Gounod, per Maurice Ravel, è «le véritable instaurateur de la mélodie en France [...], qui a retrouvé le secret de la sensualité harmonique perdue depuis les clavecinistes». Nientemeno! Ma c'è il rischio che con una presentazione del genere ci si attenda troppo - o ci si attenda almeno una sostanza di immaginazione musicale e di stile che in molte mélodies, neppure nelle più gentili, graziose, languide (e sono molte), non possiamo trovare. Tra i suoi quaranta e i cinquanta anni (era nato nel 1818, il Faust, che gli dette celebrità mondiale, è del 1859, Roméo et Juliette, che la confermò, è del 1867) Gounod fu una delle glorie della Francia, e dei suoi salotti (era ammirato e benvoluto da Pauline Viardot, per la quale aveva scritto l'opera Sapho, nel 1851). Poi i tempi e i gusti cambiarono (anzi, erano già cambiati) sì che il successo si allontanò da lui. Continuò, certo, a scrivere, melodrammi (ma i suoi ultimi sono dimenticati del tutto), oratori, perfino sinfonie (la Terza è del 1888), ma scrisse soprattutto mélodies, e la maliconia dei ricordi gli dettò gli accenti più dolci e delicati - chiari, discreti, privi affatto di enfasi. E anche originali nella forma e nel disegno melodico, che tende a liberarsi dai vincoli della scansione metrica, spesso ripetitiva, del verso francese.
Nella Barcarola (testo dell'italo-inglese G. Zaffira, tradotto anche in francese da Barbier), forse la più originale e seducente, le due voci cantano prima separatamente la loro emozione, poi si incontrano e si uniscono in una specie di esaltazione amorosa.
Franco Serpa