Sestetto per archi in la maggiore, op. 48


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro moderato
  2. Dumka: Poco allegretto
  3. Furiant: Presto
  4. Finale: Tema con variazioni
    • Tema - Allegretto grazioso quasi andantino
    • Varizione I - Poco più mosso
    • Varizione II - Più mosso scherzando
    • Variazione III - Meno mosso
    • Variazione IV - L'istesso tempo
    • Variazione V - L'istesso tempo
    • Stretta - Allegro. Presto
Organico: 2 violini, 2 viole, 2 violoncelli
Composizione: Praga, 14 - 27 maggio 1878
Prima esecuzione: Berlino, Sternsches Konservatorium Saal, 9 novembre 1879
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quasi un secolo dopo i Sestetti di Boccherini e i Quintetti di Mozart, le cose non erano cambiate di molto: né il quintetto né il sestetto erano riusciti ad imporsi definitivamente all'attenzione del pubblico e dei compositori e continuavano a comparire fra le opere degli autori e nel repertorio degli esecutori solo sporadicamente, come satelliti costretti a lunghissime orbite intorno ai veri pianeti, i quartetti, fermi al centro dell'attenzione generale. Per questo è quanto meno singolare che il primo lavoro cameristico del ventenne Antonìn Dvorak sia stato proprio un quintetto con due viole, il Quintetto in la minore op. 1, del 1861; dopo questo avvio un po' anomalo, però, Dvorak si orientò subito sul genere più tradizionale del quartetto, e l'anno dopo scrisse il Quartetto in la maggiore op. 2.

Pur senza raggiungere i vertici negativi di Boccherini (la Sinfonia "Dal Nuovo Mondo" non è proprio l'unico suo pezzo conosciuto), anche Dvorak è un autore che «attende la sua ora, che sicuramente verrà» e anche per lui è andata sprecata di recente l'opportunità di un anniversario, il centocinquantesimo della nascita, caduto nel 1991. Quando finalmente «verrà la sua ora», una delle prime lacune che sarà bene colmare è proprio quella relativa alla musica da camera, che conta un gran numero di lavori spesso di livello altissimo. Dopo il Quartetto op. 2, per qualche anno Dvorak trascurò la musica da camera; poi, solo nel decennio 1869-1878, videro la luce 8 Quartetti per archi, un Quintetto con pianoforte e uno con contrabbasso, un Quartetto con pianoforte, 2 Trii con pianoforte e infine, nel 1878, il Sestetto in la maggiore per archi, pubblicato l'anno dopo da Simrock come op. 48.

Nei 102 anni trascorsi dai Sestetti di Boccherini, la letteratura per sestetto d'archi non era cresciuta di molte unità - tra i pochi contributi di un certo rilievo che si possono menzionare ricordiamo l'opera 140 di Spohr (1848) e l'opera 178 di Raff (1872) - ma aveva acquisito due grandi capolavori: il Sestetto in si bemolle maggiore op. 18 (1858-60) e il Sestetto in sol maggiore op. 36 (1864-65) di Johannes Brahms. Questi due capolavori possono aver svolto un ruolo non secondario nella scelta fatta da Dvorak nel 1878 di comporre un sestetto per archi. Non bisogna dimenticare che, proprio alla metà degli anni Settanta, Brahms aveva contribuito in modo determinante a togliere dall'anonimato Dvorak, prima assegnandogli ripetutamente - insieme al celebre critico Eduard Hanslick - il premio dello Stato Austriaco per artisti di talento e poi favorendo la diffusione della sua musica, consigliando le sue composizioni all'editore Simrock e al violinista Joachim.

Una delle prime commissioni giunte da Simrock fu per una serie di Danze slave per pianoforte a quattro mani, con la quale evidentemente l'editore sperava - e a ragione - di poter ripetere lo strepitoso successo delle Danze ungheresi di Brahms. Dvorak, il 24 marzo del 1878, si affrettò a dare subito a Brahms la notizia della commissione con una lettera piena di reverente riconoscenza e non priva di ingenuo candore: «Siccome non sapevo bene come regolarmi, ho chiesto di avere le sue celebri Danze ungheresi, e mi prenderò la libertà di servirmene come modello nel!'adattare le Danze slave».

Dunque in questa fase della vita di Dvorak Brahms non è solo il «venerato e stimatissimo maestro» cui «essere debitore in eterno» per l'aiuto decisivo dato alla sua affermazione, ma il punto di riferimento e il modello ideale in campo formale e compositivo. Anche se Brahms stimava profondamente il talento di Dvorak - in una lettera del marzo del 1878 che lasciò Dvorak «senza parole» gli scrisse: «Voglio solo dirle che occuparmi di lei è per me un grande piacere», e pochi giorni dopo a Simrock: «Dvorak possiede tutto il meglio che un musicista possa avere» - e se è stato rilevato che alcuni aspetti della musica del boemo non mancarono di influenzarlo, è innegabile che la sua influenza sul più giovane collega fu enorme. E quando nel maggio del 1878 Dvorak compose il suo Sestetto non poteva non avere in mente i due recenti capolavori del suo «venerato e stimatissimo maestro». In quel tempo Dvorak aveva quasi trentasette anni e, nonostante il suo nome cominciasse solo allora ad essere conosciuto fuori dalla sua patria, non era certo un compositore alle prime armi. Oltre ai molti brani cameristici già ricordati, aveva già composto un gran numero di lavori, fra cui i Duetti moravi che lo avevano segnalato a Brahms, 5 Sinfonie, 5 opere teatrali, il Concerto per pianoforte op. 33, lo Stabat Mater e la prima serie di Danze Slave.

Il Sestetto in la maggiore op. 48, ricco di reminiscenze di musica boema, fu scritto da Dvorak molto rapidamente, come era sua abitudine, in soli quattordici giorni, tra il 14 e il 27 maggio del 1878 e fu eseguito per la prima volta il 29 luglio dell'anno dopo a Berlino, insieme al Quartetto in mi bemolle maggiore op. 51, nel corso di una serata in suo onore organizzata in casa del grande violinista Joachim. Brahms fu sicuramente presente alle prove e anche in seguito dimostrò di apprezzare molto il Sestetto che ben presto iniziò a circolare con successo: in ottobre fu eseguito a Vienna da Hellmesberger e nel febbraio seguente fu presentato da Joachim alla St. James's Hall di Londra.

Il primo movimento (Allegro moderato) è un'ampia pagina intensamente lirica, costruita in forma-sonata su tre temi principali, di cui il secondo ha la funzione di creare un contrasto ritmico e agogico con le atmosfere delicatamente cantabili degli altri due.

Gli influssi etnici si fanno ancora più evidenti nel secondo movimento, una Dumka (Elegie), articolata in varie sezioni: una malinconica polka in re minore (Poco Allegretto) costruita su frasi di cinque battute, cui segue uno struggente episodio in 4/8 in fa diesis minore (Adagio, quasi tempo di marcia) di sapore languidamente zigano e poi una dolce sezione cantabile in 3/8 in fa diesis maggiore (Andante), quasi una ninna-nanna, che sfocia nuovamente nella polka iniziale; ma il movimento è concluso da una mesta Coda (Adagio) in cui torna, un'ultima volta, la struggente marcia in 4/8.

Violentissimo è quindi il contrasto con l'atmosfera del terzo movimento, un vivacissimo scherzo (Presto) in la maggiore, che porta anch'esso il titolo di una danza popolare ceca, Furiant, pur senza conservarne la caratteristica principale, l'alternanza di ritmo binario e ternario ottenuta con accenti sincopati sui tempi deboli di battute ternarie.

Dopo questa trascinante pagina, ricca di colore e freschezza, il Sestetto si conclude festosamente con un vivace Tema con Variazioni, in cui il tranquillo tema iniziale (Allegretto grazioso, quasi Andantino) si va animando progressivamente nel corso delle cinque Variazioni (Poco più mosso-Più mosso scherzando-Meno mosso-L'istesso tempo-L'istesso tempo) fino a esplodere sonoramente nella impetuosa Stretta conclusiva (Allegro-Presto).

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composto nel 1878 il «Sestetto in la maggiore» di Dvorak fu eseguito per la prima volta nel luglio del 1879 a Berlino in casa del celebre violinista Joachim e fu pubblicato nello stesso anno per i tipi dell'editore berlinese Simrock. Sono solo poche note di cronaca eppure collocano il «Sestetto» in un ben determinato momento della biografia arìtstica del suo autore e quindi pure delle sue successive trasformazioni stilistiche. Il «Sestetto» infatti si pone al culmine di una parabola creativa che aveva preso avvio fra il 1873 ed il 1875 caratterizzata dall'abbandono da parte di Dvorak degli stilemi wagneriani che avevano caratterizzato la sua produzione giovanile e dal ritorno ai vecchi ideali classici di Beethoven e di Schubert nelle cui forme Dvorak inserisce sempre più frequentemente elementi linguistici slavi. È proprio questa evoluzione provocata dalla nuova coscienza nazionale cèka e dallo spirito della musica popolare a procurargli riconoscimenti internazionali. Nel 1874 nasce la prima «Rapsodia» per orchestra denominata «slava» dallo stesso autore, un «Quartetto» in la minore e l'opera «Teste dure». La conquista di questo nuovo stile è anche determinante per la concessione di una borsa di studio del governo austriaco e per il sorgere di un sodalizio artistico tra lo stesso Dvorak, il celebre critico antiwagneriano Eduardo Hanslick e Johannes Brahms. E fu quest'ultimo a raccomandare il giovane musicista cèko all'editore Simrock che si affrettò a pubblicare le «Danze slave» ottenendo un successo commerciale senza precedenti; sull'onda di questo successo lo stesso editore chiese a Dvorak di comporre qualche altro pezzo dello stesso genere. Fu l'occasione di composizione del «Sestetto in la maggiore» che si esegue stasera, che appunto è un brano soprattutto caratterizzato da questo doppio e solo apparentemente contraddittorio influsso: da un lato il recupero della tradizione classica e delle sue forme — un recupero che porta Dvorak a non sapersi sottrarre nemmeno all'influsso del suo amico e protettore Brahms, presente peraltro anche con l'eco delle sue «Danze ungheresi» — e dall'altro l'uso di stilemi linguistici provenienti dal folklore slavo. Un critico cèko scrive infatti che «ogni tema pulsa di autentico sangue slavo» ma non può contemporaneamente non notare che i tre temi del primo movimento della composizione hanno un attraente sapore schubertiano così da apparire come un avvicinamento di Dvorak al paese, l'Austria, che in quegli anni lo ospitava. E sono questi tre temi a contrastarsi deliziosamente in questo primo movimento sino ad un tempo «Molto tranquillo» che costituisce con la coda del brano anche la fine di un affascinante generarsi di idee musicali dai tre temi fondamentali in uno straordinario giuoco di iridescenti trasformazioni. I due tempi centrali del «Sestetto» sono destinati a riproporre il versante popolare della musica dvorakiana il primo dei due essendo una «dumka» — una canzone popolare slava di carattere fondamentalmente malinconico e lamentoso — ed il secondo essendo una «furiant» una danza paesana in tempo ternario con accenti incrociati e quindi con un ritmo continuamente cangiante. Con l'ultimo movimento invece sono le forme della tradizione colta a riprendere il sopravvento; e infatti il movimento è costituito da un tema con cinque variazioni seguite da uno «stretto» e da un «presto». Un ritorno alle forme tradizionali che non porta fortuna a Dvorak se un suo biografo Alec Robertson può scrivere «La tonalità del tema ondeggia tra il si minore e il la maggiore ma la promessa di una reale suggestione non è affatto mantenuta. Le variazioni non hanno la spontaneità dei precedenti movimenti ed una o due di esse suonano addirittura false».

Gianfilippo De Rossi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 novembre 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 24 maggio 1973


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Ultimo aggiornamento 26 febbraio 2020