Concerto per violoncello n. 2 in si minore, op. 104


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro
  2. Quasi improvvisando: Adagio ma non troppo
  3. Finale: Allegro moderato
Organico: violoncello solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, archi
Composizione: New York, 8 Novembre 1894 - 9 Febbraio 1895
Prima esecuzione: Londra, Philarmonic Society, 19 Marzo 1896
Dedica: a Hanuš Wihan

Vedi al B.522 la riduzione per violoncello e pianoforte
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Non a torto giudicato da molti il più bel Concerto per violoncello (forse assieme a quello di Schumann), questa pagina è anche una delle opere più intense di Dvorak, composta durante il soggiorno americano, ma rielaborata (specie nel terzo tempo) dopo il ritorno a Praga nel 1895. Il Concerto occupa un posto di rilievo tra le ultime composizioni del compositore ceco ed è considerato un testamento della sua attività artistica, oltre che un'importante testimonianza dell'appartenenza di Dvorak alle cosiddette "Scuole Nazionali", un indirizzo estetico sviluppatosi nei paesi vissuti musicalmente a margine della grande Europa (dai Paesi di lingua slava alla Russia), che aveva alla base la riscoperta del sentimento popolare, ovvero lo studio e la rilettura delle proprie radici musicali.

Non sono estranei alla musica di Dvorak gli influssi delle teorie sul canto popolare di Herder, di Goethe e dei fratelli Grimm. D'altra parte l'interesse per le espressioni musicali della tradizione popolare aveva già contagiato compositori come Liszt e Brahms, che in più di un'occasione avevano rielaborato danze popolari e melodie zingaresche. Alla rielaborazione di materiale già esistente Dvorak sembra però preferire la creazione originale di nuove melodie, che scaturiscono dalla sua mente in maniera del tutto naturale, con una spontaneità che ricorda la facilità melodica di uno Schubert. Ad alimentare la vena creativa di Dvorak c'è dunque il folklore della sua terra: un patrimonio sterminato dal quale il compositore riprende il rapido alternarsi di sezioni lente e veloci, la malinconia struggente e i ritmi serrati e aggressivi. Alla ricchezza dell'invenzione melodica si affianca il fascino sonoro dell'orchestra che, unito ad un artigianato saldo ed espressivo, rendono la sua musica estremamente seducente.

Dei due Concerti per violoncello e orchestra scritti da Dvorak solo il secondo è rimasto nel repertorio mentre il primo, del 1865, ci è pervenuto nella versione per violoncello e pianoforte ed è considerato un lavoro di stampo giovanile. Il sentimento di inquietudine e di tormentata passione che affiora nel Concerto in si minore va ricollegato, secondo alcuni studiosi, alle vicende biografiche dell'autore, ed in particolare all'amore impossibile per la futura cognata Josefina Cermàkovà. Non sappiamo se il fascino e la naturalezza di questo Concerto scaturiscano, come spesso avviene nella creazione artistica, da una sofferenza interiore, è certo però che l'op. 104 è uno degli esempi più riusciti di fusione di folklore e formalismo classico, una composizione piena di nobile melodiosità e di ricchezza strumentale.

Il rapporto tra solista e orchestra è di grande equilibrio e dialogo, più simile dunque all'ideale beethoveniano che non a quello del Concerto romantico che vede prevalere il solista sull'orchestra. Lo strumento viene sfruttato in tutte le possibilità sonore e virtuosistiche e si rimane sorpresi dalla sua grande varietà timbrica, soprattutto nella regione acuta dove non sembrano esserci confini.

Nel primo movimento, Allegro, Dvorak ci ammalia con i suoi raffinatissimi impasti timbrici: clarinetti e violoncelli sembrano confondere la propria voce, i corni trasformano il suono metallico in un morbida pasta lignea, e il solista corre su e giù per le corde quasi volesse imitare tutti gli altri strumenti. Il compositore gioca con abilità sul passaggio dal minore al maggiore, creando un chiaroscuro che raggiunge il suo apice di intensità quando il violoncello riprende il tema del corno in re maggiore. Il solista non è sempre in primo piano e certi momenti particolarmente suggestivi sono proprio quelli in cui la linea tesa della melodia si scioglie in veloci note di accompagnamento.

Nel secondo tempo, Adagio ma non troppo, le battute iniziali sono affidate a oboi, clarinetti e fagotti; il loro timbro è esemplare e ricorda il suono dell'organo, un'atmosfera perfetta per l'ingresso del tema al violoncello, una melodia che rimanda al primo dei quattro Lieder op. 82 che Dvorak scrisse per l'amata Josefina Cermàkovà. Il solista, in una atmosfera di pacata conversazione, intesse un dialogo privilegiato con gli strumenti a fiato: clarinetto, flauto e infine l'oboe.

L'inizio del Finale, costruito armonicamente su un pedale di dominante, ha lo scopo di creare una zona di forte tensione e sospensione che troverà il suo naturale "sfogo" solo con l'arrivo del tema affidato al solista, un tema dal profilo melodico incisivo e dal disegno ritmico inconfondibile, impossibile da dimenticare.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto per violoncello in si minore è stato scritto espressamente per il grande esecutore Hanus Wihan, violoncellista del Quartetto boemo e amico di Dvorak. La composizione fu ultimata alla fine del secondo soggiorno americano, fra il Novembre 1894 e il Febbraio 1895, a New York, ed eseguita la prima volta a Londra il 19 marzo 1896, sotto la direzione dell'autore e nell'interpretazione solistica di Leo Stern. La concezione generale pare piu quella di una sinfonia con violoncello obbligato che quella di un concerto tradizionale. In tutti e tre i movimenti l'orchestra ha un ruolo essenziale nell'individuare temi e strutture, senza tuttavia sommergere la voce scura del violoncello. Il più ispirato è il movimento centrale, dove la cantabilità baritonale del solista si fonde col controcanto degli strumenti d'orchestra con intensa partecipazione drammatica. Il fervore romantico non manca neppure nel primo movimento, dominato da un perentorio tema principale. Ritmicamente ben squadrato si staglia anche il motivo fondamentale del finale, che coordina gli episodi secondari in uno dei quali è ripresa, secondo il procedimento ciclico della Sinfonia "dal Nuovo Mondo", una melodia del secondo tempo che va poi ad alimentare la conclusione di grande effetto.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Se una cifra comune si può rintracciare nel programma proposto, questa va ricercata nelle diverse declinazioni dell'uso di materiali di derivazione o di ispirazione popolare, e ciò ovviamente in gradazioni diverse a seconda degli autori, delle matrici culturali e del periodo storico interessato, in una gamma che va dal nazionalismo ottocentesco, alla citazione folclorica, alla ricreazione compositiva del materiale originale.

Il primo brano che si ascolterà, il Concerto in si minore per violoncello e orchestra op. 104 di Antonìn Dvorak, è anche quello di più 'antica' scrittura, collocandosi sul finire del XIX secolo, più precisamente nell'inverno newyorkese 1894-95. La sua struttura classica ci rinvia ancor più al passato, ma questo aspetto è controbilanciato da un uso coloristico e virtuosistico dello strumento, nonché dalla matrice popolare di alcuni temi musicali. Figlio di un macellaio che contemporaneamente gestiva una trattoria, suonava cetra e violino, ed era membro dell'orchestra del villaggio, Dvorak aveva ben presenti le radici popolari della musica boema, e avrebbe poi fatto opera di promozione della tradizione musicale ceca, assicurandosi così, in epoca di panslavismo, onori e riconoscimenti.

Tra i brani più eseguiti di Dvorak, il Concerto per violoncello fu scritto per il virtuoso Hanus Wihan, violoncellista del Quartetto boemo e amico del compositore; il brano fu poi però suonato per la prima volta da Leo Stern, in una esecuzione londinese diretta dall'autore il 19 marzo 1896 (all'ultimo momento il compositore si rifiutò di inserire nel finale la cadenza composta da Wihan per se stesso). Ultima opera scritta durante il secondo soggiorno americano, periodo in cui ricoprì l'incarico di direttore del National Conservatory of Music di New York, questa composizione denuncia musicalmente i suoi debiti con la musica popolare boema più che con le nuove suggestioni americane, fors'anche perché scritta dopo tre anni di lontananza dal paese natale.

Il Concerto si apre con una classica introduzione orchestrale bitematica, con il celebre primo tema affidato al clarinetto, reminiscenza della Quarta Sinfonia brahmsiana, cui segue un secondo tema affidato in pianissimo al corno. L'intero primo movimento (Allegro) è permeato dall'alternarsi di sonorità decise e di ripiegamenti: anche il violoncello fa così sfoggio sia della sua dimensione cantabile, sia di quella virtuoslstica, e il compositore sfrutta appieno le possibilità del dialogo non solo tra solista e orchestra, ma anche tra violoncello e singoli strumenti dell'orchestra, con una particolare predilezione per i fiati.

Il secondo tempo, Quasi improvvisando: Adagio ma non troppo, si apre con un tema tra il popolare e il religioso, affridato a oboe, clarinetto e fagotto, e ripreso dal violoncello che inizia a elaborarlo per poi ripiegare su se stesso e tornare pienamente protagonista nella parte finale del movimento (quasi cadenza).

Una marcia grave apre l'Allegro moderato finale, con il tema staccato affidato ai corni, ma presto l'andamento marziale si scioglie con il riapparire del violoncello, il quale si inerpica nel suo registro acuto inanellando trilli e dando inizio a un crescendo di protagonismo che, attraverso una serie di episodi tematici, porta alla modulazione in si maggiore. Ha inizio così l'ultima sezione, nella quale crescono sonorità e dinamica, stemperate nel pianissimo della coda, dove il compositore inserisce una melodia (Puisse mon ȃme dei Quatre chants op. 82), in memoria della cognata Joséphine Kounicova, da poco scomparsa.

Non sfugga all'ascolto come in quest'ultimo movimento, attraverso la ripresa melodica di un tema del secondo tempo, venga usato il procedimento ciclico della Sinfonia "dal nuovo mondo", scritta anch'essa a New York, nel periodo 1892-93.

Roberto Giuliani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 19 Ottobre 2002
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 4 Giugno 2007


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Ultimo aggiornamento 6 marzo 2013