Sonata n. 1 in re minore per violoncello e pianoforte, L 144


Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
  1. Prologue - Lent. Sostenuto e molto risoluto
  2. Sérénade - Modérément animé
  3. Finale - Aminé. Léger et nerveux
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: luglio - agosto 1915
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 4 marzo 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1915
Dedica: Emma Debussy
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Negli ultimi anni della sua vita, quando era già minato dal cancro che lo avrebbe portato alla tomba, il 25 marzo 1918, a Parigi, Debussy scrisse un gruppo di composizioni pianistiche e da camera molto significative per quel senso di rinnovamento estetico che d'altra parte è sempre presente nella sua produzione, pur senza modificare radicalmente la morfologia tradizionale. Tali opere sono: Trois poèmes de Mallarmé (1913), Douze études pour piano (1915), considerati tra le conquiste più preziose dell'arte pianistica debussiana, En blanc et noir per due pianoforti (1915) e le Sonates: pour piano et violoncello (1915), pour flùte, alto et harpe (1915) pour piano et violon (1917). In quest'ultimo gruppo di lavori si avverte lo sforzo del musicista verso un'arte più austera, più sprovvista di seduzioni immediate, ma ugualmente ricca di idee e di ispirazione, nell'ambito di una tensione classicistica. Che questa fosse l'intenzione di Debussy lo si ricava da una lettera da lui inviata il 5 agosto del 1915 al suo editore parigino Durand e in cui è detto: «Vous aller recevoir, avant cette lettre peut-étre, la Sonata pour violoncelle et piano. Il ne m'appartient pas d'en juger l'excellence, mais j'en aime les proportions et la forme presque classique dans le bon sens du mot ».

Debussy scrisse la Sonata per violoncello e pianoforte in poco più di un mese e all'inizio aveva intenzione di dare a questa pagina un titolo carico di curioso simbolismo, che si richiamava alla pittura di Watteau «Pierrot faché avec la lune» (Pierrot irritato con la luna). Ma successivamente il musicista pensò bene di abolire qualsiasi riferimento esterno e di affidarsi esclusivamente ai valori del discorso sonoro, limitandosi a scrivere in calce al manoscritto «que le pianiste n'oublie jamais qu'il ne faut pas lutter contro le violoncelle, mais l'accompagner». Il Prologo si distingue per vivacità di tono e una certa ironia timbrica, espressa soprattutto dal violoncello, la cui scrittura non è priva di puntate virtuosistiche. Nella Serenata sono accentuati maggiormente i tratti umoristici, burleschi e fantastici della composizione; dal violoncello si sprigionano effetti sonori piacevoli e brillanti. Il Finale è contrassegnato da uno slancio ritmico gioioso e inarrestabile, in un solo momento interrotto da un episodio indicato sulla partitura con queste parole: «Molto rubato e con morbidezza », come una eco delle antiche volatine clavicembalistiche, tanto amate dall'ultimo Debussy.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo la composizione del Quartetto (1893), per ben ventidue anni, Debussy non scrisse nessun lavoro di musica da camera. Fu, infatti, solo nel 1915 che egli decise di comporre una serie di Sonate per vari strumenti. Come risulta dalle dediche apposte sulle Sonate effettivamente composte e pubblicate («Les Six Sonates pour divers instruments sont offerts en hommage a Emma-Claude Debussy (p. m.) - Son mari - Claude Debussy») il numero complessivo di questi lavori doveva essere sei. In realtà, di questo progetto furon composte solo tre Sonate: quella per violoncello è la prima della serie. Scritta d'un sol getto nei mesi di luglio ed agosto 1915, essa respira la grazia e la felicità delle opere nate spontaneamente e dalla cui stesura è assente ogni apparente sforzo creativo. (Ben diversa sarà da questo punto di vista la Sonata per violino e pianoforte che costerà al compositore una dura, dolorosa fatica). Si dice che Debussy abbia avuto in mente di chiamare la Sonata per violoncello «Pierrot faché avec la lune» e in effetti, nonostante la maggiore sobrietà - che a tratti sembra orientarsi verso la pura scarnezza neoclassica che distingue queste ultime opere di Debussy dai suoi lavori specificamente «impressionisti» - la Sonata si mantiene tutta in un'aura notturna, lunare ed anche qui, nonostante la virtuale linearità della scrittura, il colore armonico prevale sempre sul disegno, sicché la condotta lineare delle voci si rivela all'atto pratico di natura più «grafica» che reale. I singoli momenti della vicenda sonora risultano del resto anche qui con inequivocabile chiarezza dalle indicazioni di tempo e di espressione apposte dall'autore: così il Prologo, che s'inizia in modo «sostenuto e molto rubato», attraverso un alternarsi di periodi in cui la scansione va «animandosi» o «cedendo» culmina in una frase «largamente declamata» per ritornare poi gradatamente al movimento iniziale e sfumare («sempre più piano»), perdendosi in un evanescente, pallido armonico del violoncello.

Nella Serenata il filo melodico del cello («fantastico e leggero ») viene accompagnato in modo secco e chitarristico dal pianoforte. Ed anche il Finale (attaccato alla Serenata senza soluzione di continuità) s'inizia in modo «animato, leggero e nervoso», per assumere poi carattere «volubile», «appassionato e con fuoco». Dopo essersi adagiato in una lunga frase lenta («molto rubato, «con morbidezza», «dolcissimo, ma sostenuto», «delicatissimo», «dolce vibrato», sono gli attributi con cui l'autore vi qualifica il discorso sonoro), la vicenda musicale ritorna «volubile», «appassionata e animata», per concludersi, dopo un ultimo rallentamento (Largo) con una strappata del violoncello (accordo «arraché») e un secco accordo del pianoforte.

Va notato per ultimo, che nel caso di questa, come del resto in quello delle altre due Sonate debussyane, il termine di «Sonata» va riportato alla sua accezione formale preclassica, indicando una «Sonata» ricostruita sul piano dell'antica Suite.

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Debussy scrive la Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte nel 1915. Il titolo iniziale, carico di originale simbolismo (Pierrot faché avec la lune), si richiamava alla fantasiosa pittura di Watteau, con le sue sfumature melanconiche e ironiche. Ma del mondo stralunato e imbronciato di Pierrot, delle maschere dispettose e sorridenti della commedia dell'arte, delle citazioni degli insuperati maestri cembalisti francesi, delle nebulari e suggestive atmosfere, dell'uso ambientale della modalità, del richiamo a timbri strumentali antichi la Sonata è un magnifico, esemplare florilegio. Il Prologo assomiglia a un'austera ouverture in stile antico, "alla francese", al modo di una delle suites di Couperin, solenni, malinconiche; il piano disegna un tema declamatorio dal fare teatraleggiante, improvvisativo, completato dal cello che tratteggia il proprio assunto come un lamento. Giunge la seconda idea, dal disegno discendente, misterioso pianto solitario scandito dai rintocchi plagaleggianti del piano. Un'incessante opera di trasformazione dei materiali, anche attraverso l'inserzione di nuovi spunti, garantisce ricchezza inventiva e vivacità esplicitata a tratti in intense fasi di climax. Con la Sérénade giochi buffi di pizzicati del cello e puntiformi accordi in staccato del pianoforte introducono una minimalista linea che pare alludere, di volta in volta, al pianto, al sorriso, alle atmosfere lunatiche e fantastiche di Pierrot. Reiterazioni fugaci dell'idea sopra pizzicati ricreano l'atmosfera di una chitarra che suona, o di un liuto, dentro un'ambientazione bizzarra, surreale, tipica di uno scherzo; il Vivace è una pagina coloristica tutta glissando, suoni "sur la touche", pizzicati, flautati, combattuta su serrate alternanze di partenze, fermate, ripartenze fulminee di spunti contorti e mobilissimi e conclusa da acute e lamentose risonanze. Nel Finale un turbinante moto in arpeggio del piano prepara la strada al cello, che si inserisce nell'agitato discorso con un profilo "volubile", smaccatamente spensierato, aereo, saltabeccante, fatto di plastiche evoluzioni, funambolismi, sottili ironie. Poco dopo ecco una fase di sospirose attese, di sospensioni e improvvise accelerazioni concluse da una profonda declamazione. Dopo una sezione meditativa, con la ripresa del primo gruppo si giunge a un magniloquente epilogo.

Marino Mora

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Breve fu il tempo, impiegato da Debussy, nel comporre la sua unica Sonata per violoncello e piano (appena qualche settimana del 1915) mentre il suo organismo era, irrimediabilmente, minato da malattia inguaribile che, tra non molto tempo (il 25 marzo del 1918) l'avrebbe condotto alla tomba. Si era in tempo di guerra (la prima Guerra mondiale) e «Claudio di Francia», dando vita alla composizione, intendeva organare un'opera in cui si riflettessero, inequivocabili, le linee e i caratteri della «chiarezza e perspicuità» che hanno sempre contraddistinto i più genuini prodotti del genio francese.

Non aveva affermato Bergson che «le qualità d'ordine e di eleganza» sono essenzialmente greco-latine e, appunto per questo, essenzialmente francesi? La stessa realtà della guerra (guerra contro la Germania) agiva sul maestro come cosciente pungolo a rifluire, con lo scopo di differenziarsi dal gigantismo ipertrofico musicale tedesco, alle sorgenti del più pretto classicismo istrumentale dei grandi «clavicenistes» di Francia. Un tale richiamo al tempo trascorso — come annota il Gentilucci — avrebbe potuto rappresentare un principio d'involuzione, di ritorno al passato, saltando, a pie' pari, lo stesso processo innovatore avviato dal maestro. Nella Sonata, tuttavia, accanto ad elementi nitidi come pure ramificazioni di cristallo, riconducibili alla nettezza classica francese, se ne affiancano altri che testimoniano dell'apertura della musica di Debussy verso l'avvenire e di una certa atmosfera, pienamente concordante con i toni di certa poesia contemporanea al maestro. Gli stessi tentativi di sistemazione critica della Sonata sono una prova di ciò. Qualche critico, in effetti, ha creduto di vedere nella composizione, una specie di apoteosi sonora del personaggio di Pierrot, quasi un riflesso dell'estasi e delle bizzarrie in cui A. Giraud l'aveva avvolto nel suo poema «Héros et Pierrots» o quasi un'eco dei gelidi chiarori lunari in cui la stessa maschera era stata proiettata dalla poesia di J. Laforgue in «Imitation de nótre Dame de la lune».

Al di là delle parentele e dei richiami tra arti consorelle, sempre illuminanti in un musicista come Debussy, ciò che più preme, nella Sonata, sono i sostanziali valori di sicura architettura e di rigoroso impianto. In essa la voce del violoncello impera sovrana e Debussy si era fatto scrupolo di avvertire che la voce del piano non avrebbe dovuto mai soffocare quella del violoncello senza assumere la pretesa di lottare con lo strumento ad arco. Il primo tempo è costituito da un «Prologo», caratterizzato dal lento divagare di brevi frasi melodiche del violoncello, trapassanti dall'uno all'altro registro e sorrette da gracili accordi del piano. Qualche critico ha visto nel loro dipanarsi l'equivalente sonoro del narcotico incanto lunare, legato alla maschera di Pierrot. Una serie di pizzicati, che richiamano il timbro sensuale e notturno di chitarre e mandolini, apre la successiva «Serenata». Si direbbe che lo strumento ad arco voglia abbandonarsi a sentimentali effusioni liriche, ma lo strascico della voce dello stesso strumento sembra, con tipico atteggiamento debussyano, volersi fare beffe dell'incontrollato abbandono canoro. Nel finale, che si collega, senza soluzioni di continuità, alla «Serenata», dopo un preludio ritmatissimo, la voce del violoncello s'espande a pieno slancio generando, subito dopo, una gara di velocità con il pianoforte, resa più rilevabile dagli spostamenti della voce dello strumento dal registro basso a quello più acuto in una specie di fuga a due voci dall'empito travolgente.

Vincenzo De Rito


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 13 febbraio 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 8 novembre 1954
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 276 della rivista Amadeus
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 14 giugno 1973


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 6 marzo 2020