Trois ballades de Francois Villon, L 126

Versione per voce e pianoforte

Musica: Claude Debussy (1862 - 1918)
Testo: François Villon
  1. Ballade de Villon à s'Amye - Triste et lent, avec une expression où il y a autant d'angoisse que de regret (fa diesis minore)
  2. Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame - Très modéré (do maggiore)
  3. Ballade des femmes de Paris - Alerte et gai (mi maggiore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 18 novembre 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910

Vedi anche la versione per voce e orchestra
Guida all'ascolto (nota 1)

Nelle Trois Ballades de François Villon (1910) il rapporto con il poeta è in un certo senso aggirato, dissimulato dalla grande distanza temporale che lo separa dal compositore, ma anche da una profonda identificazione che fa sembrare Debussy il vero soggetto parlante di queste fenomenali ballate: un compositore maudit che si libera del luogo Comune di poeta impressionista dei suoni. Inizia qui l'ultimo periodo della sua vita, e la sua penultima raccolta vocale.

Nella Ballade de Villon a s'amye (Ballata di Villon all'amica), l'amarezza e il dolore del poeta per la falsità dell'amata (la "Marthe" celata in acronimo nella seconda strofa) si manifestano nel lamento "triste e lento" della mano destra, in ritmo lombardo, e nell'intensa melodia violoncellistica della sinistra, che poi si abbandona volentieri a quello stesso gesto di sconforto. La voce ha un crescendo quasi raveliano di delusione e rivendicazione che talvolta si fa dolce, talvolta minaccioso: la constatazione della bellezza di lei che dovrà sfiorire ha un guizzo ironico, mantenuto anche nel radioso climax in maggiore dell'invocazione al "Prince amoureux".

Nella Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame (Ballata che Villonf ece su richiesta della madre per pregare Nostra Signora) il pianoforte assume toni organistici, nel sapore antico di una quinta vuota di sostegno, per conferire un tono sacrale alla preghiera della povera donna ignorante con la sua cieca fede: una sottomissione resa perfettamente dal refrain "voglio vivere e morire in questa fede" con dissonanza non casuale su "vivre". Nel complesso, come ha scritto Fischer-Dieskau, la musica (che molto dovette influenzare Poulenc) ci fa osservare la poesia come attraverso la vetrata variopinta d'una cattedrale gotica.

La Ballade des femmes de Paris (Ballata delle parigine), infine, è un unicum nell'opera di Debussy, quasi una canzone da cabaret resa irresistibile dall'accompagnamento martellato su ritmi di chitarra, che talvolta si raddolcisce, e che mette in moto una gustosa declamazione e la parata di donne del mondo. La scena è la Parigi di Villon (versione quattrocentesca della città), salutata con bravura, nel finale, da un lungo glissando che spazza quasi tutta la tastiera. Come dire: Chapeau! alle donne di Parigi.

Erik Battaglia


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 18 febbraio 2011


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Ultimo aggiornamento 31 gennaio 2014