Première Rhapsodie, L 124a

Versione per clarinetto e orchestra

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Organico: clarinetto solista, 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 2 percussioni, 2 arpe, archi
Composizione: dicembre 1909 - gennaio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Cocerts Pasdeloup, 3 maggio 1919
Edizione: Durand, Parigi, 1911
Dedica: P. Mimart
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Rhapsodie per orchestra con clarinetto principale ebbe una origine occasionale come pezzo da leggere a prima vista per il concorso di clarinetto del 1910 al Conservatorio di Parigi: composta per clarinetto e pianoforte tra il dicembre 1909 e il gennaio 1910, fu orchestrata nel 1911. La versione con orchestra fu presentata per la prima volta a Parigi il 3 maggio 1919. Nell'amabile freschezza questa pagina sembra sospesa tra rèverie e scherzo: alla breve introduzione segue la prima sezione con il tema «dolce e penetrante» del clarinetto, poi una sezione centrale con un nuovo «tema scherzando» e la ripresa variata dell prima sezione.

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

"Il Conservatorio è sempre lo stesso luogo cupo e sudicio che abiamo conosciuto, in cui ovunque uno tocchi sente sotto le dita la polvere delle cattive tradizioni"; così Debussy il 25 novembre 1909 ad Andre Caplet, un giudizio non lusinghiero sul principale istituto dell'educazione musicale francese, che rifletteva d'altronde i percorsi di rinnovamento perseguiti dal compositore. Pochi giorni più tardi, tuttavia, Debussy si piegava alla richiesta del Conservatoire, il "conservatorio" per eccellenza, e iniziava la stesura di un brano destinato ad essere una prova di concorso per gli studenti di clarinetto. Concepito per solista e ensemble da camera, il brano venne orchestrato un anno più tardi e pubblicato dall'editore Durand con il nome di Première Rhapsodie pour orchestre avec Giannette principale en Si bemolle. Il momento è molto intenso nella biografia dell'autore, che si accinge a scrivere il primo libro dei Préludes per pianoforte. Nel 1910 Debussy aveva al suo attivo già quasi tutti i suoi capolavori e le componenti realmente innovative del suo linguaggio erano non solo definite ma anche acquisite dalla coscienza musicale contemporanea; anzi l'astro sorgente di Ravel si levava a oscurare il primato del più anziano collega sulla vita musicale francese. Certamente l'origine occasionale influì sul risultato della Rapsodia, che sembra un'opera un poco accademica, una esercitazione, una pausa di riflessione in attesa di nuovi e più stimolanti progetti.

Eppure proprio dai limiti della destinazione nasce l'interesse verso la Rapsodia per clarinetto; se non vi ritroviamo un Debussy grande innovatore, pure vi ravvisiamo un Debussy artigiano di straordinaria raffinatezza, un compositore in cui la superiore padronanza dei mezzi espressivi è sufficiente da sola a giustificare il piacere di ascoltare la sua musica. Singolare è, ad esempio, che non si tratti di un brano "per clarinetto e orchestra", ma di un brano "per orchestra con clarinetto principale", il che postula un rapporto di equilibrio particolare fra solista e compagine orchestrale, basato sul continuo interscambio e non sulla predominanza del solista. Basterebbe ascoltare, a questo proposito, la breve introduzione, in cui il suono del flauto e quello del clarinetto solista si confondono, o il finissimo tessuto degli archi divisi con l'arpa, su cui si staglia il tema principale della partitura. L'indicazione pp doux et pénétrante indicativa di scelte espressive sempre contenute nei margini di una delicata astrazione; ma, come ha scritto Pierre Boulez, tutto il brano oscilla fra la réverie e lo scherzo, alternando sezioni espressivamente contrastanti, alle quali viene piegato un materiale tematico ricorrente. Dunque la Rapsodia illumina diversi aspetti delle potenzialità espressive del clarinetto, il suo lato oscuro e riflessivo, e quello giocoso, ritmicamente incisivo; lo strumento non rinuncia all'esplorazione pressoché esaustiva delle proprie risorse tecniche, ma sacrifica l'esibizione delle più ardue difficoltà virtuosistiche al rispetto dei tenui impasti timbrici, delle atmosfere discretamente ovattate, stabilendo con l'orchestra un gioco di fascinosi echi e rimandi.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 47 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 14 febbraio 1904


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Ultimo aggiornamento 24 luglio 2011