spinta di una leggera brezza e d'un tema festoso, mentre le nuvole procedono in consiglio di guerra in un orizzonte di accordi gravi. È lo stesso Debussy, il poeta, a dirci che questo è un acquerello inglese (di Turner?), poi la musica si vaporizza come in un aerosol di spruzzi musicali, prima che la luna, simboleggiata da una nota pura e acuta, venga a mettere pace, e il pezzo si spenga nel misterioso risuonare di campane sommerse nell'immaginazione poetica.

La serra di De Fleurs (Fiori), che appartiene alla stessa catena di quella di Wagner (ìm Treibhaus), inanella fiori e dolori in una teoria di accordi in processione, ambigui e avvolgenti nel loro sconcertante "giro" armonico iniziale. Poi un lamento si insinua al basso, il desiderio di una mano benefica che sappia sbrogliare tanta oppressione si fa struggente, e la musica non può che evocare la sfrenata libertà di immagini in un crescendo degno del miglior Duparc. Il pianoforte procede per accordi spezzati, in una figurazione che molti, da Rachmaninoff a Tosti, cercheranno di assimilare nel proprio vocabolario di pianismo poetico, ma che qui ha la sua vera ragion d'essere. Quando poi quella figurazione esplode, prima in arpeggi poi in tremoli, la voce può uscire fuor di metafora e levare il suo grido di rimpianto: "La mia anima muore per il troppo sole", in un climax degno di un arioso di Massenet, e che poeticamente non sfigurerebbe come verso di D'Annunzio.

In De Soir (Sera), infine, le immagini poetiche guardano alla modernità di treni e stazioni, ma quelle musicali ruotano, proprio come il gioco delle bambine di cui si evoca una nota cantilena, intorno all'evocazione delle campane, su cui Debussy improvvisa con maestria. Nel finale le domeniche festose sono solo ricordate, e una mesta preghiera alla Vergine affinché abbia "pietà delle città" si spegne insieme al suono stesso di campane.

Erik Battaglia


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 18 febbraio 2011


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Ultimo aggiornamento 29 gennaio 2014