Quintetto per pianoforte n. 2 in la maggiore, op. 81


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro, ma non tanto
  2. Dumka - Andante con moto
  3. Scherzo-Furiant: Molto vivace
  4. Allegro
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Praga, 18 agosto - 3 ottobre 1887
Prima esecuzione: Praga, Konvikt Sal dell'Umelecka Beseda (Unione degli Artisti), 6 gennaio 1888
Dedica: al Dr. B. Neureuther
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Scritto nell'arco di meno di due mesi, tra il 18 agosto e il 3 ottobre del 1887, il Quintetto op. 81 è di gran lunga il più noto dei due Quintetti con pianoforte composti da Dvořàk nella stessa tonalità di la maggiore; ma se il primo op. 5, datato 1872, si inscriveva ancora nell'orbita classicheggiante di Mozart, questo se ne allontana in direzione di una più pregnante integrazione tra elementi romantici, soprattutto brahmsiani, e folclorici. Come prima di lui Smetana, anche Dvořàk, a differenza dei russi, riteneva che lo spirito del canto popolare dovesse essere ricreato non copiando il popolo, bensì reinventando con la fantasia nuove melodie sul modello della musica popolare: non rifacimenti o ripensamenti basati sull'elaborazione del vero, dunque, ma stilizzazioni formali artisticamente originali. Cresciuto sotto l'influsso delle teorie di Herder, Goethe e dei fratelli Grimm, che furono così decisive per lo sviluppo del nazionalismo cèco, egli ravvisò il suo ideale artistico in una tradizione che, partendo dal classicismo e operando nel solco del grande romanticismo tedesco, immettesse nelle strutture formali di quella tradizione e nei suoi schemi compositivi la comunicativa diretta del canto popolare, giungendo a vagheggiare l'utopia totalizzante di un folclore senza distinzioni slavo, anzi panslavo.

Questi due atteggiamenti coesistono in modo quasi programmatico nella concezione formale delle sue opere maggiori, alle quali appartiene anche il Quintetto op. 81. L'ambizione strutturale alla grande forma si manifesta soprattutto nei movimenti estremi, dominati da un'elaborazione tematica salda e concentrata negli sviluppi; mentre in quelli centrali risaltano i due aspetti peculiari dell'idioma ispirato al folclore: effusione melodica e senso immaginativo negli Adagi, vivacità ritmica e rustica robustezza negli Scherzi. Nel primo movimento del nostro Quintetto, Allegro ma non tanto, la netta plasticità dei temi, dalla prima esposizione del violoncello alle successive entrate degli archi fino alla ripresa affermativa del pianoforte, mostra un'espressività appassionata, ora energica, ora lirica, oscillando tra indugi contemplativi e vigorose impennate. Quest'inventiva insieme spontanea e controllata, di immediata forza comunicativa, si ripropone con una serrata unitarietà di effetti potenziati nell'Allegro finale, raggiungendo una perfetta simbiosi di vitalità gagliarda e di gioiosa brillantezza.

I due tempi centrali, come si è detto, danno ampio spazio al carattere popolare. La Dumka, canto popolare russo-slavo, sorta di méditation narrativa di carattere elegiaco, è il fulcro dell'Andante con moto, pagina sospesa tra pensosità e malinconia e contrassegnata dal contrasto tra la sezione lenta iniziale, poi ripresa alla fine, e l'irruzione centrale di un Vivace effervescente e aggressivo. Lo stesso procedimento, ma a parti invertite, si ripresenta nello Scherzo (Molto vivace), un baldanzoso Furiant in 3/4 festosamente danzante e a tratti sincopato, interrotto dalla pacata staticità del Trio (Poco tranquillo).

Anche queste asimmetrie e questi contrasti, che non giungono mai a contemplare insidie alla compattezza o sfoghi drammatici, sono del tutto compatibili con un piano compositivo nel quale l'estrosa sorpresa, apparentemente improvvisata ma mai sconfinante nei territori di un atteggiamento problematico, è funzionale non solo a una visione di spontaneo ottimismo ma anche a una integrazione con il pensiero costruttivo generale. Tutto suona piacevole e gradevole, sano ed equilibrato, pienamente bello: siamo ancora lontani dal sapore acre dell'ardente realismo psicologico di Janàček, e dalla durezza aspra dei suoi scatti imprevedibili.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se il quartetto d'archi vanta gloriose tradizioni ed è universalmente considerato il genere più alto della musica da camera, l'unico genere strumentale "a cinque" che possa competere con esso per equilibrio tra le parti ed identità timbriche dei componenti è il quintetto a fiati, formato da flauto, oboe, clarinetto, corno e fagotto, per la quale formazione ci sono pervenuti mirabili esempi usciti dalla penna di Danzi, Reicha, Nielsen, Hindemith, fino a "Zeitmasse" di Stockhausen. Tuttavia anche il quintetto nella sua configurazione per pianoforte, due violini, viola e violoncello ha una propria autonomia e una letteratura che spazia da Boccherini, Louis Ferdinand principe di Prussia, Spohr, Onslow, attraverso Schumann, Franck, Brahms fino a Shostakovic.

In questa serie non lunghissima un particolare posto lo merita Antonìn Dvorak, non fosse altro per aver composto ben due quintetti per pianoforte e archi (oltre a 14 quartetti e due quintetti per soli archi). Sebbene Dvorak generalmente non venga considerato autore "pianistico" (si pensi allo sfortunato concerto op. 33), nel Quintetto op. 5 del 1872 la scrittura pianistica non lascia niente da desiderare, come del resto anche gli archi sono trattati adeguatamente - si preannuncia già la maestria del Quintetto più maturo, anche se nell'opera giovanile si denotano ancora influssi wagneriani (specie nel tempo lento).

L' "Allegro ma non tanto" del Quintetto op. 81, composto nel 1887, si apre con un tema sognante esposto dal violoncello cui segue subito un primo "tutti" nel quale gli archi si contrappongono nettamente al pianoforte, con un motivo in do maggiore dai caratteristici ritmi puntati, per passare in rapida successione a tutta una serie di idee tematiche contrastanti che danno vita a un movimentato primo tempo dai repentini cambiamenti d'atmosfera. Dvorak ha utilizzato in tutte le sue musiche elementi folcloristici dimostrando una decisa predilezione per la dumka, un genere di canto popolare slavo di origine ucraina dall'andamento lento ed elegiaco, prevalentemente in modo minore, arrivando addirittura a scrivere un Trio (quello in mi minore op. 90, detto appunto "Dumky") interamente composto da dumky. Il secondo tempo del Quintetto op. 81, "Andante con moto", è anch'esso una dumka, il cui motivo principale viene esposto dalla viola, e ciclicamente ripreso dagli altri strumenti. Una caratteristica delle danze popolari slave, ma anche di quelle ungheresi (csàrdàs) è l'alternarsi di sezioni lente e veloci, dai toni opposti - così tra i vari ritorni del tema ovvero della "ballata" vengono a calarsi alcune sezioni intitolate "Un pochettino più mosso", "Vivace" e ancora "Un pochettino più mosso".

Dvorak attinge ancora al tesoro della musica popolare ceca conferendo allo "Scherzo" caratteristiche del Furiant pur non alternando ritmi binari e ternari. Al "Molto vivace" del terzo tempo fa eco un Finale ("Allegro") non meno trascinante le cui origini popolari traspaiono seppur meno palesemente che negli altri tempi. Dvorak vi inserisce tra l'altro un brevissimo fugato quasi a sottolineare l'autonomia dei singoli strumenti. La sua concezione quindi viene a contrapporsi a quella di Franck, già autore di un quintetto in cui si afferma un netto dualismo tra il blocco compatto degli archi da una parte e il pianoforte dall'altra.

Johannes Streicher


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 30 aprile 1999
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 febbraio 1989


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Ultimo aggiornamento 20 dicembre 2013