Rhapsodie roumaine n. 1 in la maggiore, op. 11 n. 1


Musica: George Enescu (1881 - 1955)
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe cromatiche, 2 trombe a pistoni, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburo, piatti, 2 arpe, archi
Composizione: Sinaia, 14 agosto 1901
Prima esecuzione: Bucarest, Ateneul Romin, 23 febbraio 1903
Edizione: Enoch, Parigi, 1909
Dedica: B. Croce-Spinelli
Guida all'ascolto (nota 1)

George Enesco, dopo un primo periodo di apprendimento musicale nella sua terra, fece i suoi studi regolari al Conservatorio di Vienna, dove si diplomò in violino e composizione. Nel febbraio del 1900 esordì a Parigi come violinista e da allora effettuò tournées in tutta l'Europa, anche in trio con Casella e Fournier e in quartetto con Casadesus, Fournier e Schneider, non tralasciando la direzione d'orchestra. Durante la prima guerra mondiale rimase in Romania, dove svolse intensa attività concertistica facendo conoscere i musicisti suoi conterranei. Nel 1923 suonò per la prima volta negli Stati Uniti e tenne vari corsi di interpretazione a Parigi, Londra e Siena, avendo tra i suoi allievi Menuhin, Grumiaux, Ferrara e Uto Ughi. Dopo la sua morte si istituì a Bucarest un Festival internazionale triennale intitolato al suo nome.

Autore di una larga produzione di musica sinfonica e da camera, oltre l'opera Edipo, la creatività di Enesco si distingue per la valorizzazione del patrimonio popolare romeno, in cui non mancano influenze della musica francese, specie per quanto riguarda certe scelte armoniche delicate e preziose, nell'ambito di un discorso quanto mai elegantemente melodico, non senza qualche raffinatezza tonale. La Rapsodia romena n. 1 (ce ne sono due nell'op. 11) è stata scritta nel 1901 e si richiama al linguaggio folclorico della terra d'origine per l'impostazione popolaresca e il respiro lirico e immediatamente comunicativo della forma musicale.

La Rapsodia si distingue per la ricerca tematica e la brillantezza dell'orchestrazione. Il pezzo si apre con un dialogo tra clarinetto, oboe e flauto dal tono rapsodico, per poi dar vita a quel gioco di accelerando e ritardando, tipico della musica della zona transilvanica. Nella fiorente strumentazione si colgono episodi solistici di notevole effetto timbrico, come ad esempio il dialogo a distanza tra la viola sola e il primo fagotto all'inizio del Posément. Ad un tema dolce ed espressivamente tenuto degli archi contrappuntati dai legni segue il Plus vite, in cui i legni intrecciano fra di loro una serie di imitazioni sull'accompagnamento ben ritmato degli archi. Nel Très vif si può cogliere il momento di maggiore virtuosismo orchestrale con l'uso di effetti timbricamente caratterizzanti, specie nel settore dei corni e delle trombe, sino all'esplosione di un esaltante crescendo orchestrale.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 5 luglio 1990


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Ultimo aggiornamento 8 settembre 2015