Sonata n. 2 in mi minore per violino e pianoforte, op. 108


Musica: Gabriel Fauré (1845 - 1924)
  1. Allegro non troppo (mi minore)
  2. Andante (la maggiore)
  3. Allegro non troppo (mi maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: 1917
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 10 novembre 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1917
Dedica: Elisabetta del Belgio
Guida all'ascolto (nota 1)

Più di quarant'anni separano la prima dalla seconda sonata per violino di Fauré: si direbbe "una vita". Da autore poco più trentenne ad artista avanti negli anni e pienamente maturo. Ma il solco tra i due meravigliosi lavori è, forse, paradossalmente ancora più largo di quanto possa far pensare il riferimento alla sola carta anagrafica. Quanto la prima Sonata è avvincente, umanizzata, palpitante, trascinante, così la seconda, la Sonata in mi minore op. 108, scritta nel periodo della grande guerra, con il figlio minore del compositore impegnato in prima linea al fronte, è sede di inquietudini, con i lugubri echeggiamenti della battaglia palesi e incombenti nel substato espressivo del lavoro: una sorta di rovescio della medaglia. Non più lirismo, slanci ed entusiastiche intensità giovanili, ma un percorso asciugato, ritorto, sottile, elusivo, seppur ancora palpitante e sotteso a forte idealità.

La Sonata op. 108, iniziata in quella turbolenta estate del 1916 e terminata entro la fine dell'anno, apre con un primo movimento. Allegro non troppo che è definito da un tema perentoriamente sincopato, mentre una sorta di viticcio melodico che qualifica il secondo elemento si avviluppa ondeggiando ansiosamente verso l'alto. La materia sonora è ricca di iridescenze e fluide spinte d'acqua, mentre, sullo sfondo, dal punto di vista architettonico ancora si intravvede la classica struttura della forma sonata articolata in esposizione, sviluppo, ripresa. Tuttavia la libertà formale è notevolissima ed è soprattutto l'artificio della variazione, sviluppata in modalità tridimensionale sui piani armonico, melodico e ritmico, a dominare il campo. Violino e pianoforte, in modo compulsivo, si attorcigliano in una sorta di danza libera e drammatica tutta fatta di palpitanti idee e rotondi arpeggi. Vivace e icastica è la scrittura, che lascia apprezzare e ben percepire il fine ordito ispessito nel procedimento canonico in contrappunto tra violino e basso, e tra violino e mano destra del pianoforte. Nel grande Andante centrale si apre una pagina dal largo respiro, con un tema esitante tratto dall'Andante molto moderato della Sinfonia op. 40 in re minore scritta e scartata più di trent'anni prima (1884) che si incrocia con una pacata melodia espressiva: è, questo, un canto di serenità e di toccante meraviglia. La tonalità trasparente di la maggiore fa da cornice estatica mentre il dialogo piano - violino diviene via via intenso, attraversando ora nuovi, interroganti percorsi. La soluzione a questi dubbi e istanze giunge nel dolcissimo finale, dove appare il tema principale che pare definire la giusta via da percorrere: un segno toccante, mentre il violino canta linee di intensa bellezza, sino a discendere pian piano e a spegnersi in un vellutato sussurro nel registro grave. E quanto è dolce e insieme lacerante la lezione dell'Allegro non troppo, il rondò finale che partendo da un tema accattivante e incantatorio sfocia in più dolorose accezioni, con altre linee motiviche interagenti e la citazione del tema principale del primo tempo della Sonata. Il finale maschera le citazioni più inquietanti con un guizzo e un sorriso sofferto che pare, ora, una sorta di smorfia sardonica.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 343 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 5 agosto 2018