Sinfonia n. 8 in sol maggiore, op. 88


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro con brio
  2. Adagio
  3. Allegretto grazioso
  4. Allegro, ma non troppo
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: Praga, 26 Agosto - 8 Novembre 1889
Prima esecuzione: Praga, Národní Divadlo (Teatro Nazionale), 2 Febbraio 1890
Edizione: Novello, Londra 1892
Dedica: "All'Accademia boema di Scienze, Arte e letteratura imperatore Francesco Giuseppe in ringraziamento della mia elezione
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questa Sinfonia fu completata da Dvoràk l'8 novembre 1889 a Praga ed eseguita per la prima volta, sotto la direzione dell'autore, presso l'Associazione Artistica della stessa città il 2 febbraio 1890; ebbe subito buone accoglienze e larga circolazione nelle capitali musicali europee, in particolare a Londra (dove fu pubblicata dall'editore Novello) città che predilesse l'Ottava fra tutte le Sinfonie di Dvoràk, non esclusa la più famosa Nona "dal Nuovo Mondo".

Nel 1889 Dvoràk aveva quasi cinquant'anni e voleva farsi sentire in prima persona, senza quell'ossequio alla tradizione germanica e a Brahms in particolare che pure era stato determinante per il suo orientamento; volle dunque, secondo la sua stessa dichiarazione, «scrivere un'opera diversa da tutte le altre Sinfonie, con idee personali e lavorate in modo nuovo». Ma Dvofàk, uomo tranquillo dell'Ottocento, non era fatto per innovare e rivoluzionare; sicché, partito per stranire il linguaggio sinfonico tradizionale lo ha invece familiarizzato, reso intimo e domestico e ha finito così col trovare se stesso, ma da una prospettiva diversa da quella che si era proposto.

Certo, a Vienna qualche professore avrà notato la stranezza di una Sinfonia in sol maggiore che si apre (Allegro con brio) con una frase in sol minore dei violoncelli e dei corni, ma quella frase, così elegiaca e in tono di leggenda, è come un autoritratto di Dvoràk di fronte alla sua opera appena finita, anzi è Dvoràk stesso che incomincia a raccontare la Sinfonia dall'antefatto, che è poi la sua natura slava, la sua memoria, cioè quanto di più sentito aveva in sé. Dopo questa premessa, conclusa da un invitante disegno del flauto solo, tutta l'orchestra è chiamata a raccolta con rustica allegrezza e il movimento si incanala per la sua strada, fiorita qua e là di commenti e confessioni personali. L'Adagio, in do minore, è una romanza che tanto più convince e commuove quanto più si raccoglie in espressioni sommesse, in frasi tenere e accompagnamenti in punta di piedi; musica da sentire presso il camino, dove anche gli strumenti soli, come il violino, hanno tanti aneddoti e fattarelli da raccontare. L'Allegretto grazioso è un valzer in sol minore che cerca di vincere la timidezza con qualche fanfara di trombe, subito allontanate in echi lontani; al centro, in sol maggiore, si apre un incantevole trio, la cui freschezza melodica ha pochi riscontri in tutto Dvorak; dopo la ripresa consueta del valzer il tema del trio fornisce la conclusione, ma travestito in tempo di due quarti (Molto vivace): idea nuova? originalità, come aveva detto l'autore? certo, ma del tutto stemperata in una luce diffusa più forte di ogni profilo particolare. Un po' come la fanfara delle due trombe che apre il finale. (Allegro, ma non troppo) promettendo grandi cose; infatti il tema principale (Un poco meno mosso), esposto dai violoncelli, è talmente affine all'idea che ha aperto tutta la Sinfonia che non si ha l'impressione di uscire molto dal recinto di casa. Tema serioso, forse un tantino troppo solenne per il clima generale dell'opera; ma è destinato ad essere lavorato in una serie di variazioni, e l'antica tecnica ha bisogno di basi sicure; peraltro, salutari scrolloni, scappellate paesane di tutta l'orchestra (con inopinati trilli dei corni, gli strumenti meno portati a trillare) riportano il discorso su quel piano familiare, quotidiano che è il prezioso dono poetico della leggiadra Sinfonia.

Giogio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nella seconda metà dell'Ottocento i musicisti dei paesi slavi ebbero una disposizione creativa divisa tra rispetto, o anche soggezione, ed esplicita indipendenza verso la musica strumentale e sinfonica austro-tedesca. La volontà di autonomia si manifestò nella valorizzazione delle varie tradizioni musicali locali, che a Vienna da un secolo avevano trovato accoglienza già da sole. E anche Haydn, Beethoven, poi Brahms (citando solo i maggiori) per bisogno di novità e di colore si servivano felicemente di temi popolari dall'intera area danubiana. Questo spiega perché nell'Ottocento Vienna sia stata la città di riferimento dei musicisti slavi, oltre Praga che era la sede naturale delle tendenze musicali etniche.

Fu appunto Brahms, con Eduard Hanslick e Joseph Joachim, a "scoprire" il giovane Dvorak e a metterne in luce l'eccezionale talento e l'originalità di invenzione, anche amichevolmente criticandolo: però Brahms, infallibile giudice in argomento di musica, nelle sue critiche difficilmente era cauto e accomodante. Se ne dovette accorgere anche Dvorak, dopo più di un decennio di familiarità tra loro, quando il suo amico Brahms conobbe la Sinfonia in sol maggiore, l'Ottava, e si dichiarò infastidito dalla costruzione, che gli parve «troppo frammentaria, con troppi elementi secondari [...] e nessun contenuto sostanziale ["zu viel Fragmentarisches, zu viel Nebensächliches... keine Hauptsachen"]» (del resto a Vienna non pochi furono delusi dalla nuova sinfonia del musicista fino ad allora stimato). Il giudizio di Brahms aveva un fondamento ma fu forse troppo aspro.

Dvorak compose questa sua Ottava Sinfonia nell'autunno del 1889, quando aveva quasi cinquanta anni (era nato nel 1841). Da qualche anno il suo senso delle forme strumentali classiche si stava intenzionalmente indebolendo in favore della composizione libera, descrittiva, letteraria, dunque in favore del poema sinfonico, del sinfonismo rapsodico, insomma della tendenza estetica lisztiana e wagneriana invisa a Hanslick, ai circoli del Conservatorio di Vienna, e anche a Brahms.

Che ormai la sua disposizione creativa fosse questa, riconobbe Dvorak stesso - con l'ingenua franchezza sua personale - proprio qualche mese prima di iniziare a comporre l'Ottava (i primi abbozzi portano la data del 26 agosto 1889): «Ogni brano avrà un titolo e vuole esprimere qualche cosa: in altre parole, in un certo senso è musica a programma» (lettera del 19 maggio 1889 all'editore Fritz Simrock, a proposito dei 13 Poetisene Stimmungsbilder op. 85), «Qui [ancora per l'op. 85] io sono non un musicista assoluto soltanto, sono un poeta. Non mi derida!» (lettera del 19 giugno 1889, all'amico Emanuel Chvàla). Un'attitudine tanto confidente, cordiale, autonoma, fu ammirevolmente produttiva in lavori di quell'ultimo periodo, lirici e cameristici, concepiti per immagini, memorie, emozioni, ancora giustamente celebri (per esempio il Trio "Dumky" del 1890, il Quartetto "Americano" del 1893, il Quartetto in sol maggiore del 1895) e fu produttiva perfino in una sinfonia autobiografica e descrittiva, come è l'altro lavoro "americano" di Dvorak (1893), la famosissima Sinfonia "Dal nuovo mondo" (che piacque a Brahms, fattosi per l'occasione addirittura correttore delle bozze): ma questa attitudine generò qualche incertezza in una composizione sinfonica che intese rispettare la forma classica e che invece dette la prevalenza ai sentimenti immediati e singoli.

Dunque, l'Ottava Sinfonia è un esempio di sinfonismo poematico, anche se non proprio di poema sinfonico. L'organizzazione tradizionale dei quattro tempi a carattere contrapposto (un Allegro, un movimento lento, un tempo di danza, un Allegro finale) qui è rispettata ma con leggere alterazioni: Allegro con brio, Adagio, Allegretto grazioso (qui una specie di Ländler come un piccolo valzer), Allegro ma non troppo. Tuttavia il rigore formale nei rapporti fra i temi entro ogni movimento e dei quattro movimenti tra loro è secondario rispetto alla libertà dell'invenzione melodica, che è ricca e attraente. Questa qualità Brahms la riconosceva («musikalisch fesselnd und schön»), ma di quelle che a lui sembravano, e in qualche parte sono davvero, incoerenze della costruzione, non poteva proprio goderne. Forse è ingiusto giudicare un vero artista come Dvorak sempre e solo sulla misura e sui pensieri di Brahms, ma è anche vero che il sinfonista più giovane (di otto anni) è stato troppo vicino a colui che, più anziano e molto più autorevole, gli fu per qualche anno esempio, e che dopo il 1883 era rimasto il massimo sinfonista nel mondo.

L'Allegro con brio si avvia con il primo tema, che è una bellissima melodia, lunga, densa e patetica, cantata da clarinetti e fagotti, corni, violoncelli. Il colore e il gusto esotici li dà anche l'estensione "irregolare" delle parti in cui questa melodia si articola, sei battute, più cinque, più sette, mentre la nostra percezione di ascolto è abituata a melodie di quattro battute o di multipli di quattro. Poi, senza transizioni, il flauto presenta una squillante anticipazione del secondo tema, per ora una melodia naturale (che vuol dire formata solo dalle note dell'accordo fondamentale: qui siamo in sol maggiore, l'accordo è sol, si, re). Subito all'inizio, nel diretto accostamento dei due temi è deciso lo spirito di questo Allegro con brio, che sarà anche l'ispirazione di tutta la sinfonia: le emozioni di un animo poetico in mezzo ai suoni e ai colori della natura e alle feste paesane. Dunque, senza esitazioni avvertiamo che l'ispirazione nasce dal più schietto romanticismo, anzi dal romanticismo nazionalista slavo: da qui il sapore esotico del primo tema. Già nel corso dell'esposizione dei temi (che sono almeno quattro) e ancora più nello sviluppo, le immagini di paesaggio si fanno più ricche e grandiose, e più intense, a momenti drammatiche, si fanno le emozioni del poeta. Ma dobbiamo anche notare che certe transizioni sono meccaniche, che i particolari descrittivi danneggiano la continuità, e che in qualche caso l'espressione affettiva è enfatica. È qui (l'abbiamo detto e non sarà necessario ripeterlo per gli altri movimenti) lo scompenso caratteristico del compromesso tra sinfonismo e invenzione libera. Ma tutta la lunga conclusione (la Coda), che si avvia quando il corno inglese, poi il clarinetto, poi il flauto ripetono, cantandolo con trasporto, il secondo tema - la conclusione, dicevo - ha l'esultanza della vera felicità intcriore.

Un sospiro malinconico e ripetuto sentiamo nel primo tema, in do minore, dell'Adagio. Quando agli archi si uniscono i legni la tristezza si addentra in una specie di sogno oscuro: il commovente disegno cromatico deve essere un omaggio al genio di Cajkovskij (erano amici e si stimavano). Ma la serena allegria di una festa rurale (passaggio a do maggiore) disperde per un po' la malinconia, che tuttavia investe di nuovo i pensieri, anche con forza angosciosa.

L'Allegretto grazioso, in sol minore, ha la forma tradizionale dello Scherzo (tema A, tema B, ripetizione di A), in un incantevole ritmo di danza popolare (alla lontana, un modello sono state le Danze ungheresi di Brahms). Col passaggio al secondo tema, in sol maggiore, flauti e oboi con uno scattante accompagnamento ritmico degli archi, il ballo e il canto popolari si animano. Dopo il regolare ritorno del tema A l'animazione diventa una chiassosa ebbrezza.

Ripetuti squilli delle trombe annunziano, all'inizio dell'Allegro ma non troppo, un qualche evento degno di attenzione: che è un bel tema di danza avviato dal violoncello con contrappunto del fagotto e quindi riccamente elaborato in variazioni, senza che mai si allenti la spedita tensione dei passi e dei gesti. Un esteso episodio centrale, in diverse tonalità, affollato di immagini diverse, precede una nuova serie di variazioni del tema, ora quiete e meditative, come un ricordo delle prime. Ma lo spirito della festa irrompe (ripetizione marcatamente ritmica di tutti i temi in un fortissimo dell'orchestra al completo) e cancella allegramente i ricordi.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Dvořàk compose nove Sinfonie in un periodo di tempo che va dal 1865 al 1893. Non si tratta però di un insieme omogeneo nel quale sia possibile riscontrare la traccia di una evoluzione. Le prime quattro Sinfonie (1865-74) non furono ritenute dall'autore degne di apparire e rimasero escluse dal suo catalogo fino al riordino compiuto nel 1960 da Jarmil Burghauser, che ripristinò la successione originaria in base alla cronologia delle composizioni. Prima di allora le ultime cinque Sinfonie erano numerate nell'ordine in cui Dvořàk le pubblicò, diverso da quello di composizione. Ciò ha generato non poca confusione nel suo catalogo. Così la Sinfonia in sol maggiore (l'unica pubblicata da Novello a Londra nel 1892, e perciò detta impropriamente "Inglese") vi figurava in origine come Quarta, mentre oggi è qualificata come Ottava; essa sta al centro del trittico al quale Dvořàk fu debitore anche in vita della sua fama nel genere sinfonico: dopo la Settima in re minore (1885, un tempo Seconda) e prima della Nona in mi minore, la celebre Sinfonia "Dal nuovo mondo" del 1893, Quinta secondo il vecchio ordine. Composta in poco più di due mesi tra il 6 settembre e l'8 novembre 1889 ed eseguita per la prima volta a Praga il 2 febbraio 1890 sotto la direzione dell'autore, l'Ottava Sinfonia appartiene dunque alla piena maturità del compositore e ne esprime alcuni degli umori più tipici.

Dvořàk non fu in alcun modo un rinnovatore della forma. Le sue Sinfonie mantengono il consueto schema classico in quattro movimenti, con una alternanza equilibrata di momenti di maggiore tensione nei tempi estremi, di distensione lirica e di movenze di danza in quelli centrali. Il materiale musicale è fortemente impregnato di ritmi e melodie popolari, e il loro uso si adatta magnificamente ad esprimere la comunicativa diretta della cantabilità slava, con i suoi richiami pastorali alla vita paesana e alla tradizione del folklore, in un linguaggio diretto e di segno costruttivo. Le sue immagini rappresentano stati d'animo che si rifanno a un mondo originario e spontaneo di suggestioni e di simboli immediamente traducibili in un naturale fluire del discorso musicale, a cui la felicità melodica e la cura della strumentazione conferisce un carattere di gradevolezza e di brillantezza non comune.

La Sinfonia in sol maggiore ha un'impronta di serenità e di levità che discende da una calma interiore raggiunta, forse anche dalla consapevolezza di un proprio ambito che Dvořàk si era conquistato nel solco della grande tradizione sinfonica tedesca dell'età romantica. Se Brahms era il suo punto di riferimento più vicino, in questa Sinfonia il pensiero corre spontaneamente a Schubert, sia per la profusione delle melodie che quasi aspirano a farsi valori di per sé significativi, sia per la tendenza a indugiare in sospensioni evocative, con frequenti oscillazioni fra modo maggiore e modo minore e ritorni ciclici di sezioni tematiche chiuse in se stesse. Più che nell'audacia di complesse elaborazioni, il fascino di questa musica sta nell'assoluta evidenza delle idee poetiche che si incarnano in ritmi elementari di immediata presa e in suggestive atmosfere timbriche, in figure musicali che si imprimono nella memoria ancor prima di aver raggiunto la loro completa espansione sonora.

Caratteristico è già l'inizio, con un appassionato cantabile dei violoncelli in sol minore che sfocia nel modo maggiore in un motivo gorgheggiante del flauto, enunciato dapprima come una eco lontana della natura e poi dilatato fino a diventare una fanfara solenne, dai colori accesi e squillanti. In questo passaggio dalla estroversione iniziale alla gioiosa ebbrezza della piena effusione sinfonica si può riscontrare una costante del modo di procedere di Dvořàk, per così dire il sentimento di fondo che guida l'intero percorso della Sinfonia. Nel secondo movimento il paesaggio spirituale muta, si trasfigura nel clima dell'Adagio e sconfina verso l'intimità più raccolta e meditativa, in un alternarsi di stati d'animo tra il malinconico e il fiero, il nostalgico e l'elegiaco (vi si può sentire all'inizio una fugace reminescenza della marcia funebre dell'Eroica di Beethoven). Nel terzo tempo troviamo uno degli episodi più memorabili di tutta l'opera di Dvořàk, un leggiadro, sognante tema di valzer che prende corpo sul cullante ritmo di 3/8 per compiere a poco a poco, dopo l'affermazione in maggiore del Trio, quasi una apoteosi della danza. L'ultimo tempo si apre con una fanfara militaresca delle trombe che aggiunge allo stile della Sinfonia una nota vigorosa e sgargiante, dalla quale si origina quasi una sintesi degli atteggiamenti che l'avevano contraddistinta, per liberarsi in una tumultuosa e non più contraddetta esplosione di luminose energie vitali.

Sergio Sablich


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 Marzo 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 Novembre 2009
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna;
Bologna, 1 febbraio 1990


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Ultimo aggiornamento 16 dicembre 2012