Sinfonia n. 7 in re minore, op. 70 (B. 141)


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro maestoso
  2. Poco adagio
  3. Scherzo: Vivace - Poco meno mosso
  4. Finale: Allegro
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Praga, 13 Dicembre 1884 - 17 Marzo 1885
Prima esecuzione: Londra, Crystal Palace, 22 Ottobre 1885

Vedi al n. B.512 la riduzione per pianoforte a quattro mani
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Accanto a Smetana e Janàček - rispettivamente più anziano e più giovane di lui di circa una generazione - Dvořàk è l'esponente centrale della musica nazionale ceca, quello che meglio rappresenta il tentativo di integrazione fra tradizione colta e spirito popolare slavo. Dei tre egli appare il più vicino alle correnti classiciste del Romanticismo. La sua adesione alle strutture formali classiche non è infatti mediata da rovelli ideologici, né schermata da filtri intellettuali: l'ispirazione genuinamente popolare che vivifica il suo fecondo e spontaneo melodismo è lungi dal porsi polemicamente come alternativa ai modi creativi della tradizione eurocentrica, con cui tende invece a fondersi contemperando un robusto senso formale e una naturale ricchezza d'invenzione: il tutto sempre sotto il segno di una comunicativa diretta e di un innato, fondamentale ottimismo. In questa integrazione risiedono l'importanza della soluzione stilistica adottata da Dvořàk nell'ambito delle scuole nazionali del secondo Ottocento e il segreto della grande popolarità goduta ai suoi tempi, e oggi ingiustamente ridimensionata, tanto dalle sue composizioni sinfoniche e dai suoi tre Concerti per strumento solista e orchestra quanto dai lavori di più pretta ispirazione nazionale e di sensibile reinvenzione folklorica, Danze slave in testa.

Dvořàk è autore di nove Sinfonie, ma soltanto cinque sono entrate a far parte del repertorio, e soltanto una del grande repertorio. Le prime quattro, composte tra il 1865 e il 1874, non furono ritenute degne di pubblicazione dall'autore e videro editorialmente la luce solo dopo la sua morte. Le altre hanno una doppia numerazione, a seconda che si consideri l'ordine cronologico di composizione o quello di pubblicazione. La Quinta Sinfonia (in fa maggiore, 1875) fu pubblicata come Terza op. 76 nel 1888; la Sesta (in re maggiore, 1880) come Prima op. 60 nel 1882: così la Sinfonia n. 7 in re minore apparve come n. 2 op. 70 nel 1885, e come tale è spesso ancora indicata. Seguirono l'Ottava in sol maggiore del 1889 (pubblicata come n. 4 op. 88 nel 1892) e infine l'ultima, più famosa di tutte, la Nona in mi minore del 1893 (ovvero Quinta nel 1894, Dal nuovo mondo). Esse furono pubblicate dall'editore Simrock di Berlino, l'amico per il cui tramite Dvořàk aveva conosciuto il suo idolo Brahms; con l'unica eccezione della Ottava-Quarta, acquisita da Novello a Londra e per questo nota anche con l'appellativo di "inglese".

La Settima Sinfonia di Dvoràk risale all'epoca delle prime affermazioni internazionali del compositore. Il lavoro nacque su richiesta della Società Filarmonica di Londra, che glielo commissionò sull'onda degli strepitosi successi da lui ottenuti durante la sua prima visita a Londra del marzo 1884, quando furono eseguite con successo parecchie composizioni, tra cui la Sinfonia in re maggiore (l'unica fino ad allora pubblicata) e lo Stabat Mater. Non bisogna dimenticare che fino a quel momento la notorietà internazionale di Dvořàk era legata soprattutto alla caratterizzazione esplicitamente folklorica delle Danze slave, la cui prima serie, subito trascritta per orchestra dall'originale per pianoforte a quattro mani, proprio Simrock aveva caldeggiato e pubblicato nel 1878. II successo colto a Londra aveva convinto Dvořàk, allora impegnato a coltivare soprattutto il sogno del teatro, a riprendere in mano il discorso della Sinfonia: decisione che, almeno a giudicare dagli abbozzi e dalle lettere ad amici ed editore, gli costò una fatica più grande e una meditazione più profonda di quanto fosse stato richiesto prima da qualunque altro suo lavoro. Il modello perseguito è esplicitamente quello di Brahms, la cui Terza Sinfonia, diretta dall'autore, Dvořàk aveva ascoltato a Vienna nel 1883 e poi nuovamente con ancor maggiore impressione a Berlino alla fine di gennaio del 1884. Da queste premesse discende il carattere della Settima Sinfonia, alla cui severa tensione calata in un clima espressivo perfino austero parve confarsi uno di quei sottotitoli cari all'immaginario poetico dell'individualismo romantico: "del tempo torbido". In essa Dvořàk tentò una delle sue più ambiziose mediazioni: dare a un contenuto tragico una dimensione epica senza perdere di vista l'ideale di una riflessiva e omogenea coesione formale, attraverso e oltre Brahms.

Nata tra la fine del 1884 e la metà di marzo del 1885 (per l'esattezza la data finale apposta sulla partitura è 17 marzo 1885), fu eseguita per la prima volta al St. James Hall di Londra il 22 aprile dello stesso anno sotto la Direzione dell'autore. Nonostante la buona accoglienza, Dvořàk ebbe dei ripensamenti e ne rielaborò alcuni passi, soprattutto del movimento lento. Ma la sensazione di aver colto nel segno Dvořàk la ebbe soltanto allorché assistette, il 27 e il 28 ottobre del 1889, a due straordinarie esecuzioni dirette a Berlino da Hans von Bülow a capo dei Filarmonici: il suo entusiasmo fu tale che volle inserire un ritratto del celebre direttore nel frontespizio della partitura, aggiungendovi sotto queste parole: "Che Lei sia lodato! Lei ha portato alla vita il mio lavoro!".

Il contenuto espressivo del primo movimento, che può degnamente essere accostato all'illustre modello bramhsiano, è sintetizzato dal tema appassionato e gravido di presagi che viole e violoncelli espongono all'inizio: quasi un misterioso sospiro venato di disperazione, ma con un senso crescente di tensione. Si oppone ad esso un secondo tema più affabile e disteso, in si bemolle maggiore, nella cui cantabilità virilmente malinconica luccicano altre reminiscenze brahmsiane, per esempio del tema principale dell'Andante del Secondo Concerto per pianoforte. Gli interventi su questa melodia alleggeriscono la tensione che gli elementi tematici e ritmici del primo tema comunicano all'intero movimento, pervadendone lo sviluppo, breve e pregnante, e soprattutto la ripresa assai accorciata, che sfocia in una coda in fa maggiore di tono dichiaratamene epico: giubilo che subito si spegne nel ritorno a re minore e nella poetica conclusione, quando - quasi depurato della sua carica emotiva - il tema è echeggiato dolcemente da due corni fino a dissolversi nel silenzio.

Il secondo movimento è in fa maggiore, secondo la più classica delle relazioni tonali. Esso oscilla tra serenità e inquietudine: all'inizio e alla fine l'atmosfera è di una calma, quasi spirituale rassegnazione, di impronta elegiaca; ma in mezzo trovano spazio molte esplosioni di contrastante passione. Qui un lirismo di derivazione marcatamente romantica, non privo di colorature naturalistiche - si noti l'impiego in chiave evocativa del timbro nobilmente appassionato del corno - lascia affiorare memorie lisztiane ed echi wagneriani, culminanti in una quasi citazione tristaniana. L'arte della strumentazione sfrutta un'ampia tavolozza di colori orchestrali, quasi perdendosi nel sogno di un paesaggio mitico, arcadico: tanto che vien quasi la tentazione di considerare questo movimento come un ricordo di visioni lontane, arcanamente trasfigurate dall'emozione.

Conformemente alla tradizione classica la tonalità principale (re minore) ritorna nel terzo movimento, che nonostante il titolo "Scherzo" è in effetti un robusto furiant basato su due melodie esposte simultaneamente sui metri contrastanti di 6/4 e 3/2. II clima elegiaco del secondo movimento si dissolve nella baldanzosa energia di un ritmo di danza rinvigorita da energiche sottolineature contrappuntistiche. La medesima sovrapposizione ritmica persiste lungo il Trio, imperniato nella tonalità contrastante di sol maggiore; ma qui il materiale tematico è prevalentemente in 6/4, mentre il ritmo in 3/2 è affidato alle figure di accompagnamento.

La struttura del Finale si ricollega a quella del primo movimento, quasi a voler stabilire una correlazione simmetrica improntata alla stessa circolarità. L'inizio, senza preamboli, è tenebroso e carico di tensione, ma lo sviluppo si rasserena fino alla comparsa di una struggente melodia esposta dai violoncelli che non può non far pensare all'equivalente momento del Finale della Terza di Brahms. La cifra espressiva conferma la parabola emotiva dell'intero lavoro ma nello stesso tempo la trascende verso una conclusione senza meno positiva, guidata dai due energici temi principali ora riuniti in una perorazione trionfale, sigillata a piena orchestra in apoteosi dalla coda in re maggiore.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I cechi attribuiscono ad Antonìn Dvorak un posto importante nella rinascita non soltanto della loro musica ma anche della loro patria: questo non significa che Dvorak fosse un compositore "nazionale" in senso limitativo, poiché era pienamente inserito nella grande musica europea della sua epoca, così come Praga era uno dei centri culturali più importanti d'Europa tra la fine del Diciannovesimo secolo e l'inizio del Ventesimo. Per queste ragioni, è storicamente esatto inserirlo nell'ambito delle "scuole nazionali" e allo stesso tempo è lecito essere un po' sospettosi nei confronti di questa categoria storica e critica, creata in anni d'imperversante nazionalismo, quando si credeva che l'appartenenza a una tradizione nazionale e l'identificazione con uno spirito nazionale costituissero i primi e principali ingredienti della personalità d'un artista e fornissero la chiave necessaria e sufficiente ad aprire tutte le porte della sua opera. Indubbiamente nella seconda metà dell'Ottocento il concetto di nazione era fondamentale nella politica come nell'arte e molti musicisti ne subirono il fascino, ma gli atteggiamenti patriottici, il colore locale e i riecheggiamenti di melodie e ritmi popolari, pur non potendo certamente essere liquidati come totalmente ininfluenti, costituiscono solo uno degli aspetti di queste musiche. Lo conferma anche un'analisi priva di pregiudizi, che rivela come l'elemento folklorico abbia meno spazio di quanto generalmente si creda.

Non si deve dunque cadere nell'equivoco di cercare un linguaggio musicale semplice, popolaresco e "dialettale" in un musicista come Dvorak, molto sensibile ai problemi della musica europea del suo tempo, senza alcuna avversione di principio per la musica d'area tedesca. Come tanti giovani compositori della seconda metà del Diciannovesimo secolo, Dvorak era stato inizialmente un wagneriano (ma bastava poco per guadagnarsi l'affiliazione a quella setta), finché tra il 1873 e il 1875 attraversò una profonda crisi artistica, che lo spinse ad affrancarsi da Wagner, a ripudiare quel che aveva composto fino ad allora e avvicinarsi a Brahms, riscoprendo le forme classiche della Sinfonia, del Concerto, del Quartetto, del Quintetto, della Serenata. Gli ultimi dieci anni della sua attività, a partire dal 1895, videro il ritorno degli ideali wagneriani e il predominio dell'Opera e del Poema sinfonico.

L'attenzione alle tradizioni musicali popolari fu per Dvorak un modo di personalizzare le contrapposte influenze di Wagner e di Brahms. Cresciuto sotto l'influsso delle teorie di Herder e dei fratelli Grimm, così importanti per la cultura romantica, Dvorak aveva un vero e proprio culto per il canto popolare, ma senza alcun limite e pregiudizio nazionalistico, tanto che s'ispirò alla musica non solo boema e morava ma anche slovacca, polacca, russa, serba e perfino americana. Tuttavia molti suoi temi "popolari" sono completamente inventati, seppur ispirati alla musica popolare che Dvorak aveva assimilato negli anni della povera infanzia in un piccolo villaggio e continuava ancora a respirare a pieni polmoni da adulto, nei lunghi periodi in cui si rifugiava nella sua casa di campagna a Vysokà.

Le nove Sinfonie sono il punto d'incontro del Dvorak popolare e del Dvorak educato alla tradizione tedesca, in quanto la ricca invenzione melodica s'unisce alla riflessione su come fosse possibile, dopo Beethoven e Schubert e accanto a Brahms, espandere la Sinfonia oltre le regole convenzionali. La Sinfonia n. 7 in re minore op. 70 (fino ad alcuni anni fa indicata come n. 2: quest'oscillazione dipende dal fatto che quattro Sinfonie giovanili sono state riscoperte solo in tempi recenti) ha un carattere equilibrato, compatto e austero, che si potrebbe definire brahmsiano: in effetti pare che il successo della Terza Sinfonia di Brahms avesse fatto nascere in Dvorak - la cui notorietà era allora legata al successo delle Danze slave - il desiderio di dimostrare di non essere inferiore al grande maestro tedesco, nei cui confronti provava ammirazione e amicizia. Diretta dallo stesso Dvorak a Londra nel 1885, questa Sinfonia ebbe un immediato successo, tuttavia fu poi eclissata dalla celeberrima Sinfonia "Dal Nuovo Mondo". Ingiustamente, perché è una delle Sinfonie più mature e profonde del compositore boemo.

L'Allegro maestoso ha un tono severo e grave, attraversato da momenti di grande energia e di tensione drammatica, da cui il sottotitolo Del tempo torbido. Il primo tema è una frase cupa di violoncelli e contrabbassi, che pur essendo compressa in un ambito ristretto da subito la sensazione d'essere pronta a liberare una potente carica d'energia, come infatti avviene ben presto. Con la generosità di melodie tipica di Dvorak, due altri motivi compaiono nella transizione al secondo tema, semplicissimo e poetico, inizialmente affidato a flauti e clarinetti, in cui si può riconoscere una chiara reminiscenza dell'Andante del Secondo Concerto per pianoforte di Brahms. La sezione di sviluppo, interamente basata sui due temi principali, è ammirevole per la sua ampia e solida articolazione (anche in questo Dvorak sembra volersi mettere in concorrenza con Brahms), che alterna episodi contrastanti, facendo emergere ora le sonorità eroiche degli ottoni, ora i timbri dolci dei legni. Dopo aver raggiunto un apice di grande potenza sonora, il movimento si conclude nell'atmosfera grave dell'inizio.

Il Poco adagio è indubbiamente una delle migliori pagine del Dvorak sinfonico, per l'abbondanza e la bellezza delle melodie unite alla magistrale ed elegante abilità costruttiva. Inizia con una specie di corale religioso degli strumenti a fiato, cui si collega una melodia più lirica e sensuale di flauti e oboi, che apre la strada a un sorprendente passaggio in cui l'autore evoca i languori e i cromatismi wagneriani del Tristano. Una nuova idea tematica, magnificamente valorizzata dal timbro dei corni, e un vigoroso crescendo portano all'ultimo tema, affidalo ai clarinetti, cui rispondono i corni. Ritornano quindi i temi precedenti, ma in un diverso ordine e con raffinate modifiche melodiche e strumentali, finché il movimento si conclude con lo stesso sommesso corale che l'aveva aperto.

Nel vivace e spigliato andamento danzante dello Scherzo emerge, per la prima volta in questa Sinfonia, lo spirito della musica boema. Due temi danzanti, uno presentato dal fagotto e l'altro dai violini, si sovrappongono e si integrano, con un artificio contrappuntistico abile ma non esibito; come da tradizione, al centro del movimento s'inserisce il Trio, che ha un carattere essenzialmente melodico, contrastante con l'impulso ritmico delle due sezioni esterne.

Nell'Allegro finale si afferma ancora la vitalità ritmica tipica di Dvorak, sia nell'iniziale tema un po' "alla zingara", ardente e appassionato, sia nel successivo tema scandito come una Marcia, in fortìssimo. L'atmosfera cambia radicalmente con una modulazione a la maggiore, quando un'accattivante melodia dal sapore slavo di viole e violoncelli diffonde un senso di serenità e ottimismo. Il movimento prosegue con andamento rapsodico e riprende liberamente i diversi temi, privilegiando dapprima quello zingaresco, poi quello slavo, per concludersi infine trionfalmente col ritmo di Marcia.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del 65° Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, 21 Giugno 2002
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 11 Novembre 2006


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Ultimo aggiornamento 26 aprile 2012