El retablo de maese Pedro

Versione musicale e scenica di un episodio del Don Quixote de la Mancha di Miguel de Cervantes

Musica: Manuel de Falla (1876 - 1946)
Libretto: Manuel de Falla da Cervantes

Ruoli: Organico: flauto (anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, clarinetto, fagotto, 2 corni, tromba, timpani, rullante, sonagli, tamburello, tam-tam, xilofono, clavicembalo, arpa, archi
Composizione: 1919 - 1923
Prima rappresentazione: Siviglia, Teatro San Fernando, 23 marzo 1923
Edizione: J. & W. Chester, Londra, 1924
Dedica: Madame la Princesse Edmond de Polignac
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nato quattordici anni dopo Albeniz e sette dopo Granados, Manuel de Falla ha contribuito con essi a dare una fisionomia nazionale alla musica spagnola, imponendola in Europa e nelle altre regioni del mondo come uno spaccato artistico e culturale autonomo e con caratteristiche di linguaggio molto precise e ben delineate sotto il profilo stilistico. Rispetto agli altri due compositori Falla rivela una più scoperta modernità nella ricerca sia armonica che strumentale, acquistando una posizione di rilievo in quel movimento di reazione all'egemonia del sinfonismo tedesco e, in misura minore, dell'opera italiana. Nell'ambito dell'arte dei primi trent'anni del Novecento egli è uno dei pochi compositori, insieme a Ravel e al primo Stravinsky, che abbia vinto la battaglia della popolarità e si sia assicurato un posto importante nel repertorio dei concerti. Falla appartiene a quel gruppo di musicisti non particolarmente prolifici come numero di opere e di lavori sinfonici e cameristici, ma ciò non toglie che i suoi lavori riflettano un senso scrupoloso della perfezione sul piano tecnico e artigianale. Del resto nella produzione di questo autore sono compresi pezzi di indubbio valore musicale più volte riproposti al pubblico, come le Noches en los jardines de España per pianoforte e orchestra (1909-1915), i due splendidi e multicolori balletti El Amor brujo (1915) e El Sombrero de tres picos (1919), ai quali vanno aggiunte alcune pagine di linea cameristica, tra cui le Siete canciones populares españolas per canto e pianoforte, e quel singolare componimento da tutti ritenuto un capolavoro che è El Retablo de Maese Pedro (Il teatrino ambulante di mastro Pietro), scritto come adattamento musicale e scenico di un episodio tratto dal secondo libro del "Don Chisciotte" di Cervantes.

Falla cominciò a comporre El Retablo nel 1919 e lo portò a termine nel 1922; il 23 marzo del 1923 fu rappresentato in forma di concerto e senza scene a Siviglia sotto la direzione d'orchestra dello stesso autore. Il 25 giugno dello stesso anno il lavoro, sceneggiato, venne dato a Parigi nel palazzo della principessa di Polignac che lo aveva commissionato. Questa volta il direttore era Vladimir Golschmann e la parte di Don Chisciotte era interpretata da Héctor Düfranne, cantante noto per essere stato il primo Goulaud nel Pelléas di Debussy, mentre al clavicembalo sedeva la celebre Wanda Landowska. Fu un successo quanto mai lusinghiero, che si ripetè quando "El Retablo" venne eseguito il 14 ottobre 1924 al Festival di Bristol in Inghilterra, sotto la direzione d'orchestra di Malcolm Sargent. Composto per tre voci soliste e un'orchestra di venticinque elementi, "El Retablo" viene considerato un'opera in un atto di straordinaria felicità inventiva in cui Falla è riuscito a ricreare lo stile della musica popolare spagnola in un clima tra il reale e il fantastico. Al centro della vicenda c'è maese Pedro, abile burattinaio, il quale in una scuderia di un albergo della Mancia d'Aragona mette su un teatrino per rappresentarvi uno spettacolo di marionette recitanti un dramma cavalleresco con l'intervento dei paladini di Carlo Magno, di re mori e di principesse, tutti coinvolti in una successione di rapimenti, di fughe e di inseguimenti. Succo dell'invenzione di maese Pedro è la storia della liberazione di Melisendra, sposa di Don Gaiferos, imprigionata dal re moro Marsilio in un castello di Saragozza. Tra gli spettatori presenti allo spettacolo ci sono Don Chisciotte e il suo fedele servitore Sancho, ambedue attratti dalla voce di un ragazzo che narra lo svolgimento dell'azione così come viene dipanandosi sul minuscolo palcoscenico. Si vede la corte di Carlo Magno al gran completo e con essa l'infelice Gaiferos deciso a liberare la propria sposa; in un altro quadro appare l'Alcazar di Saragozza con Melisendra in attesa del suo liberatore, Don Gaiferos, il quale giunge tra mille difficoltà al castello e rapisce sua moglie. Viene dato l'allarme e il re Marsilio raccoglie il proprio esercito e si getta all'inseguimento dei fuggiaschi. A questo punto Don Chisciotte, particolarmente eccitato dal dramma al quale sta assistendo, sguaina la spada e pronuncia parole di condanna nei confronti degli inseguitori. Alla fine non esita a lanciarsi sul teatrino e a distruggerlo tra le proteste e le invocazioni di aiuto di maese Pedro. Soltanto quando il teatrino è completamente sfasciato l'hidalgo si placa, invocando la sua Dulcinea ed esaltando i principi della cavalleria, trionfante sulle meschinerie dei poveri mortali.

Su questa intelaiatura Falla ha costruito una musica essenziale e raffinata, in cui ogni passaggio è studiato con perfetto risalto secondo un gusto arcaicizzante che si richiama all'arte iberica del Cinque e Seicento feudale e cattolico. Ogni quadro è preceduto e anche commentato dalle spiegazioni di una voce nasale di un ragazzo, che si esprime in forma di parlato dalla cadenza cantilenante, quasi una lezione rievocante le antiche salmodie liturgiche e su poche note tenute dal gruppo strumentale, dove risalta il suono del liuto e del clavicembalo. Il gioco armonico e ritmico dei venticinque strumenti sottolinea con misurata vivacità il dramma delle marionette e nello stesso tempo anima adeguatamente l'illusione del generoso Don Chisciotte giustiziere, fino a raggiungere effetti di straordinaria efficacia descrittiva nel momento in cui il piccolo teatro del burattinaio viene distrutto dalla incalzante follia del "caballero errante", immerso nei suoi sogni di difesa e di riscatto di tutti quelli perseguitati, nella sua ingenua convinzione, dall'ingiustizia umana. Nel Retablo de Maese Pedro si è lontani dalla ricca tavolozza sonora caratterizzante le precedenti esperienze ballettistiche e operistiche, ma ciò non significa che tale lavoro, non più lungo di mezz'ora, non sia espressione di una personalità artistica originale e carica di un fascino poetico degno della più ammirata adesione del pubblico. È un'invenzione originale scaturita dallo spirito e non dalla lettera della canzone popolare spagnola: per questa ragione l'ingegno creativo di Falla ne esce maggiormente trionfante e dominatore.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

El retablo de Maese Pedro è uno spettacolo sui generis, che nacque da esperienze molteplici di Falla. La più importante fu la collaborazione agli spettacoli di marionette organizzati dal poeta Garcia Lorca, grande appassionato del genere; per essi Falla aveva preparato la parte musicale, utilizzando composizioni di Stravinskij, Debussy, Ravel, Albéniz e altri. Fu lo stesso Falla a scrivere il libretto del Retablo, ricavandolo dai capitoli 25 e 26 del Don Quixote di Cervantes.

L'argomento è presto detto: Maese Pedro (mastro Pietro) presenta uno spettacolo di marionette al quale assiste, tra gli altri spettatori, don Chisciotte. Vi si mette in scena la storia della bella Melisendra, figlia putativa di Carlo Magno tenuta in ostaggio dal re dei mori Marsilio, e del suo sposo don Gayferos, che la sottrae alla prigionia. La storia è narrata e commentata da un ragazzo (el Trujamán); gli altri due ruoli cantati sono Maese Pedro, tenore, e don Chisciotte, basso. L'orchestra è costituita da un gruppo ridotto di archi e di fiati, cui si aggiungono alcune percussioni, un clavicembalo e un arpa-liuto. La prima esecuzione del Retablo avvenne, in forma di concerto, al Teatro San Fernando di Siviglia il 23 marzo 1923; poco dopo si ebbe la rappresentazione in forma scenica, il 25 giugno nel palazzo della principessa di Polignac a Parigi. Si tratta di un lavoro molto originale, nel quale l'espediente del teatro nel teatro si aggiunge a un gioco di specchi deformanti: un'azione coerente benché fittizia - la storia di Melisendra - è interrotta da un personaggio paradossale - don Chisciotte - che non riesce a distinguere la finzione dalla realtà, e che interseca dunque i due piani drammatici. Molti i riferimenti musicali disseminati da Falla nella partitura: si va dalle danze e dai canti popolari spagnoli alla musica colta iberica del Cinque-Seicento.

Rulli di tamburo e una musica di fiati allegra ed estroversa: s'apre il sipario e Maese Pedro, interrotta la musica al suono d'una campanella, invita il pubblico con fare da imbonitore ad assistere alla storia di Melisendra, «una delle più belle storie al mondo». La Sinfonia, nel corso della quale gli spettatori prendono posto, è costruita su temi e motivi che Falla trasse dal Cancionero di Pedrell. È improntata a una scrittura vivace e brillante, sia nell'imponente fanfara d'ottoni dell'esordio, sia nel grazioso e contrastante inserto del flauto; qua e là affiorano tratti politonali, privi tuttavia dì ogni asprezza. Segue un secondo annuncio di Maese Pedro, più breve del precedente. A questo punto entra in scena il Trujamán, il ragazzo aiutante di Maese Pedro, e annuncia il soggetto della rappresentazione, che narrerà la liberazione di Melisendra dai mori ad opera del suo sposo, don Gayferos. Il Trujamàn termina il suo annuncio intonando, sulle parole «Jugando está a las tablas don Gayferos», un'antica melodia di origini medioevali (Falla la trasse dal Cancionero di Salinas).

La storia rappresentata nel teatrino delle marionette di Maese Pedro si articola, come ogni testo drammatico, in quadri. Il primo di essi d si intitola La corte de Carlo Magno e prende il via, dopo che s'è alzato il sipario del teatrino, con una fanfara di corni e tromba che da lontano gradualmente si avvicina (è il primo dei molti effetti sonori che Falla utilizza in questa partitura per creare l'illusione della distanza spaziale). Il Trujamán inizia a narrare dei rimproveri di Carlo Magno a don Gayferos e della partenza di quest'ultimo; l'orchestra segue l'azione con l'imponente fanfara degli araldi che annunciano l'arrivo dell'imperatore. Il suo ingresso in scena è segnato da un suggestivo tema di gagliarda dal sapore arcaico, lento e processionale, strumentato come un corale dei legni sugli accordi discreti dell'arpa-liuto. Non manca neppure un accenno all'irritazione di Carlo Magno, che rimprovera don Gayferos per la sua inerzia; l'imperatore infine esce di scena, accompagnato da una nuova fanfara dei suoi araldi, e il Trujamán riprende la narrazione.

Il secondo quadro a si svolge all'Alcázar di Saragozza: Melisendra è affacciata, in atteggiamento pensoso, a un balcone della Torre del Homenaje. Falla presenta il personaggio con una musica che ricorda intenzionalmente la musica scritta da Debussy e da Fauré per caratterizzare la Mélisande di Maeterlinck. Utilizza un tema celebre, quello della romanza Retraida esta la Infanta, riprodotto anche nel Cancionero di Pedrell; ne nasce una pagina intrisa di una dolce nostalgia, cullante, strumentata in modo vaporoso. L'atmosfera è rotta all'improvviso da acuti guizzi strumentali: il Moro assale e tenta di baciare la principessa, che grida. Re Marsilio lo fa arrestare; il Trujamán vorrebbe descrivere nei dettagli il Moro condotto al supplizio, ma dal pubblico interviene don Chisciotte, che impaziente lo invita a non perdersi in particolari inutili. Maese Pedro, cantando su un ritmo di seguidilla, invita il ragazzo alla concisione.

La musica descrive ora il supplizio del Moro bastonato sulla pubblica piazza. Falla restituisce il colore esotico e "barbarico" della scena ricorrendo alle percussioni (timpani, tamburo, raganelle) e imponendo agli altri strumenti una canzone infantile, suonata con un ritmo meccanico di marcia. L'effetto è secco, quasi brutale. Al termine, mentre il corteo si allontana, il Trujamán riprende la parola. La musica descrive ora don Gayferos che attraversa i Pirenei, a cavallo, lanciando di tanto in tanto segnali col corno. La compresenza, in orchestra, di ritmo binario e ternario crea l'illusione della cavalcata a briglia sciolta; e alla fine, sul diminuendo generale, sembra di vedere don Gayferos che si perde all'orizzonte. Anche al termine di questo quadro descrittivo il Trujamán riprende la sua narrazione, che anticipa gli eventi del quadro successivo.

L'incontro dei due amanti è descritto da Falla con una pagina dallo straordinario, intenso lirismo. Melisendra è affacciata alla finestra della torre: dall'orchestra emergono accordi arpeggiati del clavicembalo, nello stile di un preludio improvvisante, discretamente punteggiato dagli archi. Poi il violino solo presenta una melodia dolce e dal sapore arcaico, improntata a grande malinconia; il canto passa al corno, col sostegno degli arpeggi dell'arpa-liuto. Un rapido sussulto del flauto segna la fuga di Melisendra e don Gayferos. L'intervento del Trujamán, questa volta, non è accompagnato da uno sfondo anonimo: l'orchestra, con una parte obbligata di clavicembalo e accordi ritmici degli archi, rende la concitazione della cavalcata dei due amanti in fuga. Ancora una volta Maese Pedro, sporgendosi dal teatrino, richiama il ragazzo alla brevità.

Il Trujamán, procedendo nella narrazione, si trova trascinato nel movimento turbinoso dell'orchestra che ritrae la fuga degli amanti e le guardie di re Marsilio che li inseguono. Don Chisciotte protesta contro l'assurdità quando sente che re Marsilio fa suonare tutte le campane delle moschee, ma Maese Pedro riesce per il momento a calmarlo. L'azione rappresentata nel teatrino, però, si fa sempre più concitata (e più frenetica l'attività dell'orchestra): don Chisciotte non riesce più a trattenersi e, incapace di distinguere tra finzione e realtà, distrugge teatrino e marionette con la sua spada. Perduta del tutto la ragione, don Chisciotte prosegue nel suo delirio intonando una dichiarazione d'amore a Dulcinea, confondendo la sua dama con Melisendra. In un tono sempre più enfatico e sempre più esaltato, don Chisciotte si rivolge agli spettatori e declama un inno appassionato alla propria gloria e a quella dei cavalieri erranti.

Claudio Toscani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 19 dicembre 1986
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 207 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 15 febbraio 2019