Les Béatitudes

Oratorio per soli, coro e orchestra

Musica: César Franck (1822 - 1890)
Testo: Vangelo secondo Matteo adattato da Joséphine-Blanche Colomb

Personaggi:
  1. Bienheureux les pauvres d'esprit, parce que le royaume des cieux est à eux
  2. Bienheureux ceux qui sont doux, parce qu'ils posséderont la Terre
  3. Bienheureux ceux qui pleurent, parce qu'ils seront consolés
  4. Bienheureux ceux qui ont faim et soif de justice, parce qu'ils seront rassasiés
  5. Bienheureux les miséricordieux, parce qu'ils obtiendront eux-mêmes miséricorde
  6. Bienheureux ceux qui ont le cœur pur, parce qu'ils verront Dieu
  7. Bienheureux les pacifiques, parce qu'ils seront appelés enfants de Dieu
  8. Bienheureux ceux qui souffrent persécution pour la justice, parce que le royaume des cieux est à eux
Organico: soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono, basso, coro misto, orchestra
Composizione: Parigi, 1869 - 10 agosto 1879
Prima esecuzione privata: Parigi, residenza di César Franck, 20 febbraio 1879
Prima esecuzione pubblica: Digione, Théâtre Municipal, 15 giugno 1891
Edizione: Brandus, Parigi, 1880
Guida all'ascolto (nota 1)

L'esecuzione dell'oratorio Les Béatitudes di César Franck costituisce un avvenimento musicale di notevole importanza, perché ripropone all'ascolto una partitura di grande interesse artistico, raramente inclusa nelle stagioni concertistiche, senza ristampa da tempo immemorabile e priva di un'incisione discografica completa. L'ultima volta che questo capolavoro di Franck venne eseguito, con qualche taglio, dall'Accademia Nazionale di Santa Cecilia fu al Teatro Argentina il 17 aprile 1954 sotto la direzione di Vittorio Gui; la prima esecuzione romana era avvenuta molti anni prima, nel giugno 1928, all'Augusteo. Per restare nel campo della curiosità cronistica, va detto che questo oratorio per soli, coro e orchestra di Franck è stato realizzato in prima assoluta negli Stati Uniti nel testo originale francese soltanto di recente, domenica 2 marzo 1980, su iniziativa della Saint George Choral Society di New York, diretta da Calvin Hampton: i giornali americani ne hanno parlato come di un fatto musicale e culturale di spiccato rilievo, che oltre tutto ha contribuito a colmare una lacuna per la migliore conoscenza, più documentata e approfondita, di un compositore del valore di Franck, la cui attività creativa e didattica ebbe larga risonanza e forte influenza nella vita artistica parigina dopo il 1870. Infatti il musicista franco-belga, natura quanto mai mite e religiosissima, non appartiene al gruppo degli autori legati ad una determinata moda e poi messi in disparte o, peggio ancora, dimenticati; alcuni suoi lavori tornano puntualmente nelle sale da concerto e destano ancora oggi viva impressione per la qualità dell'invenzione, la varietà tematica e la solida struttura formale. Tra essi basti ricordare le Variations symphoniques per pianoforte e orchestra (1885), la Sinfonia in re minore (1886-'88), il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi (1878-'79), la Sonata in la maggiore per violino e pianoforte (1886), il Quartetto in re maggiore per archi (1889), il Prélude, choral et fugue per pianoforte (1884) e, per le pagine organistiche, le Six Pièces pour grand orgue (1860-'62). Specie nella sua opera strumentale, non aliena dall'influenza dell'armonia wagneriana, si coglie una ricerca strutturale e una chiarezza formale degni della massima considerazione. Si aggiunga poi la vocazione classica, il mutuo rapporto con Liszt, che lo andava ad ascoltare quando suonava l'organo nella cantoria parigina di Sainte-Ciotilde, la tentazione descrittiva - i suoi poemi sinfonici segnano già il passaggio dal Romanticismo all'Impressionismo e preannunciano Dukas, Roussel, Schmitt e anche Debussy - e la realizzazione ciclica della forma-sonata, in cui la tensione lirica e il discorso polifonico si integrano a vicenda, per capire quale sia stata la dignità artistica di Franck e quale contributo egli abbia dato per lo sviluppo e l'espansione della musica francese, in un periodo in cui a Parigi dominavano l'operetta, l'opera italiana e la romance da salotto.

E allora, se queste sono le caratteristiche e i meriti dell'arte franckiana, come si spiega che un grandioso componimento sinfonico-vocale come Les Béatiludes venga così raramente eseguito e rappresenti addirittura per tanti ascoltatori una novità? Le ragioni sono diverse, se non tutte determinanti, e vanno ricercate in più direzioni. I musicologi studiosi dell'opera di Franck attribuiscono la scarsa diffusione di questo oratorio in parte alla eccessiva lunghezza (due ere e un quarto di musica, a meno che non ci siano tagli) e in parte alla non perfetta e organica omogeneità stilistica per la presenza sia di reminiscenze melodrammatiche e vagamente enfatiche e sia di elementi lirici e di intonazione più propriamente religiosa. Secondo, ad esempio, Alfred Colling, autore di una monografia su Franck, nelle Béatitudes «il musicista oppone la durezza e l'inquietudine degli uomini ansiosi di godimenti terreni alla dolce e pura felicità di coloro che posseggono i veri beni, cioè le ricchezze dello spirito secondo Gesù. La voce che proclama queste ricchezze, la voce di Cristo, è di una bellezza incomparabile; i cori degli angeli e dei beati raggiungono le vette della gioia soprannaturale e gli accenti dell'uomo giusto di fronte al male commuovono per il loro sincero e profondo dolore. Ma quando il musicista, sottomesso alle necessità del libretto, cerca di esprimere il male stesso, l'ispirazione svanisca, tradendo la sua impotenza a formulare sentimenti che egli non prova più. Il compositore si rifugia allora nella magniloquenza e nel generico». Da parte sua Norbert Dufourcq riferisce altre critiche rivolte a suo tempo all'oratorio, impostato su «una concezione monotona, accentuata da una musica spesso uniforme nella scelta delle tonalità, una tematica di poco rilievo per il ruolo di Cristo; una notevole difficoltà a far parlare Satana, ad evocare passioni umane, gli ingiusti, i ribelli; un'estetica che si ispira a Mendelssohn, Schumann, Liszt Berlioz e Gounod». Ciò non toglie che il lavoro di Franck sia l'espressione di un'anima sincera e credente e contenga pagine di indubbia efficacia, così da far pensare ad una antica passione o agli affreschi sacri della pittura tardo-gotica.

Più volte nel corso della sua attività di compositore Franck pensò di musicare i versetti del Vangelo di San Matteo, più noti come «Il discorso della montagna»: un pezzo per organo e una sinfonia giovanili si richiamano nel titolo al passo evangelico. Nel 1869 il musicista ritornò sulla vecchia idea e si fece approntare da madame Colomb, moglie di un professore del liceo di Versailles e fornita di buon temperamento poetico, il libretto in versi del soggetto, nella forma e nella disposizione da lui stesso desiderate. Dapprima il lavoro procedeva abbastanza speditamente, ma poi si arenò tra ripensamenti e meditazioni, tanto da essere terminato dieci anni dopo, nel 1879. La prima esecuzione integrale della partitura, dedicata dal musicista alla moglie, Félicité Saillot, ebbe luogo a Parigi nell'inverno del 1891 (l'anno successivo alla morte di Franck) sotto la direzione di Edouard Colonne. Essa, secondo Vincent D'Indy, assunse «agli occhi degli artisti e del pubblico l'importanza di una vera rivelazione». L'autore vivente, organizzò una sola volta tra le pareti domestiche una esecuzione molto parziale e sommaria del suo oratorio, reclutando venti amici come coristi, affidando i ruoli di solisti ai suoi discepoli e provvedendo egli stesso al pianoforte alla lettura delle parti orchestrali. Secondo la testimonianza di un amico del musicista, soltanto due invitati restarono sino all'Osanna conclusivo ed espressero ammirazione per il lirismo spirituale e la serena dolcezza che contrassegnano la mastodontica partitura.

Les Béatitudes si articolano in un Prologo e otto parti o poemi, ciascuno dei quali reca come motto un versetto del discorso dì Cristo sulla montagna. Tutti i poemi contengono due episodi fra loro contrastanti e rispettivamente echeggianti le voci terrene della colpa e quelle della speranza nel bene eterno; una visione quindi di fede cattolica nella contrapposizione tra l'immanenza del dolore nel peccato e l'annuncio del perdono e della purificazione celeste, promesso dalla parola di Cristo riportata dal Vangelo. E' certo che la luce di poesia e di sincera commozione religiosa che investe gli otto poemi architettonicamente equilibrati e commisurati fa sì che le sparse pagine d'impronta operistica, utilizzate come antitesi espressiva, passino quasi inosservate. In tal modo, se si vogliono individuare i caratteri distintivi di questo complesso oratorio posto al culmine non solo cronologico della vita artistica di Franck è consigliabile non fermarsi agli intenti di drammatizzazione, spesso cercati ma non sempre trovati dal musicista nel tessuto della polifonia corale e sulla base del sermone della montagna, quanto piuttosto addentrarsi nell'ascolto delle voci liriche, contemplative, trepide e ansiose di un cuore puro e ricco di affetti.

Un tema ascendente e in tempo Lento ma non troppo introduce il Prologo, su cui si innesta il canto largo e melodico del tenore. Interviene il coro che descrive con un crescendo i sentimenti dell'umanità rivolti alla pace celeste; le tensioni si attenuano e nell'orchestra riemergono le sonorità morbide e distese. Eccoci alla prima Beatitudine che dice: «Beati i poveri di spirito, poiché di essi è il regno dei cieli»: accenti sontuosi caratterizzano il coro dei gaudenti, impostato su un tema prima ascendente e poi discendente, da alcuni critici giudicato di tono meyerbeeriano. In contrapposizione si ode un secondo coro più dolce e soave, che conferisce un'atmosfera misticheggiante alla musica, resa ancora più efficace dall'intervento di Cristo, affidato ad un canto armonioso e luminoso. La seconda Beatitudine recita «Beati i miti, poiché possederanno la terra»: essa è contrassegnata da due temi orchestrali, il primo sereno e di linea ascendente, e il secondo concitato e di linea discendente. Entra poi il coro in tempo fugato e successivamente intervengono i solisti che personificano le voci celesti su un tempo Andante in 6/8 ritmicamente variato. Si leva ancora ammonitrice la voce di Cristo pronunciante le parole della Beatitudine.

Con la terza Beatitudine («Beati quelli che piangono, poiché saranno consolati») il clima espressivo diventa drammatico e violento, annunciato da un poderoso unisono dal ritmo aspro e tagliente: è la morte che semina lutti e sciagure (il testo parla di una madre che piange il figlio scomparso, di un orfano che ha terrore della solitudine, di uno sposo che dà l'ultimo addio alla sposa). L'orchestra intreccia scale ascendenti e discendenti e alla fine, dopo tanta tristezza, si ascolta di nuovo serena e dominatrice la voce di Cristo, su un ritmo continuo e uguale, simbolo della sua onnipossente certezza. Nella quarta Beatitudine («Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, poiché saranno saziati») il coro tace e sono presenti solo la voce del recitante e quella di Cristo: ambedue raggiungono effetti di persuasiva espressività. La quinta Beatitudine («Beati i misericordiosi, poiché otterranno misericordia») ha uno svolgimento più ampio e possente, in cui risuonano gli echi di guerra, distruttrice della vita e delle opere dell'uomo. Ai lamenti del tenore si uniscono le grida del coro, su un'orchestra dai colori gravi e sinistri. Tutte le ansie e le paure si placano quando si riode la voce di Cristo, invocante la misericordia e non la vendetta perché ognuno possa accedere in letizia nell'empireo celeste. Dopo una breve introduzione in tempo Andantino nella sesta Beatitudine («Beati quelli che hanno il cuore puro, poiché vedranno Dio») intervengono i canti delle donne pagane, delle donne ebree e dei quattro farisei in contrapposizione alla mesta melodia dell'Angelo della morte, alla quale rispondono il coro celeste e la voce di Cristo, su armonie chiare e persuasive nelle tonalità di re maggiore e fa diesis. A questo punto, nella settima Beatitudine («Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio» (compare Satana, realizzato musicalmente con toni ironici, insieme al coro dei tiranni e al coro dei pagani. L'animazione diventa più vivace e nervosa con il canto della folla, finché risuona la voce di Cristo che chiama il «quintetto dei pacifici » ad inneggiare ai valori della fede nella divinità. L'ottava e ultima Beatitudine («Beati quelli che soffriranno persecuzione per la giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli») sottolinea all'inizio il contrasto fra il male e il bene, fra Satana e il coro dei giusti, che respingono qualsiasi sentimento di odio e di vendetta. Satana è vinto e il suo orgoglioso sogno di potenza cede di fronte al purissimo canto della Vergine, che chiama a sé gli umili e gli innocenti. Ancora si espande calma e solenne la voce di Cristo e alla fine il coro intona l'Osanna in una grandiosa apoteosi di armonie celestiali. Qui Franck tocca il punto più alto del suo candore religioso e del suo spiritualismo musicale, mormorando, come disse Debussy, la preghiera più intimamente umana che sia mai sgorgata da un'anima mortale.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 marzo 1980


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Ultimo aggiornamento 18 dicembre 2013