Le chasseur maudit

Poema sinfonico per orchestra da una ballata di G. Burger

Musica: César Franck (1822 - 1890)
  1. Andantino quasi allegretto
  2. Poco più animato
  3. Molto lento
  4. Più animato
  5. Allegro molto quasi presto
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 4 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 2 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, campane, piatti, grancassa, triangolo, archi
Composizione: 1882
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 31 marzo 1883
Edizione: Grus, Parigi, 1884
Guida all'ascolto (nota 1)

L'eredità franckiana andò divisa tra gli allievi, essendone toccata buona parte a d'Indy, nella rinascita di una certa spiritualità francese che ebbe nella Schola cantorum il centro dove il culto era reso soprattutto al Franck sacro di Rédemption e delle Béatitudes; al punto che il figlio del compositore sentì il dovere di precisare, nel 1901 e cioè undici anni dopo la morte del padre, che l'immagine pia dell'organista di Sainte-Clotilde non rappresentava interamente la personalità di Franck, e che si lasciavano in ombra le composizioni profane e strumentali di un musicista il quale «s'était rendu maìtre de toutes les formes de la composition». Gli ultimi settantanni hanno dato ragione più al figlio che agli allievi, poiché di Franck sono restate in circolazione proprio le opere strumentali e cameristiche, anche se resiste da un lato l'opinione di chi vuol vedere nel maestro un analogo di Bruckner, forse suggestionato dall'analogia fra il quadro di Rougier e la silhouette di Böhler in cui i due musicisti appaiono assisi ai rispettivi organi della chiesa parigina e del convento austriaco, e se d'altro lato è svanita la funzione alternativa a Wagner che la critica francese amava attribuire a Franck.

Le chasseur maudit fu composto nel 1882, ed ebbe origine dalla curiosa abitudine di Franck, che sottoponeva al consiglio degli allievi la sua produzione; se Vincent d'Indy era il consigliere per le composizioni orchestrali, Duparc e d'Indy insieme fornirono al maestro l'indicazione letteraria, a cui è ispirato il poema sinfonico, con i loro poemi sinfonici, rispettivamente Lénore del 1875 e La forèt enchantée del 1878, in cui si faceva espresso riferimento alle ballate di Bürger e di Uhland. Appunto dal Cacciatore feroce di Bürger, Franck trasse il soggetto del poema sinfonico sul modello di Liszt, musicista con il quale ebbe un rapporto di credito e di debito non sufficientemente esplorato. Ma, per quanto riguarda questa composizione franckiana, nulla di meglio delle considerazioni di Debussy: «Chez C. Franck, c'est une dévotion constante a la musique, et c'est a prendre ou a laisser: mille puissance au monde ne pouvait lui commander d'interrompre une période qu'il croit juste et nécessaire; si longue soit-elle, il faut en passer par là».

Per un preciso riferimento, si cita il testo di Bürger nella ben nota, ma ormai introvabile traduzione di Berchet contenuta nella Lettera semiseria.

IL CACCIATORE FEROCE

Il conte di Rheingrafenstein diede fiato alla cornetta: - Olà, olà, su su, in piedi e in sella! -

Il suo cavallo mise nitriti, e via d'un salto si slanciò innanzi. E dietro a lui precipitosa a fracasso tutta la salmeria; e un correre, uno squittire di cani sguinzagliati su e giù per mezzo a biade e prunaie, per mezzo a ginestreti ed a stoppie.

Illuminata dal raggio mattutino della domenica, biancheggiava da alto la cupola del duomo. Con tocchi distinti, con un rombar grave, le campane festive chiamavano il popolo alla messa cantata. Di lontano risonavano i cantici della turba divota de' cristiani.

E via via via, attraverso bivi e quadrivi veniva impetuosa la caccia: e da per tutto erano gridi, «to to to, ciuee ciuee!».

Ed ecco a destra, ecco a sinistra uscire un cavaliero di qui, un cavaliero di là. Il corridore del cavaliere a destra era nitido come argento; del color del fuoco era quello che portava il cavaliero a sinistra.

Chi era mai il cavaliero a destra, chi mai il cavaliero a sinistra? Ben me lo presagisce il cuore, ma chi sieno non so.

Il cavaliero a destra comparve in candido vestimento e con un volto soave come la primavera. Il cavaliero a sinistra, orrendo e vestito d'un fosco giallo, vibrava folgori dall'occhio come la tempesta.

- In tempo, in tempo giungeste! Ben venga ognuno di voi alla nobile caccia! Né qui in terra, né su in cielo vi ha spasso più caro di questo. -

Egli cosi esclamò; e lieto fe' scoppiar la palma sull'anca; e toltosi di testa il cappello, l'agitò su per l'aria.

- Mal si accorda il suono della tua cornetta alla squilla festiva ed a' cantici del coro, - disse con placido animo il cavaliero a destra. - Torna, torna in dietro: la tua caccia è mal augurata quest'oggi. Cedi al consiglio dell'angelo buono, e non ti lasciar traviare dal cattivo.

- Innanzi, innanzi, seguita su, seguita la tua caccia, o mio nobil signore! - interruppe violento il cavaliero a sinistra.

Che ronzo di squilla? che clamore di coro? Ben più vi farà allegri la gioia della caccia. Io v'insegnerò quali trastulli si convengano a' principi. Non istate a dar, no, retta al Costui spauracchio.

- Ah sì, ben parli, o cavaliero a sinistra! Tu sei un eroe secondo il cuor mio. Chi rifugge l'uscire a caccia, vada in malora a snocciolar paternostri. A tuo dispetto, bacchettone scimunito, a tuo dispetto voglio cavarmi la mia brama. -

E via via via, fuor d'un campo, dentro un altro, su pel poggio, giù per la china, sempre sempre gli venivano cavalcando stretti a' fianchi il cavaliero a destra e il cavaliero a sinistra. Quand'ecco a un tratto smacchiar di lontano un bianco cervo con corna di sedici palchi.

II conte raddoppiò il fiato alla cornetta, e più veloci accorsero d'ogni parte cavalieri e pedoni. Ed ecco, or di dietro or dinanzi, or l'uno or l'altro de' seguaci stramazzare tramortito sul terreno per la gran furia.

- Stramazza pure; stramazza, al diavolo! Non per questo deve andar guasto lo spasso de' principi. -

La belva si accoscia in un campo di spighe e vi spera rifugio. Ecco un povero contadino trarre innanzi umilmente e metter gemiti e lagrime:

- Pietà, signor mio, pietà! Abbiate riguardo agli stenti al sudore del poverello. -

Il cavaliero a destra galoppa innanzi, e con dolcezza e bontà ammonisce il conte. Ma il cavaliero a sinistra lo infervora, lo instiga all'oltraggio maligno. Il conte schernisce le ammonizioni del cavaliero a destra e si lascia traviare dal cavaliero a sinistra.

- Via di qua, miserabile! - grida sbuffando terribile il conte al povero aratore - o ch'io, per Satanasso! su te, su te dirizzo la caccia. Olà, compagni! addosso addosso! dalli dalli! In segno che ho giurato il vero, fategli fischiar le fruste sugli orecchi. -

Detto fatto, il conte si scagliò furibondo al disopra la siepe; e dietro a lui un bisbiglio, un rimbombo, e tutto quanto il traino con cani e cavalli è pedoni. E cani e pedoni e cavalli pestavano i fusti del grano, sicché la campagna tutta era un polverio.

All'avvicinarsi di quello schiamazzo, spaventata, la belva, via via, fuor d'un campo, dentro un altro' su pel poggio, giù per la china, messa in fuga, inseguita, ma non arrivata, guadagna i piani del pascolo comunale; e astuta si frammette alle mansuete mandre onde salvarsi.

Ma di qua, di là, per campagne e per boschi; di su, di giù, per boschi e per campagne, i veltri la perseguitano e n'hanno tosto fiutata la traccia.

Il mandriano, pieno d'angoscia pel suo armento, si butta a' piedi del conte.

- Pietà, signore, pietà! Fate di lasciare in pace queste mie povere bestie mansuete. Ponete mente, signor mio, che qui pascolano le vacche di tante povere vedove, che non hanno altra sostanza. Abbiate pietà de' poveri. Misericordia, signor mio, misericordia! -

Il cavaliere a destra galoppa innanzi, e con dolcezza e bontà ammonisce il conte. Ma il cavaliero a sinistra lo infervora, lo instiga all'oltraggio, maligno. Il conte schernisce le ammonizioni del cavaliero a destra e si lascia traviare dal cavaliero a sinistra.

- Ribaldo, temerario, che a me contrasti! Ah perché non sei tu incarnato tu stesso nella migliore delle tue vacche, e in lei non è incarnata altresì ognuna di quelle sgualdrine? Che gioia sarebbe allora pel cuor mio lo incalzarvi tutti insieme a dirittura fino all'altro mondo!

Olà, compagni! addosso addosso, dalli dalli! To to, qui qui, ciuee ciuee ciuee! -

E ciascuno de' cani s'avventò aizzato sul primo oggetto che gli si parò innanzi. Insanguinato cadde, a terra il mandriano, insanguinate caddero l'una dopo l'altra le vacche.

A stento la belva si sottrae a quel macello, con sempre minor lena di corso. Spruzzata di sangue, intrisa di bava, eccola prendere il cupo della foresta e ripararvisi. Addentro addentro ella si inselva, e viene a trovar nascondiglio nella cappella di un eremita.

Via via, senza posa mai. - To to, ciuee ciuee, to to to! - Allo scoppiar delle fruste, all'abbaiare de' veltri, allo squillare dei corni la schiera feroce anche colà si precipita.

Il santo eremita uscì della cappelletta e si fece incontro con mite scongiuro.

- Rimanti, rimanti, abbandona la traccia. Non profanare l'asilo di Dio.

La creatura manda gemiti al cielo e implora da Dio il gastigo tuo. Lasciati per l'ultima volta ammonire, o la tua empietà ti trarrà in perdizione. -

Sollecito il cavaliero a destra galoppa innanzi, e con dolcezza e bontà ammonisce il conte. Ma il cavaliere a sinistra lo infervora, lo instiga all'oltraggio maligno. E, oh Dio! ad onta delle ammonizioni del cavaliero a destra, egli si lascia traviare dal cavaliero a sinistra.

- Che empietà, che perdizione parli, tu mai? Forse - grida egli, - forse che la mi spaventa gran fatto? Questa mia caccia, dovessi io anche vederla spinta fino al terzo cielo, che rileva, che monta a me? Sì, per Dio! vo' proseguirla, voglio sbramarmi. E sia pure a dispetto di te, o scimunito, e a dispetto di Dio. -

Egli mena vibrata la frusta, dà fiato alla cornetta. - Olà, compagni, addosso addosso! dalli dalli! -

Oh Dio! Ecco in un tratto spariscono innanzi a lui ed eremita e cappelletta; spariscono dietro a lui e cavalli e pedoni. E in un batter d'occhio, e fracassi e suoni ed urli di caccia, tutto tutto ingoia un silenzio di morte.

Atterrito il conte gira lo sguardo; dà fiato alla cornetta, e la cornetta non rende suono; mette un grido, e non ha più sentore della propria voce; vibra la frusta, e la frusta non fischia; sprona l'un fianco e l'altro al destriere, né può cavalcare innanzi o retrocedere.

E subito intorno a lui un buio, e più sempre; un buio, come di sepolcro; ed un mugghiare, come di marina lontana. Su alto per l'aria, al di sopra del suo capo, una voce di tuono grida tremenda con furor di burrasca questa sentenza:

- O tiranno, o indole d'inferno, che insolentisci contro Dio, contro gli uomini, contro ogni cosa! Il singulto, il gemito della creatura e la tua iniquità ti hanno citato a gran voce innanzi al tribunale, là su dove arde la fiaccola della vendetta.

Fuggi, empio, fuggi. E sia tu da qui innanzi per tutta l'eternità perseguitato tu stesso in caccia dall'inferno e dal demonio. E sia spavento, questo, de' principi d'ogni secolo che, a saziare le loro voglie scellerate, non perdonano né a Creatore né a creatura. -

A queste parole un bagliore giallo come zolfo guizza intorno alle frondi della foresta. Via via per l'ossa e per le midolle discorre al conte l'angoscia. Una vampa gli opprime il respiro. Stordisce e non ode più nulla. Innanzi, tutto gli soffia sul viso gelo e terrore; e alla nuca lo insiegue il fischio della bufera.

Cresce il soffio del terrore, cresce il fischio della bufera; e su dalla terra, oh spavento! ecco un pugno negro emergere, giganteggiare. Apresi, stringe gli artigli; ahi! ahi! già lo abbranca pel ciuffo; ahi! ahi! travolta in un attimo la faccia del conte, sovrasta alle spalle di lui.

Intorno intorno a lui un corruscar di faville e di fiamme verdi, brune e sanguigne. Un mar di fuoco presso presso gli ondeggia d'ogni lato; e dentro vi brulica la ciurma infernale. In un subito mille veltri infernali prorompono aizzati a fracasso su dalla voragine.

Via precipitoso egli si scaglia attraverso i boschi, attraverso la campagna; e fugge mettendo lai e ululati. - Ahi! me misero! misero! -

Ma per tutto l'ampio mondo lo perseguita il latrar dell'inferno, di giorno giù per le caverne della terra, a mezzanotte su in alto per l'aria.

La faccia di lui sovrasta perpetuamente alle spalle, ond'egli abbia perpetuamente la veduta de' mostri che lo inseguono. E per quanto rapida la fuga lo trascini innanzi, incitato dagli urli dello spirito cattivo, gli bisogna mirare perpetuamente il digrignar dei denti e lo spalancarsi delle fauci ringhiose che gli stanno sopra per azzannarlo.

Tale è la caccia della ciurma feroce; e dura e durerà fino al dì del giudizio. Spesso nella notte ella passa innanzi al vagabondo a spaventarlo e inorridirlo. E testimonianza ne potrebbe far tuttavia la lingua d'assai cacciatori, se per altre ragioni non convenisse a loro silenzio.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 17 dicembre 1972


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Ultimo aggiornamento 21 novembre 2013